mercoledì 30 novembre 2016
Il castello di mercoledì 30 novembre
SORAGNA (PR) - Rocca Meli Lupi
Il primo castello edificato a difesa del territorio di Soragna fu innalzato nel 985 dal marchese Adalberto Pallavicino, che nel 996 lo fece ampliare destinandolo al figlio Oberto; i suoi discendenti nel 1077 furono investiti ufficialmente del feudo da parte del futuro imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV di Franconia. Nel 1186 la fortezza subì un attacco congiunto da parte dei guelfi parmigiani e cremonesi, che, durante gli scontri contro piacentini e borghigiani, distrussero il maniero; i diritti sulla signoria furono tuttavia confermati ai Pallavicino, quando nel 1189 il marchese Oberto ne fu insignito dall'imperatore Federico Barbarossa. Nel 1198 un matrimonio consentì alla famiglia Lupi di entrare in possesso del feudo e di avviare i lavori di ricostruzione del castello, che fu innalzato forse sulla riva opposta del torrente Stirone; Ugo, Sopramonte, Rolando e Guido Lupi ereditarono i beni paterni nel 1237, ma nel 1249 rientrarono a Soragna i Pallavicino, con il marchese Oberto II, che ne fu investito dall'imperatore Federico II di Svevia. Nel 1266 il castello dei Pallavicino fu conquistato dai parmigiani; nel 1305 Giberto III da Correggio, signore di Parma, dovette cedere nuovamente il maniero in seguito all'assalto da parte delle truppe estensi guidate da Bonifacio ed Orlandino Lupi, alleate dei Rossi e degli Scorza; nel 1345 Filippino Gonzaga e Luchino Visconti espugnarono e distrussero la fortezza occupando il feudo di Soragna, nel 1347 elevato a marchesato ed assegnato a Ugolotto Lupi da parte dell'imperatore Carlo IV di Lussemburgo. Nel 1385 il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti concesse a Bonifacio ed Antonio Lupi il diritto di ricostruire il castello, i cui lavori terminarono intorno al 1392. Nel 1395, tuttavia, Niccolò Pallavicino fu insignito del feudo di Soragna da parte dell'imperatore Venceslao di Lussemburgo, senza riuscire ad entrarne in possesso; nel 1427 tentò invano di rivendicarne la proprietà anche il marchese Rolando il Magnifico. Nel 1500 il marchese Diofebo Lupi si schierò con Ludovico il Moro contro il re di Francia Luigi XII per il possesso del ducato di Milano; nel 1513 designò come erede il nipote Giampaolo I Meli, figlio di sua sorella; di ciò approfittò il papa Leone X, che fece occupare il castello ed il feudo per nominarne vicario il fratello Giuliano de' Medici; solo tre anni dopo Camillo Trivulzio conquistò la rocca in nome del re Francesco I di Francia, che restituì ai Meli nel 1518 solo in seguito al pagamento di una grossa somma di denaro. Già nel 1521 i marchesi furono costretti a lasciare nuovamente il castello, in seguito all'assalto da parte di Bonifacio Aldighieri, che ne fu ufficialmente investito dall'imperatore Carlo V d'Asburgo; tuttavia, nel 1522 la rocca fu attaccata e riconquistata dal marchese Giampaolo, che nel 1530 aggiunse al proprio anche il cognome materno, dando origine alla dinastia dei Meli Lupi. Nel 1551 il castello, all'epoca caratterizzato dai forti connotati difensivi, fu assaltato durante la guerra di Parma, ma resistette agli attacchi; fu in seguito ulteriormente rinforzato, ma non subì più aggressioni rilevanti. Per questo nel XVI e soprattutto nel XVII secolo fu trasformato in elegante dimora nobiliare barocca. Nel 1709 l'imperatore Giuseppe I d'Asburgo elevò il marchesato a principato del Sacro Romano Impero, con facoltà di battere moneta; i Meli Lupi arricchirono ulteriormente il castello, incaricando dei lavori gli architetti Angelo Rasori nel XVIII secolo e Antonio Tomba nel XIX. Nel 1805 il principato di Soragna fu soppresso in seguito agli editti napoleonici, ma i Meli Lupi mantennero la proprietà della rocca, il cui ampio parco retrostante fu trasformato nel 1833 in giardino all'inglese, su progetto dell'architetto Luigi Voghera. Il castello si sviluppa simmetricamente su una pianta pressoché quadrata, attorno ad un cortile centrale; in corrispondenza dei quattro spigoli sono collocate altrettante torri quadrangolari, mentre al centro della facciata principale si erge una quinta torre d'ingresso più stretta; sui tre lati anteriori si allarga un profondo fossato asciutto. Sul retro si estende dalla torre nord-occidentale una lunga struttura, che collega la rocca con la Cappella di Santa Croce, proseguendo ulteriormente verso ovest per concludersi col Fortino neogotico, che innalza sui margini di un laghetto romantico. La facciata principale, interamente rivestita in laterizio come il resto della struttura, è accessibile attraversando un ponticello in muratura, innalzato nel XVII secolo in sostituzione dell'antico ponte levatoio; ai lati sono collocati due alti piedistalli in mattoni a sostegno di altrettanti grandi leoni in pietra. Il prospetto è suddiviso dall'aggetto delle tre torri in cinque corpi di ugual altezza, che si elevano su tre piani, scanditi da sottili fasce marcapiano, oltre il seminterrato; il livello inferiore, caratterizzato dall'andamento a scarpa della muratura, si apre direttamente sul fossato. Nel torrione centrale, innalzato nel XVII secolo nel corso della trasformazione della rocca in palazzo nobiliare, l'ampio ingresso ad arco a tutto sesto è sovrastato al primo livello da un piccolo balcone incassato, al di sopra del quale campeggia, al centro di un secondo arco, un grande stemma dei principi Meli Lupi. A coronamento della torre d'ingresso si eleva un ampio timpano triangolare, dai tratti classici. I prospetti laterali, anch'essi caratterizzati dalla presenza delle torri angolari in aggetto, mantengono pressoché inalterati i tratti della facciata principale; si distingue tuttavia la fronte occidentale per la presenza di un loggiato all'ultimo livello. L'androne d'accesso è coperto da una volta a botte decorata con un grande ovale affrescato contenente l'Assunzione della Vergine, con la citazione Domum custodiat quae Christum custodivit (Protegga la casa colei che protesse Cristo). All'interno il cortile centrale è preceduto da un elegante porticato ad archi ribassati, che, sostenuto da un massiccio colonnato ionico in pietra di Sarnico, si estende sul lato meridionale d'ingresso; la volta a padiglione lunettata di copertura è decorata con affreschi realizzati nel 1446, che raffigurano tralci e rami di vite, mentre le ampie lunette sottese sulle pareti sono dipinte con gli stemmi delle casate imparentatesi nei secoli con i Meli Lupi. La corte, arricchita da quattro statue collocate in corrispondenza degli spigoli, è ricoperta sul livello terreno delle pareti perimetrali da una fitto muro verde di rampicanti. Il primo nucleo del giardino sorse nel 1542 sul retro della rocca, ove il fossato fu interrato quando le esigenze difensive ebbero fine. Nel XVII secolo i Meli Lupi incaricarono l'architetto Giovanni Battista Bettoli della realizzazione di un grande giardino all'italiana, ornato con nicchie all'interno del muro di confine per ospitare le numerose statue ancora oggi presenti nel parco. Nel 1781 il giardino fu ulteriormente ampliato ed arricchito di nuove piante; solo nel 1833 assunse l'aspetto attuale di parco all'inglese con laghetto artificiale, su progetto dell'architetto Luigi Voghera. Oggi il grande spazio verde si sviluppa sul retro del castello, allungandosi verso occidente fino ad abbracciare il piccolo Fortino merlato alla ghibellina di stile neogotico, che conclude la Galleria dei Poeti. Il laghetto, circondato da numerosissime piante d'alto fusto, si estende sotto il terrazzino all'interno delle arcate a sesto acuto che lo sostengono; al centro dello specchio d'acqua emerge la piccola Isola dell'Amore, con due grotte artificiali arricchite da finte stalattiti e stalagmiti. Il giardino è collegato con la rocca attraverso uno scalone a doppia rampa, che scende dalla Sala del Bocchirale; ai lati sono collocate sei statue settecentesche, che rappresentano il Nilo, il Gange, la Primavera, l'Estate, l'Autunno e l'Inverno. Sul margine orientale del parco si innalza il Café Haus, piccolo edificio dalle forme neoclassiche, aperto verso il giardino con un portico innalzato su alte colonne a sostegno di un timpano triangolare. Nelle vicinanze si trova un esemplare plurisecolare di noce d'America, di notevoli dimensioni. Sul confine settentrionale si estende un'elegante serra neoclassica, preceduta da una serie di arcate, con antistante giardino ricco di rose e statue, tra cui un pregevole Pastore d'Arcadia. I numerosi vialetti che si snodano nel parco sono infine arricchiti da panchine ed altre statue raffiguranti divinità della mitologia classica, di manifattura barocca veneziana. Il castello è aperto al pubblico e fa parte del circuito dei castelli dell'Associazione dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza. Risultano visitabili, oltre al cortile centrale col porticato, la Sala del Baglione, la Sala Gialla, la Camera della Sposa, la Sala del Bocchirale, la Sala Rossa, la Sala del Biliardo Antico, la Sala degli Stucchi, la Galleria dei Poeti, la Cappella di Santa Croce, il Fortino, la Sala da Pranzo, la Sala delle Armi, la Galleria delle Monache, lo Scalone d'Onore, la Grande Galleria, la Sala delle Donne Forti, la Sala del Trono, la Camera Nuziale ed il Salottino Dorato (descrizioni dettagliate dei vari ambienti sia a questo link: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_Meli_Lupi_di_Soragna, sia nel sito web ufficiale: http://www.roccadisoragna.it/). Cosa rimane oggi della Rocca e della dinastia dei Meli Lupi? Molto più di quello che si potrebbe pensare. La Rocca è infatti aperta al pubblico ed è tuttora abitata dal principe Diofebo VI, ultimo discendente dei Meli Lupi. Questi, pur essendo uno degli uomini in possesso di più onorificenze al mondo (la sua discendenza gli garantisce infatti i titoli di Marchese, Conte Palatino, Grande di Spagna, Principe del Sacro Romano Impero, solo per citarne qualcuno), si definisce “nulla più che un contadino” e impiega tutto il suo tempo e la sua energia nella manutenzione della dimora e nell’amministrazione dei propri poderi. C’è un gesto in particolare che conferma questa sua natura umile ed estremamente umana: pochi mesi fa (marzo 2014) un’anziana vedova ha ricevuto, dai nuovi proprietari dell’appartamento in cui viveva ormai da anni, un’ingiunzione di sfratto; quasi incredula, e non sapendo a chi rivolgersi per trovare una nuova sistemazione, ha lanciato un disperato appello su un giornale locale. E indovinate un po’? A rispondere è stato proprio il principe, che ha messo subito a disposizione della pensionata e del figlio disoccupato un appartamento in comodato gratuito (fonte: ilmattinodiparma.it). Secondo la leggenda, tra le mura del castello si aggirerebbe il fantasma di Cassandra Marinoni, più conosciuta come Donna Cenerina, forse per il pallore dell'incarnato, oppure per il colore dei capelli o degli abiti che indosserebbe durante le apparizioni. Nel 1548 ella aveva sposato a Cassano d'Adda Diofebo II Meli Lupi marchese di Soragna. Durante le assenze del marito, che seguì Ottavio e Alessandro Farnese in molte imprese militari, amministrava il piccolo feudo padano, nel quale accolse la sorella Lucrezia, che nel 1560 si era maritata con il conte Giulio Anguissola, un violento che aveva dissipato i suoi beni e quelli della moglie e per giunta aveva cercato di avvelenarla. Il 18 giugno 1573 l'Anguissola si presentò con un gruppo di uomini armati a Cremona dove si trovava Lucrezia e, riuscito ad entrare con l'inganno, la uccise a pugnalate colpendo anche Cassandra che era andata a trovarla. Ferita gravemente, il giorno dopo la marchesa venne portata a Soragna dove spirò. L'atroce delitto, che colpì notevolmente l'opinione pubblica dell'epoca, rimase tuttavia impunito. Da allora, la tradizione vuole che il suo fantasma appaia in particolari circostanze, soprattutto per preannunciare la morte dei suoi discendenti nel castello, oppure qualora gli ospiti della rocca non le risultassero graditi; in tali occasioni, la sua presenza sarebbe accompagnata da strani ed inquietanti fenomeni, tra cui sbattimenti di porte, rumori improvvisi, scricchiolii inspiegabili e rotture di vetri
Fonti https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_Meli_Lupi_di_Soragna, http://turismo.comune.parma.it/it/canali-tematici/scopri-il-territorio/personaggi-storia-tradizioni/riti-leggende/il-fantasma-della-rocca-di-soragna, http://www.scorcidiparma.it/2014/07/15/la-rocca-meli-lupi-a-soragna/
Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.allitalianart.com/site/wp-content/uploads/2014/09/Rocca-Meli-Lupi-di-Soragna.jpg
martedì 29 novembre 2016
Il castello di martedì 29 novembre
PALESTRO (PV) - Torre Visconti
In compatti mattomi rossi, ha pianta quadrata ed è coronata da merli bifidi che poggiano su un triplice motivo di mattoni a dente di sega. Poche finestrelle per parte fungevano, in antico, da prese di luce. Le pareti esterne sono state ritoccate, apparentemente a più riprese. L'edificio era probabilmente collegato al castrum alto-medievale di cui si sono perse le tracce (del quale potrebbero sussistere resti in un edificio contiguo, che presenta ancor oggi una scarpatura assai accentuata. Purtroppo le notizie certe sull'edificio sono quasi nulle): documenti risalenti al XI-XIII sec. designano il complesso fortificato "Castro della torre".
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Palestro, http://www.comune.palestro.pv.it/ComSchedaTem.asp?Id=22320, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00195/
Foto: la prima è presa da https://londramariano.files.wordpress.com/2014/09/img_2489.jpg, la seconda è di piadvc su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/163266
lunedì 28 novembre 2016
Il castello di lunedì 28 novembre
VARESE - Torre di Velate
Velate è una
frazione della città di Varese, posta nel quadrante nordoccidentale dell'area urbana.
A Velate, borgo fortificato esistente fin dall'epoca tardoromana (“castrum de
Vellate”), si trova una torre medioevale risalente all'XI secolo. Inserita
nell'antica struttura difensiva del Limes prealpino, era destinata a presidio
militare della sottostante via per Angera e il lago Maggiore. La struttura, in
pietra viva, con pianta quadrangolare, raggiunge i 33,5 metri d'altezza, con
cinque piani fuori terra serviti da un articolato corpo scale posto sul lato
orientale. Il poderoso fortilizio, del quale rimangono solo due lati e uno
soltanto è integralmente conservato, fu gravemente danneggiato alla fine del XII
secolo dai milanesi vittoriosi sulle milizie imperiali e sugli alleati del Barbarossa,
tra i quali figuravano i nobili di Velate. Attualmente la torre, che
costituisce un punto fermo nel paesaggio collinare dei dintorni di Varese, è
proprietà del Fondo per l'Ambiente Italiano. Recenti indagini archeologiche
relative alla torre di Velate, condotti dal 2001 dalla Soprintendenza per i
Beni Archeologici della Lombardia, in collaborazione con il Centro Culturale e
il Circolo Famigliare di Velate e la delegazione FAI di Varese hanno permesso
di formulare nuove ipotesi sulla vicenda storica dell’insediamento e nuovi dati
concreti relativi alla microeconomia del territorio. Si è infatti evidenziata
una preesistenza di abitazioni databile al V secolo d.c.; circa sette secoli antecedenti
dunque all’edificazione della torre. In particolare risultano tracce di un
edificio di destinazione domestica, costruito in pietra viva con una
pavimentazione lastricata di ciottoli. Rilevate anche le fondazioni di un altro
edificio abitativo, databile tra il V e il VI secolo che ha restituito reperti
ceramici di tradizione tardo-antica. A queste edificazioni, stando alle
indagini, si sovrappose un’ulteriore costruzione in muratura. Di questa è stato
possibile evidenziare, attraverso l’analisi dei grossi conci di pietra e del
suo perimetro orientativo, le precipue finalità difensive. Un presidio
difensivo-militare che sarebbe rimasto in uso fino alla costruzione della
torre, tra l’XI e il XII secolo. Le indagini della Sovrintendenza, condotte
dalla archeologa Maria Adelaide Binaghi, non si fermano qui: all’interno della
torre è stato individuato il tratto di fondazione meridionale originario, oggi
nuovamente visibile; riportata alla luce anche la fondazione di un pilastro
portante in pietra posto al centro della torre. Il suo ritrovamento ha
consentito nuove indicazioni sulla tecnica costruttiva dei piani pavimentali.
Si è scoperto infine uno strato di incendio che può coincidere con l’epoca
della distruzione parziale della torre alla fine del XII secolo. Distruzione
spiegabile nel contesto della guerra tra i Visconti di Milano e i Torriani di
Como, la stessa che segnò la fine di Castel Seprio. È proprio in questo strato
di incendio che gli archeologi hanno recuperato alcune monete argentee
scodellate, coniate dalla Zecca di Milano, e probabilmente utilizzate durante
la breve età comunale della torre. Sorvoliamo la torre grazie a questo video di
m15alien: https://www.youtube.com/watch?v=9MRUXdew3rE. Altri link ad essa dedicati:
http://www.fondoambiente.it/Cosa-facciamo/Index.aspx?q=torre-di-velate-bene-fai,
http://www.vivivarese.com/torre-di-velate/
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Velate, http://www.varesenews.it/2003/03/la-torre-di-velate-una-storia-ancora-da-scrivere/292482/
Foto: la prima è di Docfra su https://it.wikipedia.org/wiki/Velate_(Varese)#/media/File:Torre_di_Velate.JPG,
la seconda è presa da https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/02/75/31/ed/neve-sulla-torre.jpg
Il castello di domenica 27 novembre
Il piccolo centro del Matese ha origini medievali; la sua nascita risale molto probabilmente ai primi decenni del dodicesimo secolo, quando il territorio venne occupato e dominato dai signori Mandolfus, provenienti dalla Germania che qui costruirono una roccaforte. L'origine del nome viene scomposta proprio in "rocca", dal latino fortezza, costruita in genere in un luogo elevato, e "Mandolfi" dal nome della famiglia che dominò la rocca. Lo stesso nome subì però nel corso dei secoli diversi cambiamenti: da Rocca Magenula a Rocca Minolfa, fino a Rocca Ginolfi. Solo dal 1737 venne ad assumere il nome ancor oggi in uso. Sotto i Longobardi il luogo era parte della Contea di Bojano; con i Normanni il borgo venne aggregato alla Contea di Molise. Castellano di Roccamandolfi fu il conte Carlo Pannone (poi diventato Pandone). Nella ricca storia feudale del maniero ricordiamo che nel 1195 vi trovò rifugio Ruggero di Mandra, conte di Molise, il quale l'anno seguente, resistette ai limiti del possibile all'assedio della rocca da parte delle truppe imperiali, finché non fu costretto ad arrendersi. Nel 1220 l'imperatore Federico II ordinò l'abbattimento di tutte le fortezze che potevano rappresentare un pericolo per il potere imperiale, tra cui Roccamandolfi. Il coevo castellano, Tommaso da Celano, conte di Molise, non chinò la testa di fronte all'ordine: si asserragliò con sua moglie ed i suoi figli nel castello dove aveva concentrato la massima parte dei suoi soldati e resistette all'attacco di Tommaso I d'Aquino che per farlo capitolare scelse la via dell'assedio. Il conte uscì nottetempo dalla fortezza e, dopo aver raccolto un buon numero di armati, volse alla riconquista del castello di Celano. L'impresa riuscì ma risultò inutile, poichè nel contempo la moglie, Giuditta, che aveva preso il comando di Roccamandolfi, non resse alla pietà per le condizioni dei suoi uomini, ormai debilitati, e, nel 1223 si arrese: il castrum di Rocca Maginulfi fu demolito per ordine regio ad opera del Conte di Acerra. In seguito alla distruzione della Rocca gli abitanti furono costretti a trasferirsi ed il paese fu ricostruito più in basso nel luogo detto Casale, identificato con l'attuale Roccamandolfi. Passati questi accadimenti, sia il castello che il villaggio perdettero ogni rilevanza strategica: cominciò così la compravendita del feudo da parte dei vari nobili della città di Napoli. Carlo I d'Angiò concesse Roccamandolfi a Tommaso d'Evoli (1269), a Berengario di Tarascona (feudatario di Castelpizzuto) nel 1272, e quando questi decedette a Fulcone di Roccafolia (1278). I Roccafoglia lo detennero sino al 1391 (con una breve parentesi degli Artois). I Gaetani ne divennero feudatari nel corso della prima metà del Quattrocento, sino al 1456, quando Giacomo Gaetani lo alienò ai Cennamo, indi passò ai Perez. I Perez possedettero Roccamandolfi sino all'anno 1543, quando Francesco Perez la alienò al barone Giovanni Luigi Rizzo, patrizio napoletano, che la conservò sino al 1549. Questa famiglia possedeva anche nello stesso periodo (1541) il sopra citato feudo di Castelpizzuto (con Adriana, consorte di Ottavio Galeota). Nel 1549 il feudo di Roccamandolfi venne venduto all'asta. Nuovo proprietario fu un altro patrizio napoletano, Giambattista d'Afflitto dei conti di Trivento. Roccamandolfi cambiò velocemente proprietà, con l'alienazione alla potente famiglia napoletana di Sigismondo Pignatelli nel 1586. I Pignatelli, successivamente duchi di Roccamandolfi, conservarono il feudo fino al 1806 con l'eversione della feudalità. La struttura dell'antico castello segue le caratteristiche morfologiche del sito. Esso è stato costruito in alcuni punti sfruttando la roccia affiorante del monte che sovrasta l'abitato, e in altri riporti in terra che ne hanno delimitato il perimetro. La cortina attuale è delimitata da basse mura in conci ben squadrati e da cinque torri che occupano alcuni lati dell'insediamento fortificato e l'accesso al castello è reso possibile per la presenza di una rampa sul lato orientale retta da muri laterali. Essa immette in un ambiente rettangolare che presenta ad uno degli angoli una torre di controllo. A giudicare dalla presenza di altre cortine murarie, il castello doveva un tempo possedere numerosi altri ambienti. La parte meglio conservata è quella disposta sul lato meridionale, dove si può notare un tipo di muratura con consistenti quantità di malta cementizia impiegata per ovviare alla ridotta dimensione dei conci in pietra. Lo studio condotto dal prof. L.Marino ha consentito di mettere in evidenza alcuni problemi legati alla conservazione del bene. Il castello può essere considerato in alcuni punti allo stato di rudere. Esso ha subito nel tempo una lenta ma graduale opera di erosione che ne ha irrimediabilmente modificato l'aspetto. Per chi volesse approfondire e trovare altre notizie sul castello, ecco cosa leggere: http://www.samnitium.com/wp-content/uploads/2015/03/il-castello-di-Roccamandolfi.pdf Attualmente il Comune di Roccamandolfi, proprietario del bene, sta effettuando una serie di interventi finalizzati ad un completo restauro del monumento per una sua futura fruibilità, comprese indagini archeologiche, che costituiscono un intervento-pilota in questo ambito nel territorio molisano. Ecco qui delle ipotesi sul futuro del sito: http://quotidianomolise.com/trasformare-castello-roccamandolfi-un-resort-al-via-concorso-idee/
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Roccamandolfi, http://www.moliseturismo.eu/web/turismo/turismo.nsf/0/EBF5154BB01D877DC125754C0032EFEC?OpenDocument, http://www.comune.roccamandolfi.is.it/sito/castello.htm, http://www.iserniaturismo.it/modules/smartsection/item.php?itemid=81 (testo tratto dalla pubblicazione a cura dell'IRESMO "Castelli e Fortificazioni del Molise")
Foto: la prima è presa da http://www.fabisonthenet.altervista.org/Fotomolise.htm, la seconda è di Molisealberi su https://www.flickr.com/photos/molisealberi/7359125252
sabato 26 novembre 2016
Il castello di sabato 26 novembre
ANTICOLI CORRADO (RM) – Palazzo Brancaccio
Foto: la prima è presa da http://www.tibursuperbum.it/foto/escursioni/anticoli/smallPalazzoBaronale.jpg, la seconda è di M.Pesci su http://www.tesoridellazio.it/public/anticoli_corrado_(rm)_piazza_santa_vittoria_foto_m._pesci_(09_2013).jpg
venerdì 25 novembre 2016
Il castello di venerdì 25 novembre
BURIASCO (TO) - Castello
Buriasco fu diviso da epoca non accertata in due settori. I
più antichi documenti conservati nell'archivio storico Comunale ne attestano la
divisione a partire XIV sec. Buriasco superiore comprese le terre tra Pinerolo
ed il centro abitato (in proposito A. Pittavino nella “Storia di
Pinerolo e del suo circondario” cita un
termine che esisteva a poca distanza dalla chiesa parrocchiale e che quando
Pinerolo subì l'occupazione dei francesi segnò la divisione dei rispettivi
domini)e fu feudo di
Pinerolo, con Riva e Baudenasca. Buriasco inferiore si costituì nella zona tra
il centro abitato ed i confini con le terre di
Vigone, Macello e Riva. La zona superiore dipese per l'amministrazione civile
da Pinerolo ma per la vita spirituale gli abitanti dipesero sempre dalla
parrocchia di
Buriasco inferiore, la quale peraltro andava sottoposta alla diocesi di
Pinerolo. Un interessante documento conservato nell'archivio storico testimonia
che durante le processioni religiose l'asta del baldacchino passava nelle mani
del rappresentante della comunità di
Pinerolo al momento dell'uscita del corteo dal territorio di
Buriasco inferiore. Ebbe giurisdizione su parte del territorio di
Buriasco per donazione del marchese Olderico Manfredi datata 6 giugno 1021 il
Capitolo di S. Giovanni di
Torino; questi a sua volta nel 1399 cedette il territorio ad Amedeo VIII di
Savoia
per il prezzo di 850 fiorino d'oro
e
32 soldi viennesi. Nel 1619 Carlo Emanuele I investì la città di
Pinerolo del feudo a lui pervenuto dall'acquisto di Amedeo VIII. La zona seguì
per necessità le vicende della città di
Pinerolo , con la dominazione francese al termine della quale, nel 1714, venne
riconsegnata, congiuntamente a Riva e Baudenasca, a Vittorio Amedeo II.
L'investitura
del feudo alla città fu in seguito riconfermata nel 1736 e nel 1748. Primi
signori di Buriasco
inferiore furono Ruffino Gili, investito nell'anno 1270, ed il nipote di
questi, Giacomo Gili d'Acaja il 12 ottobre 1345. (A questo proposito si
ricorda che l'archivio storico della città di
Pinerolo conserva una pergamena, datata 10 ottobre 1352, nella quale Vilhelmus
Vamanus, podestà di
Buriasco , a nome di Jacopo de Giliis, signore di
Buriasco , controlla i confini degli appezzamenti lungo il Lemina dalla parte
di Vigone. La pergamena è descritta nell'articolo di A. Asvisio “Breve storia
di 42 pergamene dell'archivio storico di
Pinerolo ” pubblicato nel 1953 sul Bollettino della Società Storica
Pinerolese). Il 23 dicembre 1418 il feudo passò ai Montbel, signori di
Frossasco. Tra il XIV ed il XV secolo si costruì probabilmente il castello, con
l'annesso ricetto per il riparo della popolazione separato da un fosso
difensivo, luogo di cui parlano i documenti ma di cui nulla resta. Nel XIV
secolo la ricerca storica di Ferdinando Gabotto mise in luce alcuni processi
per stregoneria intentati contro
abitanti di Buriasco
e della vicina Cumiana, testimoniando la presenza dell'inquisizione in questi
luoghi. (Gabotto Ferdinando, le
streghe di Buriasco
e Cumiana: 1314-1336, articolo apparso nel Bollettino storico-bibliografico
subalpino nel 1904 Biblioteca Civica Pinerolo; collocazione: OP.D. 189). Nel
1546 il castello ed il feudo di
Buriasco inferiore vennero dai Montbel ceduti alla città di Pinerolo. Nel 1592
la località fu saccheggiata ed incendiata dalle truppe francesi del maresciallo
De Lesdiguières che,
fallito il tentativo di occupare Pinerolo in nome di Enrico IV di Francia, le
lasciò libere di mettere a ferro e fuoco il pinerolese. L'avvenimento è
ricordato da una pergamena con cui, il 19 maggio 1595, Carlo Emanuele I libera
la comunità e gli uomini di
Buriasco dal pagamento delle tasse per 10 anni a compenso dei danni patiti a
causa degli assalti nemici e a ricompensa per avere difeso il castello. Il 28
luglio 1615 Buriasco inferiore fu eretto a contea; la città di
Pinerolo cedette per il prezzo di 26.000 scudi il possesso del feudo, castello,
territorio e giurisdizione al conte Maurizio Ferrero, già signore di Bibiana e
Famolasco. Il conte era personaggio assai vicino al duca Carlo Emanuele che
probabilmente gradì l'investitura; in alcune lettere scritte tra il 1609 ed il
1615 il duca aveva auspicato di ottenere personalmente il possesso del castello
come baluardo difensivo strategico in caso di nuovi attacchi da parte dei
francesi. La signoria dei conti Ferrero si protrasse per tutto il XVIII e fino
al XIX secolo; fu, stando alle testimonianze dell'archivio, signoria
controversa e fortemente contrastata dalla popolazione locale che non mancò di
intentare liti e suppliche al re contro i pretesi diritti e i soprusi subiti
dai conti. Con le Regie Patenti del 14 agosto 1818 e non senza l'opposizione
della città di
Pinerolo che intentò causa, Buriasco superiore venne separato da Pinerolo ed
unito al Comune
di Buriasco inferiore: tra gli argomenti portati a favore del ricongiungimento
vi era l'unità spirituale tra le due zone, da sempre soggette alla medesima
parrocchia. Il Castello è stato purtroppo
irrimediabilmente rimaneggiato nei secoli. Attualmente è costituito da un
massiccio fabbricato, collegato ad un muro di cinta e difeso da una torre
angolare cilindrica, che racchiude al suo interno diverse costruzioni moderne e
un giardino. L’ultima ristrutturazione avvenne quando fu adibito a ristorante
nel 1961 (https://www.facebook.com/pages/Ristorante-Castello-Di-Buriasco/121345674585488).
Qui lo vediamo in un breve video (di michele didi): https://www.youtube.com/watch?v=9g8N_aaZIGo
Fonti: http://www.comune.buriasco.to.it/viewobj.asp?id=2623,
http://archeocarta.org/buriasco-to-castello/, http://www.alpifortificate.com/buriasco.html
(con diverse foto interessanti da vedere)
Foto: la prima è di befed su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/367462,
la seconda è di SIMONA LOVEinAvoid su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/20366
giovedì 24 novembre 2016
Il castello di giovedì 24 novembre
BARI - Castello di Carbonara
Carbonara di Bari
(Carvnár in dialetto barese) è un quartiere di Bari, appartenente al IV
municipio, che conserva i resti di un piccolo castello medievale. Secondo fonti
storiche più attendibili le origini di Carbonara risalgono all'alto Medio Evo,
nel XII secolo, quando Guglielmo il Malo, nel 1156, decretò la distruzione di
Bari e alcuni baresi si rifugiarono a Carbonara dando vita all'ampliamento del
Casale. Nella bolla di Papa Alessandro III a Rinaldo, Arcivescovo di Bari, il
28 Giugno 1172, cita fra gli altri Casali sottoposti alla sua giurisdizione,
quello di Carbonara (Carbonarium). Per lungo tempo Carbonara fu soggetta al
dominio feudale degli Arcivescovi di Bari. Il suo primo feudatario fu Caderisio
nel 1282, su investitura di Carlo d'Angiò. Nel novembre 1347, si ebbe
l'invasione degli Ungheresi, guidati dal loro Re Luigi I che discese in Italia
e giunse a Napoli per vendicare l'uccisione di suo fratello Andrea, strangolato
in Aversa il 18 Settembre 1345 da sicari, mentre dormiva con la regina. Questa,
sospettata di complicità, passò subito a seconde nozze col cugino Luigi di
Taranto. Gli Ungheresi, discesi in Puglia nel 1348, devastarono e
spadroneggiarono un po' dappertutto, fino a provocare lo scoppio di una peste.
Re Luigi ritornò in Ungheria, lasciando parte delle sue truppe al comandante
Palatino, il quale nel 1349 pose l'assedio a Bitonto. Bitonto resistette a
lungo, per cui si addivenne a una tregua. Gli Ungheresi allora si allearono con
i Bitontini, cui fecero capo i casalini di Carbonara, Ceglie ed altri paesi,
assediando Bari senza riuscirvi ad espugnarla. Allora si dettero a distruggere
nei dintorni saccheggiando altri paesi limitrofi, tra cui Rutigliano. Nel
Settembre del 1349, i Baresi approfittando che gli Ungheresi stavano assediando
Corato, si vendicarono di Carbonara che aveva partecipato all'assedio di Bari,
devastandola completamente. Molti Carbonaresi fuggirono, ma dieci sicari
rimasero a difendere il castello, i quali vennero alfine catturati ed uccisi.
Dopo questi avvenimenti Carbonara riprese la sua vita sotto gli altri
feudatari. Il 22 Maggio 1464 il Re Ferdinando I d'Aragona confermò
l'investitura di Barone del casale di Carbonara a Giovanni de Affatatis. Grazie
a questo Barone, Carbonara si distaccò dal dominio del Regio Fisco e si
sottrasse dalle dipendenze di Bari, perché il Barone amava e si faceva amare
dai Carbonaresi e riuscì a risollevare il paese dalla miseria - come descrive
il De Marinis nella sua opera "Memorie Storiche di Carbonara". Nel
1548 finì il Casato dei de Affatatis con Emilia, figlia di Antonio, che si sposò
con Marcantonio Rogadeo di Bitonto. Iniziò il Casato dei Rogadeo, che terminò
nel 1560, anno in cui Pietro Rogadeo, figlio di Francesco Giacomo Rogadeo, perse
al gioco il Feudo di Carbonara che fu venduto all'asta, successivamente, al
Barone Sigismondo de Rubeis (detto pure de Rossi) per la somma di £. 7.200
ducati. Nel 1564, dopo la morte di Sigismondo de Rubeis, il Feudo passò alla
figlia Beatrice, che nel 1569 lo vendette a suo zio Gianfranco Caracciolo per
la stessa somma. Nel 1576 terminò il Casato dei Caracciolo con Beatrice, figlia
di Antonio Caracciolo che si sposò con Giovanni Antonio de Angelis. Ebbe inizio
il Casato dei de Angelis che terminò nel 1729 con Benedetta de Angelis, sorella
di Carmine de Angelis, che si sposò con Nicola Pappacoda. Il casato dei
Pappacoda durò fino al 1775, con la figlia Anna che si sposò con Giambattista
Filomarino, il cui casato durò fino al 1799. L'ultimo feudatario di Carbonara
fu Giacomo Filomarino. Nel 1798 i noti avvenimenti rivoluzionari francesi
portarono ad invadere anche l'Italia. I Francesi riuscirono in poco tempo a
travolgere le truppe del Re Ferdinando IV che, visto l'estremo caos, il 21
dicembre 1798 abbandonò Napoli, rifugiandosi in Sicilia. Della fortificazione
di Carbonara (un castello o una torre baronale), di cui oggi rimangono labili
tracce, poco o nulla è dato conoscere. Si è ipotizzato che la struttura,
orientata con la facciata principale ad est, avesse tre piani: la base doveva
essere costituita probabilmente da un alto zoccolo a scarpata. La sua
storia potrebbe risalire all'XI secolo quando Boemondo, principe di Taranto, ne
portò a compimento la costruzione unitamente ad altre strutture murarie. A tal
proposito si dice che lo stesso principe avesse dato ordine ad un patrizio
romano, certo Arrigo Tancredi, che fosse apposta una lapide commemorativa
sull'ingresso del castello. Di tale iscrizione, come di una trascrizione
documentaria del 1465, è andata persa ogni traccia, ed il tutto appare
circondato da un alone di dubbi ed incertezze. Stessi dubbi valgono per un
episodio che si sarebbe verificato il 3 settembre del 1097, quando papa Urbano
II avrebbe presenziato alla consacrazione di una chiesa nei pressi del
castello. Una certezza sembra il fatto che, come afferma il Beatillo
riportandone la fonte, nel 1117 a Carbonara risultava esserci un castello con
annessi monastero e chiesa sotterranea. Le prime notizie sicure sulla
fortificazione risalgono invece alla metà del XIV secolo: nel 1348, ad opera di
soldati baresi e ungheresi - questi ultimi venuti in Italia per vendicare
l'assassinio di Andrea d'Angiò, re d'Ungheria e marito di Giovanna I,
distruttrice del castello - dagli spalti fu gettato giù l'ultimo gruppo di
strenui difensori locali, comandati dal signore di Carbonara, un certo
Macciotta. Dopo di ciò il silenzio.
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Carbonara_di_Bari#Storia,
scheda di Luigi Bressan su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bari/carbonara.htm,
http://carbonara.weebly.com/storia-di-carbonara.html
Foto: prese da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bari/01/carbon01.jpg
e da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bari/01/carbon14.jpg
mercoledì 23 novembre 2016
Il castello di mercoledì 23 novembre
CASTELBELLO-CIARDES (BZ) - Castel Juval
Castel Juval
(o Juvale, in tedesco: Schloss Juval)
è un castello medievale che si trova all'imbocco della Val Senales nella Val
Venosta, sopra l'abitato di Naturno, a 1000 metri s.l.m. circa. Deve il suo
nome a quello latino della montagna, Mons Jovis (monte di Giove). La più
antica testimonianza risale al 1278, quando era proprietà di Hugo von Montalban.
La sua costruzione risale probabilmente ad una trentina di anni prima. Dal 1368
appartenne ai signori di Starkenberg, e nel 1540 passò ai Sinkmoser. Quello fu
il periodo di massimo splendore per il maniero. La proprietà passò poi al
casato degli Hendl che nel 1813 lo vendettero al contadino Josef Blaas.
Successivamente, il castello cadde in rovina. Nel 1913, l'olandese William
Rowland lo acquistò, facendolo accuratamente restaurare. Ma negli anni della
seconda guerra mondiale iniziò una nuova fase di abbandono. Dal 1983 è la
residenza estiva (luglio e agosto) dell'alpinista Reinhold Messner, che l'ha
parzialmente adibito a museo: sono esposte opere di arte tibetana e una
collezione di maschere dai cinque continenti. Messner ha fatto ristrutturare il
maniero conservando le caratteristiche architettoniche delle tre diverse fasi
di costruzione unendo tra loro le mura medievali con elementi moderni e
collezioni d'arte. Il risanamento è opera del architetto valvenostano Karl
Spitaler. Si tratta di una delle sedi del Messner Mountain Museum. Durante i
mesi in cui l'alpinista risiede nel castello non è possibile visitare il museo.
Attorno al castello c'è un percorso botanico liberamente accessibile. Per i
privati, il castello è accessibile soltanto a piedi con tragitto di circa
un'ora o con appositi bus-navetta. L'ultimo intervento conservativo risale alla
metà degli anni Novanta, quando, a protezione dell'ala nord del castello
ridotta in rovina, Messner ha fatto montare un tetto di vetro a due spioventi
progettato dall'architetto tedesco Robert Danz. La costruzione in vetro e
acciaio, se da un lato permette di conservare e di salvare dal degrado le mura
storiche del castello, dall'altro permette allo sguardo del visitatore di
ricostruire la genesi costruttiva del manufatto.
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Juval, http://www.messner-mountain-museum.it/it/juval/museo/
Foto: la prima è presa da http://www.messner-mountain-museum.it/imagetypes/teaser/1_juval_foto__tappeiner.jpg,
la seconda proviene da http://www.latscherhof.com/images/pic/umgebung_juval_3_big.jpg
martedì 22 novembre 2016
Il castello di martedì 22 novembre
MURLO (SI) – Castello di Crevole
La zona dove sorge il castello di Crevole, praticamente l'intero territorio comunale odierno di Murlo, fu in epoca medievale uno dei principali feudi del Vescovo della vicina Siena. Il privilegio fu accordato nel 1189 e già alla fine dello stesso secolo il dominio vescovile sull'area era totale, tanto che essa costituiva quasi per intero il suo patrimonio fondiario. Dal 1274 pur mantenendo pieni poteri sul feudo i vescovi furono soggetti all'obbligo di milizia a favore del Comune Senese e dal 1387 al pagamento di un tributo. Solo nel 1749 furono aboliti i diritti del vescovo su Murlo e il suo territorio. A testimonianza del lungo periodo trascorso sotto l'egemonia ecclesiastica una frazione del capoluogo porta ancora oggi il nome di 'Vescovado'. Sebbene il già nominato paese di Murlo fosse il capoluogo del feudo, un'altra residenza importante del vescovo fu il Castello di Crevole, già esistente al momento della costituzione dei privilegi ma in seguito ingrandito e maggiormente fortificato per meglio rispondere alle esigenze del nuovo proprietario. Nei primi anni del XIV secolo il vescovo Malavolti potenziò ulteriormente la struttura. La guarnigione di stanza al castello era senese, seppure stipendiata dal signore del feudo e la stessa Siena tentò di impadronirsene alla fine del '400. Durante la guerra medicea alla rocca risiedeva il primate di Siena, Donosdeo Malavolti, strenuo difensore del patrimonio ecclesiastico, che lanciò addirittura anatemi e scomuniche contro i suoi avversari. La conclusione delle fortune di Crevole si compì nel XVI secolo, durante la guerra che vide la fine della Repubblica Senese. Il castello fu aspramente conteso dalle truppe di Siena e da quelle spagnole ed imperiali. Il Maresciallo Strozzi organizzò un colpo di mano contro gli imperiali spagnoli comandati dal Marchese di Marignano, un ultimo tentativo di salvare Siena e la sua indipendenza. Nel castello di Crevole raccolse uomini e viveri, ma il Marchese scoprì tutto e con un'imboscata sbaragliò le forze dello Strozzi. Il castello di Crevole si arrese alle truppe imperiali il 16 novembre 1554. Il castello fu però ripreso dai francesi nel 1555 e si schierò con i fuorisciti senesi ritirati a Montalcino. Oltre 200 uomini al comando di Faustino da Perugia furono accerchiati dagli imperiali, ora comandati da Don Francesco di Toledo e dal conte Sforza, che non esitarono (come fatto per molti altri castelli) a bombardare Crevole fino a raderlo al suolo per evitare successivi tentativi di riconquista. Dell'importante maniero, un tempo cinto da doppio circuito murario e ricco di torri, restano oggi solo pochi elementi circondati dalla vegetazione: la torre al vertice della collina (presumibilmente nucleo originario del primo fortilizio), parte delle cortine murarie del mastio e alcuni tratti della parte basamentale della cinta muraria esterna. Totalmente abbandonato fino a pochi anni fa, oggi l'insieme fa parte di un'azienda agrituristica e gli scarsi resti sono stati consolidati. Si narra che le truppe vincitrici, mentre stavano distruggendo il castello conquistato, videro comparire il fantasma di Donosdeo vestito con i suoi paramenti sacri, brandendo il Crocifisso e urlando la sua maledizione ai profanatori. La furia del vescovo doveva essere veramente grande, perché a quanto pare da allora non ha più trovato pace. Infatti, si narra che durante la notte si può vedere ancora il suo spirito aggirarsi fra gli spalti del castello, brandendo la croce e ripetendo i suoi anatemi a voce alta, accompagnato dalle strazianti grida dei feriti e moribondi delle antiche battaglie. Un'altra leggenda afferma che nei sotterranei del castello sarebbe sepolta una biblioteca ricchissima, che il vescovo aveva creato con grande passione e che lo spettro del presule si darà pace solo quando sarà scoperta e custodita adeguatamente. Il castello di Crevole è raggiungibile attraverso la strada che dal vescovado di Murlo porta alla statale n°223 Siena Grosseto. Nota curiosa: la zona è attrezzata per fare "picnic" disponendo (lungo la strada) di varie piazzole verdi con tavoli e panche. Altri link per approfondire: http://www.sienafree.it/murlo/37088-la-storia-del-castello-di-crevole-tra-realta-e-leggenda, http://www.lamiaterradisiena.it/I%20Castelli/Crevole/castellocrevole.htm, http://galganofilmtour.it/vescovo-castello-crevole.html
Fonti: http://www.castellitoscani.com/italian/crevole.htm, http://www.fototoscana.it/mostra-flash.asp?nomeflash=c017, http://www.fortezze.it/castello_crevole_it.html
Foto: la prima è presa da http://www.ilcittadinoonline.it/cronaca/brevi-dalla-provincia/murlo-luci-spente-pic-nic-attesa-castello-crevole/, la seconda è di eugeniocini su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/236428
lunedì 21 novembre 2016
Il castello di lunedì 21 novembre
SUNO (NO) - Castello
Nella parte alta del paese, situato sopra una collinetta
digradante verso il torrente Meia, si trova il castello e il Parco Della Porta.
Si tratta di un fortilizio di epoca medievale ristrutturato da Maurizio della
Porta alla fine dell'Ottocento (il nobile volle dare un'impronta signorile,
meno austera e più confortevole alla propria abitazione), oggi diventato casa
di riposo per anziani. La prima traccia storica del castrum di Suno risale al
maggio 1037, quando, il diacono Oddone, figlio del fu Ribaldo de loco Xuni, donò
agli amici Walterio e Loterio una cascina comprendente una casa e dodici
terreni situati nel territorio di Suno. L'antico castello, che faceva parte dei
domini del Comitato di Pombia, del Vescovo di Novara, dei Visconti, dei Della
Porta (che riscuotevano i dazi del territorio di Suno ed erano proprietari di
parecchi immobili e terreni), è stato notevolmente modificato nel corso dei
secoli, specialmente nel XV. La fortezza venne probabilmente costruita tra il
1470 ed il 1490, periodo in cui i Della Porta dimostrarono grande potenza
economica e politica. Essi mantennero il possesso dell'immobile fino alla metà
del XX secolo, quando fu acquistato dagli attuali proprietari, la famiglia
Tarantola. Attualmente si presenta come palazzo residenziale, conservando
unicamente l'impostazione planimetrica della struttura originaria (un
restringimento fortificato del maniero primitivo): una pianta rettangolare
rinforzata da torri d'angolo e da una torre quadrata che in passato difendeva
la porta d'ingresso, munita di ponte levatoio sul fossato, ora ricolmo. A fine
800 l'intonacatura, l'arricciatura - che ha interamente ricoperto i muri
esterni - e la suddivisione interna, hanno profondamente trasformato il preesistente
fortilizio. Ricordano l'antico castello la frangia dei mattoni sporgenti a
dentello, che in origine correva sotto le merlature e, a metà della torre
d'ingresso, le tracce ancora visibili dei bolzoni. Il lato meridionale, sul
quale sono state aperte finestre a distanza regolare, ha assunto l'aspetto di
un'elegante villa del XIX secolo. Lungo la strada di accesso, in leggera
salita, su entrambi i lati restano tuttora tracce dell'antico castrum, con mura
e case risalenti ai secoli XIV e XV. Nei pressi del castello inoltre vi è una
casa, costruita prima della rocca, ristrutturata in epoca moderna con ciottoli
e cotto, con finestre ad arco gotico ed uno stemma dei Della Porta sulla
facciata. All'interno dell'edificio sono degni di nota i grandi camini
rinascimentali rimasti pressoché intatti, così come l'ampio salone riccamente
affrescato con stemmi gentilizi. Interessante è il vasto parco che circonda il
castello che vanta anche diverse specie arboree secolari. Altre informazioni
sulla storia di Suno sono disponibili qui: http://www.comune.suno.novara.it/istruzione/storia-locale
Fonti: testo su pubblicazione "Castelli in
Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999), http://www.comune.suno.novara.it/turismo/luoghi-di-interesse,
http://www.100castellinovara.it/castle?filter=c3Vubw%3D%3D
Foto: la prima è presa da http://www.ilvenerdiditribuna.it/wp-content/uploads/2014/02/castello-di-suno2.jpg,
la seconda è presa da http://archeocarta.org/wp-content/uploads/2014/10/suno-castello.jpg
domenica 20 novembre 2016
Il castello di domenica 20 novembre
VALLINFREDA (RM) – Rocca
La prima menzione sicura della sua esistenza è contenuta in
una bolla papale del 706 d.C., in cui è ricordata tra i possedimenti
dell’abbazia di Santa Scolastica di Subiaco. Particolarmente ambita per la sua
posizione strategica, fece parte delle proprietà dei conti dei Marsi, poi, alla
fine del Trecento, divenne feudo dei Colonna, quindi appartenne agli Orsini e
ai Theodoli. Dal 1650 fu feudo comitale della Famiglia Borghese fino all
abolizione della feudalità. Il toponimo, di chiara etimologia, corrisponde
all’espressione ‘valle fredda’. Risale al Quattrocento l’interessantissimo
oratorio del Santissimo Crocifisso, che ancora custodisce pregevoli affreschi
dell’epoca; è invece cinquecentesca la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo,
ampiamente rimaneggiata nel corso dei secoli successivi e contenente notevoli
tele di varie epoche, tra cui una del Romanino. Tra i suoi monumenti meritano
una citazione il Palazzo Bencivenga,
cinquecentesco, sulla cui facciata spiccano il bellissimo portale in pietra e
le pregevoli decorazioni delle finestre; la Rocca di cui si riconoscono ancora
otto torri sparse nei vari punti strategici del paese; i ruderi di Portica,
munito castello dei Colonna che ebbero in proprietà la cittadina intorno al XIV
secolo. Il Castello, di cui restano ancora visibili i ruderi, fu in passato
utilizzato come luogo di culto e di preghiera dai monaci benedettini. Altre
informazioni storiche su Vallinfreda sono qui: http://lazionauta.it/2015/09/vallinfreda/
Fonti: http://www.comunevallinfreda.rm.it/?page_id=30,
http://www.italiapedia.it/comune-di-vallinfreda_Storia-058-109,
http://www2.stile.it/viaggi/relax-e-lusso/itinerario-tra-arte-e-natura/,
http://www.comune.carsoli.aq.it/archivio17_turismo-luoghi-da-visitare_0_37_145.html,
http://medaniene.hunza2000.it/paesi.htm
Foto: la prima è presa da https://www.facebook.com/larocca.vallinfreda,
la seconda proviene da http://www.paesionline.it/lazio/vallinfreda/foto_dettaglio.asp?filename=5110_vallinfreda_torre_antica
sabato 19 novembre 2016
Il castello di sabato 19 novembre
MONTOPOLI DI SABINA (RI) – Torre Ugonesca
La storia narra che Montopoli passò intorno al Mille sotto
il dominio dell'Abbazia di Farfa e da quell'epoca in poi risentì di tutti gli
avvenimenti che riguardarono la celebre Abbazia. Fu coinvolto nelle guerre tra
imperatori e papi e gli abitanti si distinsero per il comportamento da fedeli
guerrieri. Intorno all'anno Mille l'abate Ugo I fece costruire nel punto più
alto del paese una torre per dominare tutta la vallata, ancora oggi la si può
ammirare ben conservata. Nel 1243 per ordine del papa Gregorio IX, Montopoli fu
saccheggiata e distrutta. Fu prima borgo medievale poi elevato a Comune. Dopo
la ricostruzione cominciò il periodo della Signoria. Dato prima ai Colonna,
tornò poi sotto il dominio di Farfa. Per un breve periodo fu anche dimora degli
abati Arnaldo e Nicolò II. Tra il 1245 ed il 1464 nacque e visse a Montopoli il
grande umanista Pietro Oddi, noto per le sue poesie latine e commenti ad opere
classiche. Montopoli poi passò agli Orsini ed ai Felici. L'entrata del paese è
quella attraverso la Porta Romana o Maggiore, di stile rinascimentale, così
come l'antico prospiciente Palazzo degli Orsini. L'antica civettuola Piazza
Comunale è la piazza principale, graziosa in tutto l'aspetto, la forma triangolare
come l'abitato, contiene al centro una fontana ottagonale artisticamente
concepita con getti d'acqua provenienti da bocche metalliche a forma leonina e,
con sulla sommità, una coppa, anch'essa metallica di pregevole fattura, in cui
3 ordini di zampilli riversano l'acqua entro una stessa coppa con spruzzi vaghi
ed iridescenti. Nel punto del paese diametralmente opposto alla piazza
comunale vi è un vasto piazzale con il parco giochi ed il Parco Caduti con il
monumento alla loro memoria, raffigurante una artistica vittoria alata.
Volgendo lo sguardo in alto si può ammirare l'edificio più antico del paese, la
massiccia Torre Ugonesca fatta costruire da Ugo I abate di Farfa attorno
all'anno Mille. Di pianta quadrata e priva di merli di coronamento, si può
ammirare finemente ristrutturata. Dalla Torre è possibile ammirare, oltre che
l’Abbazia di Farfa, anche tutta la zona circostante con la splendida vallata del fiume Farfa,
i monti che sovrastano la Sabina, la vallata del Tevere, il Monte Soratte e nei giorni particolarmente limpidi
anche la città di Roma. Ecco una visita virtuale al sito: http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=97575
Fonti: http://www.comune.montopolidisabina.ri.it/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=146&Itemid=88,
https://it.wikipedia.org/wiki/Montopoli_di_Sabina
Foto: la prima è su http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=97575,
la seconda proviene da http://www.badinicostruzioni.it/w_2.htm
venerdì 18 novembre 2016
Il castello di venerdì 18 novembre
MONTEROSSO GRANA (CN) - Castello
Il toponimo sembra derivare da "Mons Aurorus",
interpretabile come monte color d’oro con probabile allusione alla roccia
silicea reperibile nella zona, oppure monte ventoso. Il paese compare nei documenti
solo alla fine del XIII secolo, ma vanta quasi certamente origini più antiche.
Intorno al 1286 il marchese di Saluzzo fece costruire un castello poco distante
dal concentrico, di cui oggi resta una parte della torre. Franato questo
edificio, Federico Saluzzo tra il XIV e il XV secolo costruì un altro castello
infeudandolo ai Monterosso di Valgrana. Dopo un lungo periodo di lotte tra i
marchesi di Saluzzo, Cuneo e gli Angiò per il possesso della valle, nel 1357 il
paese divenne parte dei feudi di Eustacchio di Saluzzo, passando poi in eredità
ai suoi discendenti. Fu occupato definitivamente dai Savoia alla dissoluzione
del marchesato di Saluzzo e, dopo questo passaggio, il paese seguì tutte le
vicende della Casata. Il castello venne trasformato in dimora signorile nel
XVII secolo, inglobando le vecchie strutture tre-quattrocentesche
rintracciabili in alcuni muraglioni in pietra e nella massiccia torre quadrata
che costituisce la parte più imponente dell’intero edificio. Nel cortile è
murato un frammento di lapide romana del II secolo.
Fonti: http://www.turismocn.com/ur/VALLEGRANA/MONTEROSSO/HOME/comuneView.html,
Foto: la prima è presa da http://mw2.google.com/mw-panoramio/photos/medium/96582627.jpg,
la seconda invece da http://static.panoramio.com/photos/original/59590819.jpg
giovedì 17 novembre 2016
Il castello di giovedì 17 novembre
SAN NICOLA ARCELLA (CS) - Palazzo del Principe
Le origini di San Nicola Arcella provengono dalla cittadina di Scalea, la quale, venne fondata dai superstiti di Lavinium, antica città romana, sorta alla foce del fiume Lao, dopo la distruzione della città “LAOS” che fu assalita dai barbari del nord. La popolazione di Lavinium, fu costretta dalle condizioni igieniche (la malaria che infestava la piana del Lao) e dalla necessità di difendersi dalle incursioni saracene, a rifugiarsi sulle alture vicine, dando origine nei tempi bizantini, “alla Scalea ed al Casale di questa San Nicola Arcella” ( Oreste Dito). L’antica denominazione del borgo originario era in realtà San Nicola dei Bulgari. Solo nel 1912 assunse l’attuale nome di San Nicola Arcella; sembra che quest’ultimo derivi dalla terra sulla quale, oggi, è strutturato il centro abitato, e cioè una rocca ( in latino arx ) dove si rifugiarono i superstiti di Lavinium. Il riconoscimento dell'ordinamento amministrativo del 1799 disposto dal generale Championnet, comandante delle truppe francesi, difensore della nuova Repubblica Romana, desideroso di estendere le sue conquiste anche nella Regione Partenopea, collocò San Nicola Arcella nel Cantone di Lauria. Nel XVIII secolo il principe Scordia Pietro Lanza Branciforte, avendo sposato Eleonora, ultima erede degli Spinelli di Scalea, divenne principe di tutto il feudo e nella contrada Dino fece costruire come sua residenza estiva il grande palazzo che si erge ancora maestoso ed è visibile dalla strada. I coloni del principe, insieme con gli antichi abitanti, dediti soprattutto alla pesca, costruirono il primo regolare nucleo urbano,cioè il primo Casale che prese il nome di Casaletto; erano le case della corte il nome è ancora attribuito alla parte più antica di San Nicola Arcella. Il feudo rimase in mano ai principi Spinelli di Scalea fino all’abolizione della feudalità decretata dai Francesi (1806). Il Palazzo del Principe, costruito come detto alla fine del XVIII secolo, rappresentava la residenza estiva dei signori di Scalea, la famiglia Spinelli che oltre ad essere famosa militarmente è conosciuta anche per le opere letterarie del Principe Francesco Maria Spinelli nato da Antonio e Beatrice Carafa. Il principe Antonio Spinelli, vissuto all’epoca dell’Inquisizione ampliò il feudo acquistando nel 1768 anche quello di Aieta. Il palazzo fu costruito nella contrada Dino sulla probabile ex platea di una villa romana. Il principe Scordia Pietro Lanza Branciforte, appartenente ad un ramo, quello dei principi di Trabia dell’antica nobile famiglia siciliana dei Lanza di Palermo, ereditò tutto il feudo sposando il 29 giugno 1832 Eleonora Caracciolo Principessa di Scalea, Marchesa di Majorca ultima erede degli Spinelli. Il palazzo si trova al margine settentrionale dell’altopiano che volge verso capo Scalea. Si tratta di una struttura in stile barocco a pianta quadrata attualmente in restauro, che serviva da residenza al piano superiore, e da deposito di derrate alimentari al piano terra. Pur essendo adibito a tal uso, non mancano nell’imponente struttura ( lunghezza 30 metri, larghezza 36 metri) elementi architettonici di grande pregio, ovvero il portale d’ingresso, dominato da una superba serie di archi e il cortile, terminante con una scala adornata da simmetrici elementi. La tipologia planimetrica del palazzo segue un impianto di tipo regolare e simmetrico, costituito da ambienti comunicanti attorno ad una corte interna. In essa è situato il corpo scala dall’andamento curvilineo, con due simmetriche rampe, posto frontalmente all’ingresso ed innanzi ad un avancorpo. Da esso si accede al piano superiore, adibito a zona residenziale, ove si notano tracce di caminetti per il riscaldamento degli ambienti e quattro nicchie, poste simmetricamente come uso di servizi igienici. In questo piano è inoltre situata una loggia con triplice arcata. Lo stato di rovina in cui versava l’edificio ha reso tuttavia ugualmente possibile una sua lettura tipologica architettonica. Il palazzo è stato costruito prevalentemente con pietre di roccia dello stesso terreno roccioso circostante dalla parte del mare, pietre che venivano poi modellate e poste in opera secondo la loro destinazione; come le mensole elemento portante dei balconi, le bocche di scarico dell’acqua piovana scolpite a forma di maschera, svuotate all’interno, l’una diversa dall’altra ma di uguale dimensione, poste a distanza regolare lungo il cornicione esterno e quello interno del cortile. Nella muratura come elementi riempitivi si notano pezzi di cotto e di pietra tufacea. Il cotto, in varie forme e tagli è posto soprattutto a definire gli architravi e gli stipiti dei balconi e dei passaggi interni, inoltre, si ritrova nella pavimentazione interna e del cortile, nella definizione rettilinea degli aggetti (sporgenze) dei basamenti e delle cornici, e come conci nelle aperture ad arco della facciata principale e di quelle del corpo scala del cortile. La pietra tufacea, si trova nei basamenti delle quattro soluzioni angolari esterne ed in quelli delle lesene della facciata del corpo scala, ed inoltre sulle pedate della scala, nella soglia della loggia esterna e nelle soglie architravi e stipiti delle finestre. Attualmente il palazzo è ancora in fase di restauro, pur essendo passati molti anni dall’inizio dei lavori avvenuti nel 1991. Oggi è funzionante l’impianto idraulico, elettrico e il sistema d’allarme; sono da ultimare gli infissi, la pavimentazione e la riqualificazione dello spazio antistante l’edificio. Sul futuro dell'edificio, dove nel giugno di quest'anno si sono insediati il Sindaco e la Giunta comunale, si possono trovare notizie qui: http://www.miocomune.it/cms/tirreno/tirreno-news/cronaca/13963-s-nicola-arcella-lavori-al-palazzo-del-principe.html
Fonti: http://www.comune.sannicolaarcella.cs.it/index.php?action=index&p=76, http://viadellaculturaedelsapere.blogspot.it/2008/04/palazzo-del-principe.html
Foto: la prima è di Luke Junior su http://www.lacuradellauto.com/t11799-i-viaggi-di-luke-quarta-tappa-s-nicola-arcella-e-praia-a-mare-cs-215km-a-r, la seconda è presa da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Calabria/cosenza/sannicolarc01.jpg
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