martedì 27 dicembre 2016

Il castello di martedì 27 dicembre






AVELLA (AV) – Castello Longobardo

Nel lungo periodo di dominazione, Avella meritò più volte la considerazione romana per la fedeltà mostrata in occasione della guerra di Pirro, delle guerre sociali (contro Irpini, Lucani, i Sanniti, i Pugliesi) e delle guerre di Spartaco. La cittadina di Avella non subì sorte diversa da quella che il destino assegnò all’Italia intera, destino che fu infame e malvagio se i Vandali, i Goti e i Greci la straziarono e la distrussero, ad eccezione del “formidabile” castello, i Longobardi se la contesero mentre i Saraceni la saccheggiarono devastandola totalmente e costringendo la popolazione a vivere tra i monti. La calma dell’intero circondario di Avella ritornò solo dopo svariati secoli, dominati da grandi incertezze e povertà, ossia allorquando, con l’avvento dei Normanni, i monti vicini, divenuti ormai ricovero sicuro dell’intera popolazione, si spopolarono e il ritorno degli avellani nelle loro antiche sedi dette origine alla Baronia di Avella che comprendeva anche gran parte dei territori dell’attuale Baiano e Cicciano. La scala feudale istituita dai Normanni al loro avvento in Italia era totalmente legata alla qualità militari, di forza e di coraggio dimostrate nelle spedizioni militari. La dinastia dei baroni avellani ebbe inizio con Arnaldo, nipote di Riccardo, conte di Avella e principe di Capua e si sviluppò, per pura discendenza di Casato, attraverso Rinaldo III, cavaliere di Carlo D’Angiò, e la famiglia Orsini e, per vendita, attraverso Filiberta di Chalou, principe di Orange, Girolamo Colonna, Caterina Saracino e i conti Spinelli che abbellirono Avella con vie ed edifici pubblici e riportarono all’antica gloria il Castello e il palazzo baronale che fu arricchito, tra l’altro, da un “magnifico boschetto”. La cittadina di Avella per circa 25 anni, dal 1578 al 1604, potè giovarsi della magnanimità del genovese, Ottavio Cutaneo, che, oltre a far rifiorire le arti, le scienze e l’agricoltura, ricostruì a proprie spese le case dei poveri e fece lastricare nuove strade. Il baronato di Avella continuò successivamente con l’avvento prima dei Doria di Genova, casato del più illustre Andrea, e poi dei Del Carretto i quali ressero il baronato fino alla sua venuta in disgrazia, agli inizi del XVIII secolo, quando, con la perdita di valore dei diritti baronali, furono aboliti i feudi e le giurisdizioni e i territori divennero di uso pubblico. Nel corso del lungo baronato, che durò dal 1705 (Arnaldo I, normanno) al 1806 (Giovanni Andrea Colonna Doria del Carretto), l’intero casale di Avella subì continui mutamenti nei suoi confini territoriali a causa delle donazioni che i baroni operavano a favore di loro fidi per motivi di diversa natura. La vita amministrativa e economica nel periodo baronale era organizzata sulla base di norme ben precise, composta di obblighi e tributi annui che i casati corrispondevano alla Baronia come compenso per i benefici goduti nella divisione delle rendite boschive feudali o derivanti dal taglio dei boschi. L’amministrazione dell’università di Avella era affidata a 40 decurioni, eletti ogni 5 anni, tra i quali, ai primi di settembre di ogni anno, i cittadini, nel Convento dei Frati Minori e alla presenza dei Sottointendente di Nola, eleggevano i 4 membri responsabili del governo della città ossia delle spese, delle amministrazioni cittadine, della vigilanza sul denaro pubblico. Il complesso monumentale del Castello di Avella, attestato sui rilievi collinari che bordano ad Est la pianura campana, occupa una collina dai fianchi scoscesi situata sulla destra del fiume Clanis; alle sue spalle si stagliano i monti di Avella, barriera naturale che separa il comprensorio avellano-baianese dalla Valle Caudina. Il sito gode di una posizione strategica di controllo del territorio circostante, a guardia di un itinerario naturale che attraverso il passo di Monteforte Irpino mette in comunicazione la pianura campana con la valle del Sabato e conduce verso la Puglia e la costa adriatica. La sommità della collina (m 320 s.l.m.) è occupata dalle strutture della rocca, dominata dalla mole di una torre cilindrica su base troncoconica saldata alle imponenti strutture del donjon. Due cinte murarie, sviluppandosi a diversa quota, cingono le pendici del colle e si ricongiungono sul lato settentrionale, alla base della rocca. La prima, datata ad epoca longobarda (Peduto 1984), ha una pianta ellittica e abbraccia una superficie di circa mq 10.000; del circuito si conservano dieci semitorri (una è inglobata alla base dell’angolo settentrionale del donjon) delle quali cinque a sezione troncoconica e quattro di forma troncopiramidale. La seconda cinta, a pianta poligonale, prevede una porta carraia nell’angolo sud-orientale e nove torri, tutte quadrangolari eccetto quella dell’angolo sud-occidentale della fortificazione, a pianta pentagonale; la superficie racchiusa all’interno del circuito è di circa mq. 21.000. Alcuni saggi esplorativi condotti nel 1987 in occasione di un intervento di restauro hanno fissato la datazione del suo impianto al periodo normanno (XI-XII secolo) ed evidenziato l’esistenza di interventi di ristrutturazione nel corso del XIII secolo (Iannelli 1989). Nell’area compresa tra le due cinte murarie, in forte pendio verso sud, sono visibili i resti di numerosi ambienti riferibili a strutture abitative; l’unico edificio conservato in elevato è una grande cisterna a pianta rettangolare, situata immediatamente all’interno della cinta muraria interna. Nonostante rappresenti dal punto di vista monumentale uno dei complessi medievali più rilevanti della Campania, solo in anni recenti il castello è stato oggetto di esplorazioni sistematiche grazie alla disponibilità di finanziamenti destinati alla realizzazione di un parco archeologico. Le indagini, condotte tra il 2000 e il 2001 dalla Soprintendenza peri Beni Archeologici delle province di Salerno, Avellino e Benevento, si sono concentrate sulla rocca allo scopo di definirne lo sviluppo planimetrico e di tracciare, su basi stratigrafiche, una prima periodizzazione delle sue fasi di occupazione. Come si afferma e conferma in un documento spagnolo, i leggendari costruttori del maniero furono due innamorati, venuti dalla Persia, per motivi amorosi, Cofrao e Bersaglia: “Narra la leggenda, che, nell’anno 300 dell’era volgare, un cavaliere percorse di volo quella pianura. Le zampe ferrate del suo cavallo, nero come l’ebano, sprigionavano fasci di scintille dalla terra. Le fanciulle avellane fissarono su di lui cupidi occhi; ma il suo cuore non ebbe un palpito per esse. Era bello e prestante, era figlio del re di Persia e si nomava Cofrao. E’ bella era la sua bersaglia, ma di umile condizione. Il suo occhio aveva il guardar dolce della gazzella; le sue chiome bionde le scendevano intorno al collo candido come neve; la sua voce era soave, come i concenti della lira. Fuggitivi dalla Persia, col loro schiavo preferito Eraclione, vagabondi per contrade diverse, trepidi nella gioia del presente, immemori del passato, immersi nella beatitudine d’un sogno d’oro, cercarono un nido per covare a primavera del loro amore, delle loro brezze, e lo trovarono su quella collina e vi fabbricarono quel castello, che risuonò sovente di celesti accordi. Là, su quel poggio, fra lo smagliante oleazzare dei fiori, fra il sorriso del cielo, fra il verde dei prati ed il canto degli uccelli, con le farfalle, fior alati dell’aria, con la mitezza limpida del cielo, con la voluttà dei profumi, complici silenziosi delle ombre, con la quieta serena della campagna, con la gioventù fervida degli anni, con la bellezza delle forme, intenti nell’infinita tenda cilestrina, nel palpito unisono de’ cuori a contare le stelle col numero dei baci, a narrarsi i sogni – fantasie curiose, piene di luce e di fate – a farsi sorprendere dal sole nel torpore dell’alba e nello spasimo degli abbracciamenti, si amarono di quell’amore, al quale non si sopravvive. La morte è compagna dell’amore; Bersaglia morì e Cofrao, per dimenticare quei luoghi, testimoni delle sue gioie passate e dei suoi presenti dolori, decise di far ritorno in Persia. Di notte, mentre scendeva dal Castello, udì, fra le ombre silenti, una fioca melodia, che giunse gli per gli orecchi dell’anima. Era una voce purissima e mesta di fanciulla, che accompagnava il canto con accordi tremuli d’un arpa, lievemente sfiorata da mano destra leggera. Cofrao dimenticò tutto e fece per avviarsi al luogo, dov’era la fanciulla che cantava; ma presto si avide ch’era impossibile scoprirlo. Il canto pareva ora subitamente ravvicinarsi, ora lentamente allontanarsi. Cofrao avrebbe giurato, che la voce venisse di sotterra; ma si accorgeva ch’era sopra di lui, in alto, nello spazio purissimo del cielo. Non intendeva le parole della canzone; ma sentiva, in quel momento, che quella musica parlava di lui, dei suoi dolori. Intimamente commosso e con le lacrime agli occhi, continuò a discendere; ma il cavallo, ad un tratto, s’impennò. Chi era quella larva, chi gli appariva dinanzi? “bersaglia, tu adorata fanciulla, tu dunque ritorni? La morte non ti rapì? Un cenno egli gli troncò la voce. Il lieve vapore, che aveva composto quella forma, si diradò; l’ombra svanì; solo una pezzuola bianca, intrisa di sangue, stava per terra. Il cavaliere la raccolse e vi lesse: – compagni in vita, saremo compagni anche in morte – . Cofrao ripigliò affannato il suo cammino, ma, ad un punto, il cavallo traboccò e giacque morto. Il cavaliere girò gli occhi e rimase attonito; non era più il medesimo luogo, la collina era sparita. Che erano quei sarcofagi? Ne stava uno, aperto soltanto, dal quale usciva un dolce lamento. Cofrao si appressò, gettò tremendo uno sguardo entro quel sarcofago e vi cadde tramortito. Quel sarcofago li chiude ora entrambi. Colla bocca, appoggiata a quella pezzuola, intrisa di sangue, Cofrao spirò. E per la colina s’ode ora una flebile metro di dolore. E il rosignuolo, che ora piange là, durante la notte, il sogno svanito dei loro dolci amori”. Altri link suggeriti per approfondire: https://avelladituttounpo.jimdo.com/monumenti-il-castello/, http://www.fondazioneavellacittadarte.it/storia-siti/siti-archeologici/3-il-castello-di-avella.html, http://historiemedievali.blogspot.it/2016/03/il-castello-di-avella.html


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