giovedì 30 giugno 2016

Il castello di giovedì 30 giugno






LOZZOLO (VC) - Castello

L’abitato sorge alla sinistra del torrente Marchiazza nel punto ove la sua corta valle sbocca nella pianura ed è il punto terminale di una breve strada che lo collega alla strada statale che da Gattinara sale a Biella. Il territorio appartenne ad re Arduino e poi a suo figlio Ardicino, ma costui, per essersi ribellato, come il padre, all’Impero e alla Chiesa, venne spogliato di tutti i suoi beni. Risale al 1° novembre dell’anno 1000 la più antica e documentabile memoria di “Forestum de Loceo “ ( da lucus, selva) ed è relativa a una concessione conferita dall’imperatore Ottone II al vescovo Leone e alla Chiesa di Vercelli. Da un documento del 13 marzo 1211 si ha notizia dell’acquisto del “Villaggio di Loceno “ da parte del Comune di Vercelli, che, con atto del 13 maggio 1211, investì i fratelli Burla di Boca dei feudi di Loceno, Vintebbio e Navola. L’istituzione del borgofranco di Gatinaria, decretata dalla credenza di Vercelli il 30 aprile 1242, avrebbe dovuto riunire oltre che l’antichissimo Borgo della Plebe, sito sulla sommità del monte San Lorenzo, con le frazioni Sottomonte e Innosca, Rado con le frazioni di San Giorgio e San Sebastiano e anche Loceno, Mezzano e Locenello. Tuttavia una parte degli abitanti dei villaggi non aderì all’imposizione, e si riparò nel luogo più elevato del colle Loceno (dove ora sorge il Castello ). Non è possibile documentare per quale preciso motivo ciò avvenne, ma certamente è stato questo fatto a creare implicitamente i presupposti per la fondazione del paese di Lozzolo quale entità a sé. Non è ben chiaro a quale giurisdizione sia stato assoggettato il territorio del villaggio, ma si ha notizia certa che nel XIII secolo il vescovo investì di Loceno i Sonomonte. Nel 1302, precisamente il 5 dicembre, il signore Bonifacio Sonomonte cedette per libero allodio, al nobile Simone Avogadro da Collobiano tutto il castello, edifici, sedimi, tutte le terre colte ed inconte, vigne, pascoli, e acque, possedimenti e tutte le regioni di competenza, più la metà delle decime del paese e del territorio, compresi l’avvocazia e il giuspatronato della chiesa. Il 7 gennaio 1311 l’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo creò Simone Avogadro di Collobiano conte di San Giorgio Monferrato, Collobiano, Formigliana, Massazza e Lozzolo con ogni sorta di onori e prerogative. Il 20 gennaio 1546 Troilo Avogadro di Collobiano, diretto ascendente di Simone, vendette i propri diritti su Lozzolo ( quattro decimi circa del feudo) a Filiberto Ferrero-Fieschi, marchese di Masserano. Questa parte passò poi ai conti di Rho e infine ai Tornielli Rho, discendenti tutti da Margherita Ferrero,figlia di Sebastiano e moglie di Giuseppe Fieschi. Gli altri sei decimi rimasti agli Avogadro di Collobiano, parimenti discendenti da Simone e cognati del predetto Troilo, furono invece alienati dai fratelli Gianbattista, Carlo e Virginio Avogadro di Collobiano a Flaminio Avogadro di Asigliano (dell’antico ramo di San Giorgio ) che fu investito del feudo dal duca di Savoia Carlo Emanuele I il 20 maggio 1602. In linea genealogica il ramo di Collobiano, che portò come titolo principale quello di Lozzolo, ebbe origine da Troilo ( morto nel 1654) figlio di Flaminio, che dispose affinchè il proprio figlio secondogenito Carlo Tommaso e i suoi discendenti assumessero il nome di Avogadro di Lozzolo. Questi si estinsero nel volgere di tre generazioni nel XVIII secolo con due valorosi soldati : Prospero Flaminio conte di Lozzolo ( 1701-1742), capitano dei dragoni di Piemonte deceduto combattendo nell’assedio di Modena il 10 agosto durante la guerra di successione d’Austria; Giacomo Filippo, luogotenente nel Reggimento fucilieri di Sua Maestà il re di Sardegna. Morto senza figli, con testamento datato 30 settembre 1756, nominava eredi i propri cugini Eusebio e Giuseppe (padre e figlio) Avogadro di Collobiano e della Motta. Non si conosce la data precisa della costruzione del Castello, ma della sua esistenza si ha notizia certa dell’atto di vendita del 5 dicembre 1302. Situato in posizione dominante è deturpato dalle costruzioni che gli sono cresciute accanto. Il lato nord con torretta angolare cilindrica è la parte che meglio conserva l’aspetto originale, nonostante si trovi in miserevole stato di conservazione. Nel XIV secolo il muro di cinta era più basso e munito di merlature a coda di rondine, parte delle quali sono ancora visibili. Il lato orientale è stato deturpato da finestre e balconi. La torre cilindrica dell’angolo sud-est è stata rifatta in epoca posteriore, dotata di loggetta panoramica e intonacata; sotto questa torre si trova l’antica cappella del castello, ormai ridotta a magazzino. L’interno, rifatto nella metà dell’ Ottocento, è stato arricchito di un ampio salone e belle sale ornate e affrescate. La Parrocchiale di San Giorgio era in antico ubicata all’interno del castello. La sua erezione si pone nell’anno 1440 e fin da allora i consignori Avogadro di Collobiano vi tennero un cappellano che esercitava già l’ufficio di parroco nell’attuale chiesa ( che si suppone edificata dai feudatari), dedicata al martire San Giorgio. La conferma di quanto asserito si desume dal libro dei Sinodali, redatto l’anno 1438, ove si legge: “capella S.Georgii de Loceno debet” mentre in quello dell’anno 1440 la dicitura non è più capella ma “ecclesia S.Georgii de Lozolo debet…”. La chiesa fu restaurata con il sostegno della comunità e del popolo l’anno 1716 e anche nel 1837. Nel 1963 è stata restaurata la facciata. Il pregevole altare in marmo fu eretto nel 1760 e benedetto il 10 agosto dello stesso anno. Questa parrocchia è di libera collazione,come risulta da una visita pastorale del 17 giugno 1666. A partire dal 1800 c.a. il castello fu acquistato da famiglie locali; in particolare, una parte di esso appartenne al noto pittore Vittorio Avondo e ai suoi ascendenti. Altri link suggeriti: http://www.loxolensis.it/index.php?option=com_content&view=article&id=9&Itemid=16, http://picssr.com/tags/lozzolo (per vedere altre immagini del monumento).

Fonti: http://www.comune.lozzolo.vc.it/index.php?module=xarpages&func=display&pid=5, http://www.geosearch.it/s_11883/Lozzolo/cosa-vedere/Castello-di-Lozzolo.php

Foto: la prima è di mpvicenza su https://www.flickr.com/photos/36102477@N04/13041047643, la seconda proviene da http://www.laprovinciadibiella.it/uploads/spareparts/2013/09/09/pagina_495/una-squadra-di-artisti-per-la-mostra-al-castello-di-lozzolo-560fa27ebdc582.jpg

martedì 28 giugno 2016

Il castello di mercoledì 29 giugno






BROLO (ME) – Castello Lancia

Brolo, la città che nelle antiche mappe dei geografi arabi era indicata come Marsā Dālīah, il “porto della vite” (perché qui le navi caricavano il vino), domina ancora oggi, con il suo caratteristico borgo medievale, la splendida costa saracena, quella fascia di costa tirrenica che spazia da Capo d’Orlando a Capo Calavà, un tempo terra di razzie da parte delle galere di Kair-ed-din, il famoso pirata Barbarossa. Fulcro di quella che sembra una piccola kasba tunisina è il castello medievale di Brolo con la sua magnifica torre. Come compare in un privilegio di Ruggero I del 1094, il primo nucleo del borgo con la sua torre era conosciuto in epoca normanna con il termine arabo di Voab, cioè “rocca marina”. La torre era un presidio posto a tutela delle sottostanti attività portuali nonché punto privilegiato per la difesa dalle incursioni dei mori, mentre il borgo aveva un’importante funzione nevralgica per l’economia dell’entroterra nebroideo, con il suo porto che doveva avere un ruolo di grande importanza nel quadro delle rotte commerciali marittime, anche alla luce della strategica vicinanza delle dirimpettaie isole Eolie. Nel 1682 il porto venne insabbiato e distrutto dalle piene dei torrenti che, come già nel 1593, danneggiarono il borgo. Così quella che un tempo era una fortezza che sorgeva su una cresta rocciosa a dirupo sul mare, oggi appare un maniero ben discostato dalla battigia a causa della formazione di una pianura alluvionale. Secondo Martino de Spucches, la costruzione del castello risale ai primi del ‘400 ad opera di Pietro o Corrado Lancia. I Lancia di Brolo vennero in Sicilia dal Piemonte ai tempi degli Svevi ed erano discendenti da Galeotto e Cubitosa d'Aquino, nipote dell'imperatore Federico II e sorella del filosofo San Tommaso d'Aquino. L’accesso alla cittadella è consentito da due porte, quella denominata “fausa”, alle spalle del castello, e l’ingresso principale con l’arco in arenaria sormontato da un altorilievo marmoreo che reca una sequenza di quattro scudi con gli stemmi dei Luna, dei Lancia, della baronia di Piraino e degli Alagona. E proprio su questa porta della cinta muraria trova fondamento la scritta “Imperium Rexit Blanca – Hoc e Stipite Natus Manfredus Siculus Regia Sceptra Tulit”, mentre sulla seconda c’è, a ricordo di Corrado III che nel 1404 veniva dichiarato “maior ac principalior de domo Lancia”, il marmoreo bianco scudo con la scritta “Principalior Omnium”. Del complesso castrale resta la cortina muraria, inglobata talvolta in strutture murarie successive, i due portali ed una corte sistemata a giardino con un elegante pozzo esagonale, il tutto sormontato dalla mole del mastio. Basata su una poderosa scarpa, la torre è caratterizzata da un torrino cilindrico addossato alla parete settentrionale, all’interno del quale vi è una scala a chiocciola che permette di collegare i vari piani. La torre si eleva per quattro livelli culminando in una terrazza ed è coronata da merli ghibellini con il loro profilo a coda di rondine. I primi tre piani sono caratterizzati da ambienti unici, con il pian terreno ed il primo piano aventi una volta a botte. Al secondo piano vi è una bellissima sala di rappresentanza, e presenta, contrariamente alle altre, una volta a crociera che si chiude con lo stemma dei Lancia di Brolo. Questo è l’unico piano a possedere aperture su ogni lato, oltre ad avere, sul lato esposto a est, una porta che immette su un monumentale balcone panoramico. Da qui si ammira infatti la costa saracena in direzione Messina, notando la decadente Torre delle Ciavole ed in lontananza Capo Calavà. Il famoso balcone è anche legato ad antiche leggende, come quella di Maria La Bella, probabilmente Maria Lancia, figlia di Francesco I e di Francesca Settimo. Si narra che una bellissima principessa si affacciava dal balcone del castello per aspettare l’amante sopraggiungere dal mare. Lo spasimante, una volta raggiunta la torre, si aggrappava alle lunghe trecce della sua amata per raggiungerla in segreto. Di ciò si avvide un giorno il fratello della principessa, il quale, geloso, tese un agguato al giovane innamorato. Così una notte il principe lo aspettò sullo scoglio antistante il castello, che forse per questo è detto del pianto, “ploratu”, gli sopravvenne ferendolo a morte, e lo gettò a mare chiuso in un sacco. La bella Maria aspettò invano il ritorno del suo amato, disfacendosi sino a morire. Spirito innamorato, la principessa appare ancora nella notte augurando ai pescatori “Juta e vinuta! Bona piscata”, mentre in caso di burrasca li richiama invocando ”Isati li riti! Viniti! Turnati!”. Il castello di Brolo, oggi della Famiglia Germanà, la quale ha curato il restauro delle parti fatiscenti e dei danni subiti a causa della seconda guerra mondiale, ospita al suo interno il Museo delle Fortificazioni Costiere della Sicilia ed il Museo Storico della Pena e delle Torture, rappresentando, con la sua storia intrisa di leggende, cortigiane e pirati, uno degli angoli più suggestivi ed interessanti della nostra amata isola. Il maniero fu ambita sede di nobili, oltre che residenza della Principessa Bianca Lancia, moglie dell’Imperatore Federico II e madre di Manfredi Re di Sicilia. Illustri viaggiatori ed artisti hanno soggiornato nel Castello di Brolo, rapiti dalla folgorante bellezza del luogo. Tra questi ricordiamo il pittore poeta tedesco Carl Grass (1804) amico di Goethe, il quale, anzichè sostare pochi giorni nell'antico maniero si fermò per parecchi mesi. A tal proposito così scriveva su Brolo:
"Di più bello non ho mai visto nulla!", così disse un poeta pittore, Pittori! Non pensate. La stessa cosa è poetare e pitturare. Il castello di Brolo ha una pagina Facebook dedicata: https://it-it.facebook.com/CASTELLO-DI-BROLO-24805146980/. Qui invece potete trovare diverse foto interessanti: http://www.bandw.it/gallery%20foto/castelli/Castello%20di%20Brolo/album/index.html

Fonti: scheda del Dott. Andrea Orlando su http://www.icastelli.it/castle-1234881785-castello_di_brolo-it.php, http://www.castellodibrolo.com/storia-castello-brolo/ (sito web dedicato al castello e di cui consiglio la visita), http://www.medievalia.it/castello.php

Foto: entrambe sono cartoline della mia collezione

il castello di martedì 28 giugno






TREVIOLO (BG) - Castello dei Solza

Al termine della dominazione romana si pensa che Treviolo, Albegno e Curnasco abbiano attraversato una fase di spopolamento, terminata con l'arrivo dei Longobardi, i quali istituirono un fundo Curnasco, citato in documenti dell'anno 774. Di poco successivi, precisamente dell'871, sono gli atti in cui si menziona Albineas (poi traslato, già dal 964 in Albigna), mentre Trevilio appare in carte risalenti al 910 (soltanto nel 1174 apparirà come Triviliolo). Erano gli anni in cui l'intera zona era stata assoggettata al dominio del Sacro Romano Impero, i cui reggenti istituirono il feudalesimo. Questi affidarono al Vescovo di Bergamo i territori di Treviolo già nel XII secolo, ma la loro posizione di vicinanza al capoluogo orobice li rese particolarmente ambiti dalle fazioni guelfe e ghibelline, che miravano ad assumerne il controllo. Numerose furono le devastazioni territoriali, alle quali si cercò di porre fine con la costruzione, nel XIII secolo, di un imponente castello nella frazione di Albegno, ai tempi separata amministrativamente sia da Treviolo che da Curnasco: in quel contesto la zona venne occupata dalla famiglia Suardi, di schieramento ghibellino, che diede grande importanza strategica al borgo. Gli scontri raggiunsero l'apice nel corso dell'anno 1405, quando Treviolo fu sottoposto ad un violento attacco perpetrato dalla famiglia guelfa dei Colleoni di Trezzo sull'Adda, che distrussero edifici ed uccisero numerosi abitanti schierati con la fazione a loro avversa. La situazione ritornò alla normalità soltanto all'inizio del XV secolo, quando irruppe la Repubblica di Venezia che, grazie ad una serie di interventi mirati, riuscì a ristabilire un equilibrio sociale ponendo fine alle lotte ed a risollevare l'economia, favorendo lo sviluppo agricolo. Questo nonostante i terreni non fossero particolarmente fertili, a causa della loro natura alluvionale e ghiaiosa, a cui si pose rimedio creando una serie di piccoli canali irrigui. Il luogo di maggior rilevanza è il castello di Treviolo, risalente al periodo medievale, esistente già nell'XI secolo e menzionato tra i castelli di quel periodo posti a difesa della città di Bergamo. Le vestigia di tale edificio si trovano sulla piazza Monsignor Benedetti, la principale del paese. Distrutto dai Colleoni di Trezzo con il pretesto della guerra fratricida tra guelfi e ghibellini, ma solo ed esclusivamente per mire espansionistiche e di possesso del territorio, dopo la pace di Ferrara ritornò di proprietà dei nobili Solza, la famiglia che dal 1300 circa ne è rimasta proprietaria fino all'inizio del XIX secolo. Dell'edificio sono rimasti la torre, l'ingresso e una porzione della cinta muraria. La testimonianza più evidente e significativa dell'antico maniero si trova oggi sul lato occidentale, a metà lunghezza, da cui si innalza una torre di ingresso sporgente verso l'esterno e con tracce di ponte levatoio. Le murature sono in ciottoli disposti a spina di pesce nei corpi di fabbrica, e in mattoni rinforzati agli angoli da cantonali di pietra nella torre. A questo link potete trovare qualche foto del monumento: https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g1060078-d5827959-Reviews-Castello_di_Treviolo-Treviolo_Province_of_Bergamo_Lombardy.html

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Albegno, https://it.wikipedia.org/wiki/Treviolo, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/RL560-00103/

Foto: la prima è presa da https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/05/28/48/78/castello-di-treviolo.jpg, la seconda invece da https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/05/28/48/6f/castello-di-treviolo.jpg

lunedì 27 giugno 2016

Il castello di lunedì 27 giugno






SOMAGLIA (LO) - Castello Cavazzi

L’imponente complesso edilizio che domina la campagna circostante è costituito da un volume architettonico in cui sono chiaramente riconoscibili le varie modifiche avvenute nei secoli. Fu certo ricostruito nel XIV secolo su fondamenti e sotterranei che potrebbero risalire al 1000 (sul luogo di un probabile fortilizio precedente impiegato come luogo di Diete dall’Imperatore Federico Barbarossa durante le sue discese in Italia): il suo antico portone portava una lamiera di ferro con l’anno 1116; tale portone fu sostituito nel 1780. La parte trecentesca opera di Barnabò Visconti, signore di Milano, (1371) è riconoscibile perché in mattoni a vista e conserva nella parte alta “merli guelfi” ad aperture archiacute ora chiuse ed inglobate nella muratura. La parte intonacata è l’ampliamento o meglio la modifica seicentesca voluta dai conti e baroni Cavazzi, famiglia di origine spagnola al servizio degli Sforza, sull’onda della moda del tempo, che trasformava contenitori di epoca medioevale in villa-palazzo. I due corpi sono uniti da una torre rettangolare leggermente più alta rispetto agli altri corpi di fabbrica scandita da aperture a ogni livello. La torre ha perso l’aspetto difensivo tipico di questi elementi architettonici ed è oggi adibita a ingresso principale, funzione in passato espletata dall’apertura ad arco acuto posta immediatamente alla sua sinistra. All’interno una piccola corte; su di essa si apre un portico a “serliana” e un portichetto con colonna singola che permette l’accesso all’imponente scalone un tempo decorato da dipinti raffiguranti i ritratti dei nobili Cavazzi e di Barnabò Visconti. Purtroppo l’interno, a causa delle varie vicende storiche e dall’abbandono del complesso, non conserva alcuna traccia dell’antico splendore, solo qualche affresco nella sala detta “d’armi” in quanto custodiva armi da fuoco, lance ed alabarde fino alla meta del XX secolo. Tale complesso durante la seconda guerra mondiale fu adibito a dimora per famiglie prive di abitazione e verso la metà degli anni settanta fu completamente abbandonato. Fortunatamente nel 1980 l’ultima contessa e baronessa Guendalina Cavazzi della Somaglia lo donava al Comune il quale con ingenti sforzi economici e pazienti restauri lo ha restituito alla comunità ed è oggi destinato ad ospitare istituzioni e manifestazioni culturali. Particolarmente significativa è la parte antistante il castello, un tempo adibita a scuderie, che delimitano un ampio spazio denominato “Piazza del Re” a ricordo degli antichi fasti. Nel periodo visconteo il castello era munito di ponte levatoio che collegava l’edifico alla piazza antistante. Nel 1525 va ricordato che, a difesa del maniero e della gente, fu cinto da Ludovico Vistarini - governatore spagnolo di Lodi - da bastioni in parte tutt’oggi visibili (mura di Via IV Novembre e Piazza 28 Aprile). Altre notizie sono reperibili qui: http://www.forumtools.biz/koine/upload/j25l3tzdi01vf2hylprkyhhg424201304292202castello_opuscolo2.pdf, http://www.ilcittadino.it/p/notizie/primo_piano/2016/04/06/ABS5ItUJ-somaglia_tutti_castello_aperto.html. Ecco un breve video (di ilMovimentoLento) riguardante il maniero: https://www.youtube.com/watch?v=RxPETUvh8Lg

Fonti: http://www.comune.somaglia.lo.it/il-comune/il-nostro-paese/i-monumenti/il-castello-cavazzi/, http://www.bicilodi.movimentolento.it/it/resource/poi/39-castello-di-somaglia/

Foto: la prima è presa da http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LO620-00081/ (link consigliato per approfondimenti), la seconda proviene da http://www.ilcittadino.it/rf/Image_fmt/IlCittadinodiLodi/2016/05/06/Foto_Trattate/Castello_Somaglia--676x433.jpg

domenica 26 giugno 2016

Il castello di domenica 26 giugno






PIENZA (SI) – Castello di Spedaletto

Su una delle varianti del tracciato principale della via francigena nel contado Senese sorse il castello di Spedaletto, oggi raggiungibile da una traversa della via Cassia che da Bagno Vignoni porta verso Pienza (lungo la Strada Provinciale 53). Ci troviamo nel cuore della valle del fiume Orcia, che scorre poco distante. Qui il paesaggio naturale e quello modellato dall'uomo si fondono in un tutt'uno che ha pochi eguali. Il toponimo fornisce già un chiaro indizio dell'originaria funzione di questo castello che fu edificato nel XII secolo da Ugolino da Rocchione, come "spedale" per pellegrini "romei" e viandanti diretti a Roma. La prima traccia scritta di Spedaletto risale al 1191, citato nelle memorie di viaggio di Filippo II re di Francia, di ritorno dalla terza crociata. Nel 1236, il complesso passò sotto l'amministrazione dello Spedale senese di S. Maria della Scala di Siena riportato come "Spedale del Ponte dell'Orcia" vista la vicinanza con il vicino ponte sul fiume omonimo di cui oggi rimangono solo le rovine. Nel corso del Quattrocento furono effettuati lavori di restauro che modificarono l'originario aspetto del castello di origine medievale, conferendogli l'aspetto di grancia (fattoria fortificata) con il compito di amministrare questa porzione di Val d'Orcia e di conservare in luogo sicuro i frutti del raccolto. Al complesso furono aggiunte torri e mura merlate per migliorare l'apparato difensivo; risalgono al 1446 l'antiporta con mura. Numerose donazioni diedero una certa ricchezza a Spedaletto tali da renderlo relativamente importante e ambito dai feaudatari della zona. A testimonianza di tale fama si ricorda la sosta di Carlo II d'Angiò di ritorno da Napoli lungo la via Francigena nel 1289. Un altra sosta eccellente fu quella di Papa Pio II Piccolomini che nel 1460 in visita allo Spedaletto emise una Bolla a favore della chiesa plebana, in seguito da lui stesso riconsacrata nel 1462. Il XV secolo vide una nuova ristrutturazione del castello con nuove opere difensive dovute all'entrata in scena delle armi da fuoco. La successiva caduta di Siena portò il castello a diventare di fatto una fattoria e come tale si è mantenuto fino alla nostra epoca. In epoca ottocentesca venne aggiunto un fabbricato per ospitare il magazzino della grancia. Il complesso architettonico fortificato, che oggi si presenta ben conservato, si articola con una planimetria quadrangolare. Su ciascuno dei quattro angoli si eleva un edificio turriforme; quello nord-occidentale si caratterizza per la merlatura sommitale. Le mura a merlatura guelfa e apparato a sporgere con beccatelli in pietra presentano in molti punti una leggera scarpatura sicuramente aggiunta nei rifacimenti del XV secolo. Sono presenti anche numerose feritoie per armi da fuoco. Sul lato ovest si apre la porta di accesso robustamente fortificata. Davanti al lato settentrionale del complesso una serie di edifici disposti ad L, in parte adibiti a magazzini, precedono la struttura fortificata. Lungo il lato occidentale si elevano due torrette merlate, ciascuna alla rispettiva estremità, mentre al centro si apre una porta sovrastata da una torre di guardia anch'essa merlata, dalla quale origina un tratto di cortina muraria che la unisce alla torretta meridionale. Presso il castello si trova la chiesa di San Niccolò a Spedaletto con annessa canonica, caratterizzata da un bel rosone e portale con arco a sesto acuto. Sulla destra, vi è una porta dalla quale si accede al mastio. All'interno, un cortile ospita un palazzotto con scaloni per l'accesso ai piani superiori. Oggi la struttura, ben restaurata, è adibita a funzioni ricettive, ma è liberamente visitabile all'esterno. Ecco i siti web ufficiali degli agriturismi legati all’antico complesso: http://www.agriturismoilcastellodispedaletto.it/ e http://www.castellodispedaletto.it/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Spedaletto, http://www.fototoscana.it/mostra-gallery.asp?nomegallery=spedalettopienza

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.agriturismocastellolagrancia.com/images/foto/homepage/big/4.jpg


sabato 25 giugno 2016

Il castello di sabato 25 giugno






CENTO (FE) – Rocca

La prima comunità formalmente costituita nella zona risale al 1185, quando il vescovo di Bologna riconobbe giuridicamente la comunità costituita da contadini, impegnati nelle opere di bonifica del territorio. All'inizio del Trecento, in concomitanza con la graduale perdita di potere del vescovo di Bologna, nacque la partecipanza agraria. In origine Cento era unita a Pieve di Cento, ma nel 1376, con decreto del principe centopievese Bernardo de Bonnevalle, vescovo di Bologna, venne separata da Pieve di Cento a cui fu riconosciuto lo status di "città autonoma". Nel 1502 Papa Alessandro VI cedette in dote Cento a Lucrezia Borgia, in occasione delle nozze con il duca Alfonso della casata estense; Cento tornò allo Stato Pontificio solo nel 1598. Nel XVII secolo, il Comune di Cento fu definitivamente separato dalla sua originaria pieve da un evento naturale, quale fu la rotta del fiume Reno, avvenuta nel 1648, che fu talmente devastante da porre il letto del fiume nel mezzo dei due centri. In quello stesso periodo, negli anni tra il 1641 e il 1649, Cento venne coinvolta anche nella guerra di Castro. La chiesa di San Martino di Tours a Buonacompra di Cento, crollata dopo le scosse del 20 maggio 2012. Nel 1754 Papa Benedetto XIV diede a Cento, con Bolla Papale, il rango di "Città" e durante la Repubblica Cisalpina (1797) venne scelta quale capoluogo del Dipartimento dell’Alta Padusa. All'inizio del XIX secolo Cento fece parte del regno napoleonico, che ebbe termine nel 1815 quando il cardinale Consalvi restaurò nella zona lo Stato Pontificio, riportando a Cento le opere d'arte trafugate da Napoleone. Poco distante dalle antiche mura alla fine dell’odierno corso Guercino, la Rocca sorse alla fine del ‘300, per volontà del vescovo di Bologna, quale freno alle velleità autonomistiche dei centesi. Il vescovo nel 1378 affidò i lavori di costruzione all'architetto Antonio di Vincenzo. Fu ricostruita e ristrutturata nei secoli per rispondere ai più moderni canoni dell’architettura militare e per reggere i ripetuti assalti di truppe nemiche. Visto che il suo compito era quello di resistere ai continui assalti di milizie nemiche non ci si occupò mai molto degli ornamenti e arredi interni. La massiccia costruzione presenta la tradizionale pianta quadrilatera, dotata di quattro torrioni per ogni angolo e di un robusto mastio centrale che porta tuttora le tracce della presenza originaria di un ponte levatoio che poteva salvaguardare la Rocca in caso di estremo pericolo. Un tempo era provvista della tipica merlatura poi sostituita da una copertura protettiva cosicché potesse essere usato anche lo spazio della terrazza. La Rocca di Cento cosi come appare oggi si deve però agli interventi voluti nel 1483 da Giuliano della Rovere, futuro Papa Giulio II, he commissionò anche cicli decorativi ora scomparsi (1485) e che, si dice, alloggiò più volte nel Castello. Per diversi secoli la Rocca fu utilizzata come carcere. Nella parte interna, ora integralmente restaurata, è possibile ammirare ambienti suggestivi come la cappella, la sala della trifora, le cannoniere e le prigioni.L’aspetto attuale, privo però del fossato e dei ponti levatoi, è frutto dell’impronta che volle dargli nel 1483 il cardinale Giuliano della Rovere, futuro Papa Giulio II. Nel corso dei secoli, perduta la sua originaria finalità, la Rocca ha ricoperto soprattutto una funzione di prigione per i detenuti politici e i banditi. Oggi gli interni, completamente restaurati, presentano stanze degne di interesse, come la cappella, la sala della trifora, le cannoniere o le prigioni, che ci narrano storie di amori tragici, banditi sanguinari, apparizioni miracolose o fughe rocambolesche. Sicuramente però, l’evento più noto accaduto all’interno del castello centese riguarda un’immagine della Madonna, forse risalente al 1597, che,  in seguito ad un atto sacrilego, iniziò a perdere sangue dal naso. Questa venerata immagine è oggi custodita nel vicino Santuario della Beata Vergine della Rocca. Oggi gli interni, completamente restaurati, presentano stanze degne di interesse, come la cappella, la sala della trifora, le cannoniere o le prigioni, che ci narrano storie di amori tragici, banditi sanguinari, apparizioni miracolose o fughe rocambolesche. La Rocca è sede di mostre temporanee, spettacoli teatrali e musicali, iniziative culturali e gastronomiche.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Cento_(Italia), http://www.cittadarte.emilia-romagna.it/luoghi/ferrara/rocca-di-cento, http://www.comune.cento.fe.it/sportellicomunali/iat/pagina93.html, http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-ferrara/cartina-monumenti-cento/monumenti-cento-rocca.htm,

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, mentre la seconda è di Silvy1967! su https://it.wikipedia.org/wiki/Cento_(Italia)#/media/File:La_Rocca_Cento,_Fe_01.JPG

venerdì 24 giugno 2016

Il castello di venerdì 24 giugno






CALIZZANO (SV) - Castello Del Carretto

Possedimento della Marca Aleramica di Bonifacio del Vasto dal 1091, il feudo, nel 1142, venne ceduto ad Enrico I Del Carretto seguendo così le sorti del Marchesato del Finale. Nel 1335 Carlo IV di Lussemburgo confermò il dominio terriero della famiglia Del Carretto che mantenne quindi l'investitura del castello, del territorio di Calizzano e delle terre circostanti. Nonostante un atto del 7 giugno 1444 sancì il gesto di fedeltà della popolazione calizzanese verso i marchesi Del Carretto fu proprio un componente della famiglia carattesca, Marco Del Carretto, signore di Calizzano, nella guerra di dominio tra la Repubblica di Genova e il marchesato finalese del 1447-1452, a tradire un altro componente della famiglia (Galeotto Del Carretto) stipulando una sorta di convenzione pacifica tra il borgo con la repubblica genovese. La reazione al tradimento fu tremenda; il borgo venne saccheggiato ed incendiato, il castello distrutto, costringendo alla fuga Marco Del Carretto ed i suoi cugini e scatenando una profonda crisi economica tra gli abitanti, costretti all'elemosina; l'episodio riportò il feudo calizzanese nelle mani del marchese Galeotto. Tra il 1530 e il 1540 vennero compiute nuove opere costruttive, quali il convento dei Domenicani e la chiesa dell'Annunziata al Pasquale. Successivamente venne ampliata, grazie all'abbattimento delle mura, anche la chiesa di San Lorenzo. Nel 1572, a causa dell'alleanza francese del marchese Del Carretto, truppe provenienti dalla Spagna invasero il marchesato finalese e le sue terre feudali, tra cui Calizzano. La popolazione del marchesato non riuscì ad imporre resistenza, soggiogata dalla cessione del borgo a Filippo III di Spagna da parte di Andrea Forza Del Carretto. Calizzano giurò in seguito la propria fedeltà al nuovo governatore marchesale Don Pedro de Toledo e al regno spagnolo; il governatore confermò gli stessi statuti, il 27 febbraio 1603, varati dalla famiglia Del Carretto nel 1600. Il borgo vide così "invasioni" di soldati spagnoli ed alemanni provvedendone, tra l'altro, al loro sostentamento e alloggio fino allo scoppio della peste bubbonica nel 1631, che mise in ginocchio il paese intero. Nel 1713 il trattato di Utrecht stabilì la fine del dominio spagnolo e il conseguente passaggio del marchesato finalese alla Repubblica di Genova. Nuove guerre locali si scatenarono intorno al 1747-1748 quando truppe piemontesi, comandate dal Regno di Sardegna, cercarono di sottrarre le terre alla repubblica genovese per poi cederle alla famiglia Del Carretto. Il trattato di Aquisgrana ristabilì il dominio genovese sulle terre. Durante l'invasione francese del 1797, comandate da Napoleone Bonaparte, il borgo subì gli scontri tra l'esercito d'oltralpe con l'esercito dell'impero austro-ungarico, divenuto possessore delle terre dopo l'occupazione di Genova e della Liguria. Negli incendi, appiccati da entrambi gli schieramenti, finirono bruciate le chiese ed il convento. Edificato sull'altura che domina il sottostante borgo e lo snodo stradale, dell'antico castello, costruito probabilmente da Enrico II Del Carretto nel XIII secolo, ne rimangono pochi resti dopo le distruzioni avvenute nel XV secolo e definitivamente in epoca napoleonica. Di sicuro per la popolazione il castello doveva rappresentare una porto sicuro in cui rifugiarsi in caso di attacchi esterni. La sua posizione è dominante rispetto alla direttrice che conduce ora, come in antichità, a Bardineto, al passo del Melogno e al passo Giovetti. Salire al castello non comporta un eccessivo sforzo fisico, vi si può accedere attraverso una salita che parte dal centro storico di Calizzano e conduce sull'altura nell'arco di una ventina di minuti. Dal castello partono inoltre diversi itinerari per gli amanti delle escursioni, in un territorio particolarmente amato dagli amanti delle camminate all'aria aperta. Una volta guadagnata la cima della collina non è difficile immaginare come dovesse essere strutturato l'insediamento fortificato poiché il recinto perimetrale è ancora ben delineato e al suo interno si intravvede una cisterna interrata, utile per la raccolta dell'acqua piovana, fondamentale ambiente sia per l'approvvigionamento idrico di chi abitava il castello sia per far fronte ai periodi di pericolo in cui non era possibile uscire dalle mura anche per molto tempo. Nella zona occidentale sono inoltre visibili i resti della torre circolare ed è facilmente comprensibile l'andamento della cinta muraria che, scendendo dalle alture intervallate da torri, abbracciavano e proteggevano l'abitato medievale. Ecco un interessante video al riguardo della Regione Liguria: https://www.youtube.com/watch?v=72uw1aqmgZg

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Calizzano, http://www.liguriaheritage.it/heritage/it/liguriaFeudale/Savona.do?contentId=30034&localita=2205&area=213

Foto: la prima è presa da http://www.liguriaheritage.it/heritage/download/fstore/1424184145751/Calizzano-01.jpg, la seconda è di Alessandro Collet su http://www.panoramio.com/photo/113123297 

giovedì 23 giugno 2016

Il castello di giovedì 23 giugno







PERINALDO (IM) - Castello Maraldi

Perinaldo è stato, nel passato, uno dei principali centri che hanno formato la Signoria ghibellina dei Doria. Secondo gli storici antichi, sorse intorno all'anno 1000 per volontà di Rinaldo della potente famiglia dei conti di Ventimiglia, dal quale ne derivò il nome. Infatti, il toponimo Perinaldo ha origine dalla parola Podium Rainaldi: letteralmente il “poggio di Rinaldo”. La leggenda vuole che il castello abbia accolto i fuggitivi della vicina villa Gionco, che sotto attacco dei Saraceni, venne data alle fiamme. Il castello è già menzionato in una dichiarazione del 1164 da parte di Guidone Guerra, conte di Ventimiglia, che si impegna a proteggere la persona e i beni del vescovo di Nizza, offrendo in garanzia alcuni sudditi dei feudi di Sospel, Roquebrune, Perinaldo, e Pigna. Nel 1220 il castello di Perinaldo si era già costituito in comune, eleggendo dei propri Consoli in rappresentanza della comunità. A seguito dell'indebolimento dei conti di Ventimiglia e del rafforzamento del potere di Genova nei territori del Ponente Ligure, i Conti vendettero i feudi di Perinaldo e Gionco al genovese Fulcone da Castello, che li tenne fino al 1251, anno in cui vennero di nuovo ceduti a Zaccaria de Castro. I feudi perinaldesi rimasero nelle disponibilità della famiglia Zaccaria fino al 1288, anno in cui vennero acquistati dall'ammiraglio genovese Oberto Doria, che insieme a Dolceacqua, Apricale e Isolabona andarono a costituire il più antico nucleo della Signoria ghibellina dei Doria. I Doria fecero del proprio dominio il centro di raccolta dei ghibellini genovesi, che si contrapposero con dure lotte ai guelfi di Monaco, capeggiati dalla famiglia Grimaldi. Tale rivalità si protrasse fino al 1491, anno in cui le due famiglie si allearono a seguito del matrimonio tra Luca Doria e Francesca Grimaldi di Monaco. Ma la pace durò pochi anni, perché nel 1523 il figlio di Luca, Bartolomeo Doria, con l'intento di creare un'unica grande signoria tra Dolceacqua e Monaco, uccise lo zio materno Luciano I di Monaco. A seguito del delitto, per sfuggire al bando dell'impero, il Doria fece solenne atto di vassallaggio al duca Carlo III di Savoia, ed è così che Perinaldo, insieme agli altri castelli, divenne un protettorato della corona piemontese. Nel 1580 la comunità di Perinaldo, con l'approvazione di Giulio Doria, elaborò i nuovi statuti comunitari formati da 169 articoli, redatti in italiano, rappresentanti uno dei più completi e importanti documenti statutari di tutta la zona. Nel 1625 i castelli dei Doria entrarono in guerra al fianco del Duca di Savoia contro la Repubblica di Genova. Ma la politica incerta del Signore di Dolceacqua, il quale, pur dichiarandosi alleato del Duca, favorì nella pratica l'avanzata dei genovesi. Questa situazione portò all'occupazione da parte del Duca dei possedimenti doriani, che si risolse solo nel 1652, anno in cui i feudatari dovettero giurare definitivamente obbedienza ai Savoia, vedendo così innalzato il proprio feudo a marchesato. A Perinaldo tale giuramento avvenne il 10 aprile, officiato nella piazza antistante la parrocchiale, alla presenza di tutti i capifamiglia del distretto. Nel 1640 i frati dell'Ordine di San Francesco, si insediarono nel paese costruendo un convento accanto alla chiesa di San Sebastiano. Si deve a loro un'importante innovazione agraria, in quanto sostituirono la coltivazione dell'ulivo olivastro nell'attuale varietà taggiasca ancora in atto. Nel 1672 scoppiò tra Genova e Savoia un nuovo conflitto che interesserà direttamente i castelli della signoria dei Doria. Il 28 agosto le milizie corse, che combatterono per la repubblica genovese, accerchiarono il castello di Perinaldo, e dopo una lunga resistenza, riuscirono ad abbattere le porte delle mura ed ad entrare nell'abitato spargendo morte e terrore tra gli abitanti. Nel 1794 Napoleone Bonaparte insieme al generale Andrea Massena visitò il borgo di Perinaldo, pernottando nel castello Maraldi e nel palazzo Allavena. A seguito di questa visita e in riferimento alla riorganizzazione territoriale della zona, Perinaldo venne eletto capoluogo di Cantone al posto di Dolceacqua. All'interno del centro storico, percorrendo via Maraldi si incontra la casa Castello dei Maraldi , quindi la Fontana dei Leoni, un tempo prezioso rifornimento di acqua sorgiva, e si sbocca sulla piazza della Parrocchiale San Nicolò. L'edificio fu dimora, tra XVII e XVIII sec., degli astronomi e cartografi Cassini, Maraldi e Borgogno, come riportato su una lapide posta sulla porta d'ingresso del castello. La struttura oggi offre appartamenti indipendenti con una grande terrazza affacciata sulle Alpi (http://www.castellodiperinaldo.com/).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Perinaldo, http://www.comune.perinaldo.im.it/Home/Guidaalpaese/tabid/28094/Default.aspx?IDDettaglio=11074, http://www.cultura-barocca.com/imperia/perinal.htm, http://www.sullacrestadellonda.it/cartografia/cassini.htm?l

Fonti: la prima è presa da http://www.astroperinaldo.it/perinaldo/IMGP0490%20castello.jpg, la seconda da http://www.terrediriviera.it/contenuto/comuni/perinaldo.ashx

mercoledì 22 giugno 2016

Il castello di mercoledì 22 giugno






CAGLI (PU) - Castello di Naro

Posta sulla strada provinciale che conduce da Acqualagna ad Apecchio, la piccola frazione di Abbadia di Naro si trova in un angolo remoto del comune di Cagli, circondata da una serie di alte colline che sembrano quasi nascondere e proteggere l’abitato da ogni tipo di intrusione esterna.
Su una di queste colline, in magnifica posizione dominante su tutta la vallata, si trova l’elemento caratterizzante del borgo, ovvero l’antico Castello di Naro, recentemente ristrutturato e riportato agli antichi splendori dopo secoli di abbandono. Il castello di Naro, la cui prima edificazione, secondo recenti studi, risalirebbe al 552 d.C., racconta una storia di fierezza e coraggio: Naro è “il castello dei Siccardi”, una potente fortezza, simbolicamente innalzata a estrema difesa contro l’ingordigia del comune di Cagli e poi contro quella dei conti di Urbino, i Montefeltro. Ma chi erano i Siccardi? Erano potenti feudatari, un’antica e potente famiglia guelfa, citata nelle cronache già dall’XI secolo: addestrati all’esercizio delle armi, i suoi membri custodivano diverse fortificazioni tra Cagli e Piobbico e avevano dominio su ampie terre. Ubicato su un'aspra altura che domina la vallata del fiume Candigliano, a 417 m s.l.m., il castello si erge isolato sulla roccia, in posizione strategica e a controllo di un’importante via di comunicazione, che in antico era il passaggio per la Massa Trabaria. Nei primi anni del XIII secolo le mire espansionistiche del vicino libero comune di Cagli toccarono anche Naro: il castello per la sua posizione strategica poteva diventare un’importante fortezza di controllo del territorio comunale (oltre a garantire reddite fiscali al comune). Nelle estati degli anni 1217 e 1219 Filippo, Angelo e Rainaldo Siccardi furono costretti a sottomettere il castello di Naro ed altri loro castelli al comune di Cagli. Rainaldo chiese al comune, in cambio della fedeltà dei propri castelli, la carica di Podestà (per un anno) e diversi denari, più grano, vino, legna e una degna abitazione nel centro della città. Ma il patto di convenienza tra i Siccardi e Cagli durò ben poco. Qualche anno più tardi Filippa Siccardi, feudataria del castello di Naro, riaprì, sua sponte, le ostilità contro il comune. Filippa non potè resistere che pochi anni contro la schiacciante forza di Cagli. Già nel 1227 Cagli poteva reintegrare nel proprio distretto i castelli di Bosso, Valveduta, Castiglione, Frontone e Naro. Ma Filippa aveva resistito fino all’ultimo assedio e restituì al comune di Cagli castelli piuttosto malconci. La resistenza era stata talmente forte che il comune di Cagli, nel timore di subire altre rappresaglie, la obbligò a non risarcire le proprie fortezze danneggiate. Nel XIV secolo il castello non era più in mano ai Siccardi, ma era di proprietà dei Mastini, una famiglia di guerrieri, la cui origine si fa risalire al 1162 quando l'Imperatore Federico di Svevia ebbe a conquistare Cagli. Nel 1388 signore del castello fu Nolfo Mastini, cagliese di parte ghibellina, capitano delle milizie del Conte Antonio di Montefeltro, nonché marito di Calepretissa, sorella dello stesso Conte Antonio. Non si hanno altre notizie sul castello di Naro e le sue vicissitudini fino alla seconda metà del XVI secolo, quando ormai il castello apparteneva alla famiglia Berardi, altra nobile casata cagliese, che vanta tra i suoi antenati un cardinale, il Cardinale Berardo Berardi, nominato dal Papa Nicolò IV, e in mano alla famiglia Berardi rimarrà fino ai primi anni dell’800. Nel 1798 il castello venne ceduto ai Moscardi di Cagli ai quali subentrò prima la famiglia Priori e poi la famiglia Cresci. Gli odierni proprietari sono i De Sirena che consentono l’accesso al pubblico una volta al mese. L’esterno del castello è rimasto quasi intatto nel tempo e ricorda vagamente la carena di una nave. Attraverso un portale ad arco a sesto acuto si accede al recinto del castello; un’ampia struttura semicircolare va fino allo sperone di roccia a strapiombo. Per entrare nell’edificio si passa da un portale ogivale posto in cima ad una rampa. Numerose sono le sale con le volte, una di essa ha volta ad ombrello, così come numerosi sono gli affreschi che è possibile ammirare, in particolare la “Chiamata di Sant’Andrea”, copia della pala che il Barocci eseguì a Pesaro e che ora si trova a Bruxelles. Sembra inoltre, secondo alcuni storici, che il castello fosse munito di un lungo passaggio sotterraneo. Il paziente ed impegnativo restauro durato 5 anni ha riportato la struttura al suo antico splendore, fondendo insieme il rigore storico con elementi di innovazione e facendo del Castello di Naro una location straordinaria per eventi e cerimonie oltre ad una dimora unica per soggiorni esclusivi. La sala meeting, la sala ristorante e soprattutto gli ampi spazi verdi rappresentano una cornice estremamente suggestiva per qualunque evento; dal meeting aziendale alla cena esclusiva al party nuziale. Ecco il profilo Facebook del castello: https://it-it.facebook.com/Castello-di-Naro-379871275406253/
 
Fonti: http://www.castellodinaro.it/?page_id=9&#storia, http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-naro-acqualagna/, http://www.borghipesarourbino.it/castelli-e-rocche/abbadia-di-naro/

Foto: entrambe prese da http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-naro-acqualagna/

martedì 21 giugno 2016

Il castello di martedì 21 giugno





TORRE DEL GRECO (NA) – Torre Scassata

Lo storico torrese del '600 Francesco Balzano, sostiene la leggenda che tale denominazione risale ad un eremita greco che, stabilitosi ai piedi del Vesuvio, curava la coltivazione di uva greca da cui traeva un eccellente vino. Seguirono la dominazione bizantina e il ducato napoletano autonomo fino al 1139; poi i Normanni che unificarono definitivamente tutta l'Italia meridionale gli Svevi fino al 1266, gli Angioini fino al 1442. Solamente a partire dal secolo XV abbiamo piena luce sulle strutture sociali, politiche ed economiche della Comarca torrese, formata dalle Università di Torre, Resina (oggi Ercolano) e Portici con Cremano. Pur essendo di pertinenza giuridica della città di Napoli, detta Comarca fu alienata nel 1418 dalla Regina Giovanna II d'Angiò-Durazzo a Sergianni Caracciolo, suo favorito, in pegno di un prestito di 2.000 ducati. Al Caracciolo subentrò nel pegno per il solo Castello, Antonio Carafa, per altro prestito di 1.600 ducati fatto alla stessa Regina, la cui dinastia conservò il possesso della Comarca quasi ininterrottamente fino al 1566 per riprenderlo, dopo soli otto anni di padronanza di G. F. de Sangro prima e di Marcello Caracciolo poi, col ramo cadetto dei Carafa-Stigliano. Con la morte di Nicola Guzman-Carafa, figlio della Viceregina di Napoli Anna Carafa, anch'essa già Utile Padrona di Torre, avvenuta nel 1689, cessò il dominio dei Carafa. Altre alienazioni dei Casali si ebbero finché nel 1698, essendosi verificato un ennesimo atto di rendita del territorio tra la Contessa di Berlips e il Marchese don Mario Loffredo di Monteforte, i Torresi, capeggiati da eminenti uomini di cultura tra i più rappresentativi, chiesero alla Regia Corte di avvalersi dello "Jus Praelationis'' contemplato da una legge emanata da Carlo V nel 1535 "onde vivere sotto il manto e felicissimo dominio dei Serenissimi Regnanti di Spagna". Il 18 maggio 1699 si ebbe così il Riscatto di Torre del Greco e Comarca previo pagamento di ducati 106.000, anticipati da Enti pubblici e da facoltosi cittadini delle tre Università. Col Riscatto si ebbe la configurazione giuridica del "Barone" inteso come intestatario dei beni delle Università e rappresentante delle stesse presso la Regia Corte, come prevedevano le leggi in vigore. Il primo Barone torrese fu Giovanni Langella, uomo onesto e poverissimo, che al momento dell'investitura rinunciò espressamente ad ogni pretesa economica per tale nomina. La sua famiglia conservò la Baronia sino al 1806 quando, con l'avvento di Giuseppe Bonaparte, fu abolito il feudalesimo. La “Torre di incino”, più comunemente “Torre Scassata”, baluardo di avvistamento dei pirati saraceni, posta sul mare ai confini con la “Torre dell’Annunciata”, ha identificato tutta la vasta area sulla quale sorge. Essa è attigua a quella altrettanto estesa, nella quale si trova la Cappella della Madonna di S. Maria La Bruna, che a sua volta, ha dato il suo nome a tutta quella località ed il cui culto era comune ai contadini e ai marinai del posto. Altri link suggeriti: http://www.torreomnia.it/Testi/flavio_russo_torri/torri_004.htm


lunedì 20 giugno 2016

Il castello di lunedì 20 giugno






BAGNI DI LUCCA (LU) - Rocca di Lucchio

L'insieme della roccia, della pietra del borgo medievale e di quella della fortezza fuse in una oscura immagine di puro medioevo fanno di Lucchio uno dei paesi più scenografici della Toscana più nascosta. Dire nascosta è dir poco in quanto proveniendo da Lucca è quasi impossibile scorgere il borgo, incastonato sul versante della montagna rivolto verso Pistoia, e il suo castello, da questo lato fuso con la roccia. Diversa appare la scena per chi giunge dalla direzione opposta, passato Popiglio dopo poche curve qualcosa di anomalo sul versante di una dell tante valli rocciose dell'area attirerà la vostra attenzione: sono le case di Lucchio, sovrastate dagli scarsi resti della un tempo potentissima sua fortezza. Anche la tortuosa e stretta strada che ancora oggi occorre percorrere per raggiungere l'abitato ci fa capire quanto era inespugnabile il luogo. Un detto popolare della zona non ha bisogno di commenti: le massaie del luogo metterebbero un sacchetto alla coda delle galline per impedire alle uova di rotolare a valle... Il borgo è ancora oggi tagliato da stradine percorribili solo a piedi e, dopo l'abbandono degli ultimi decenni causato dalla sua posizione e dalla povertà delle sue terre, sta lentamente risorgendo dal degrado e la rovina. Ancora oggi è dominato da i resti, purtroppo ormai scarsissimi, del suo castello. Il fortilizio, risalente all' XI secolo e sviluppatosi in piena età feudale, gode di una delle posizioni di maggior dominio sul territoio circostante, e soprattutto sulla strada di fondovalle che costeggia il corso del fiume Lima, riscontrabile fra i castelli medievali Toscani. Eretto e scavato sulla roccia viva, tanto che in più punti le mura non ne sono altro che un prolungamento, perennemente spazzato dal vento ed ancora oggi difficilmente raggiungibile - attenzione al piccolo ripido sentiero sconnesso, unica via di accesso - il castello di Lucchio è da sempre oggetto di leggende popolari. La sua origine non è certa, forse anch'esso come il vicino Limano risale alla Contessa Matilde di Canossa, o come indicherebbe la toponomastica di alcuni paesi della valle come Vico Pancellorum o Panulegium, oggi Palleggio, risalirebbe all'epoca Romana, o più semplicemente fu un fotilizio di una delle tante famiglie feudali della zona come i Suffredinghi o i Lupari o ancora come altri luoghi vicini fu un insediamento Longobardo. Quel che è certo è che la città di Lucca ne fece nel XIV secolo un punto di forza a guardia dei confini verso Pistoia. Castruccio Castracani pensò bene di sfruttare la posizione strategica della rocca per controllare la montagna pistoiese e contrastare l'avanzata fiorentina, che contava ben 80 cavalieri e 900 fanti. Alla morte di Castruccio, invece che appoggiare i suoi discendenti, l'imperatore Ludovico il Bavaro, nonostante fosse stato aiutato dalla famiglia dei Castracani, vigliaccamente cedette la Repubblica di Lucca al miglior offerente, indebolendo le terre e esponendo il castello alla conquista di Pistoia a cui si sottomise nel 1337. I figli di Castruccio cercarono negli anni seguenti di riprendersi il castello fallendo miseramente, nonostante l'appoggio dei Visconti. Fu tentato un attacco interno da parte di un gruppo di pistoiesi senza peraltro riuscirci a causa anche di un incendio che distrusse la Torre Ghibellina. Fu liberato in seguito nuovamente nel 1369 da Carlo IV di Boemia e il castello finì nuovamente sotto il controllo lucchese di Paolo Guinigi. Quest'ultimo troppo debole e preda del mercenario fiorentino Fortebraccia, nonostante l'aiuto cospicuo di 2000 cavalieri e di 6000 fanti da parte di Francesco Sforza, cadde a causa di un complotto ad opera dei Cenami e dei Buonvisi che fecero passare la rocca sotto il dominio fiorentino fino al 1433 anno di un trattato di pace che riportò Lucchio sotto il dominio lucchese. Rimane però nella memoria una curiosa vicenda che coinvolge due coraggiose fanciulle, Anastasia e Lucia di Vico Pancellorum. Esse, nel giugno del 1437 scoprirono, con gran scaltrezza femminile, il tradimento di Gasparo da Slazzema, Castellano di Lucchio, e sventarono il tutto. Attirato con l’inganno, avrebbero scherzato e giocato con lui, sfoderando armi femminili a cui nessuno ne sarebbe stato immune. Ormai assoggettato alla loro seduzione, lo avrebbero immobilizzato e legato, impedendo in tal modo l’assalto a sorpresa dei fiorentini. (Dissertazioni sopra la storia lucchese, Volume 2 Di Antonio Nicolao Cianelli). Nel 1525 ci fu un altro episodio che coinvolse la rocca di Lucchio. Due banditi, Vincenzo e Francesco Poggi, fuggiti da Lucca, furono aiutati ad assediarla dal brigante più famoso e conosciuto delle terre circostanti, Bernardino del Colle. Fu allertata la Repubblica di Lucchio che si mosse prontamente con un esercito di 6000 combattenti per fermare l'assedio, i due fratelli però, approfittando di un forte temporale riuscirono a fuggire, ingannando un'intera armata. Col passare del tempo, il castello andò incontro ad un lento degrado che lo portò ad essere smantellato dalle sue pietre per costruire le case del borgo sottostante. Di esso non rimane ormai più nulla, costruito sopra la roccia viva, si è ormai perso nei tempi, una rocca che era il prolungamento della montagna stessa, oggi ne è stata riassorbita. Un tempo era un luogo agognato a tal punto che interi eserciti percorrevano le ripide strade con in spalla 30 kg di armatura, oggi è un borgo abbandonato, con la stessa difficoltà per raggiungerlo, con diversi propositi ma con l’identica forte ed intensa emozione non appena lo si raggiunge. Il batticuore della scalata si mescola al batticuore di fronte alla Rocca di Lucchio. I ruderi sono liberamente visitabili, non perdetevi il panorama! Altri link suggeriti: http://www.contadolucchese.it/Bagni_di_Lucca_5.htm, http://www.alpiapuane.com/index.php?option=com_content&view=article&id=309:lucchio&catid=3&Itemid=29, video di Canale di MediavalleGarfagnana https://www.youtube.com/watch?v=ZiiwExuXoVU
 
Fonti: http://www.castellitoscani.com/italian/lucchio.htm, articolo di Isabella Dalla Vecchia su http://www.luoghimisteriosi.it/toscana/lucchio.html

Foto: la prima è presa da https://livingtuscany.files.wordpress.com/2011/07/lucchio2.jpeg, la seconda proviene da http://irintronauti.altervista.org/il-paese-invisibile-di-lucchio/

sabato 18 giugno 2016

Il castello di domenica 19 giugno






SALISANO (RI) – Rocca Baldesca

Il castello di Rocca Baldesca, che si erge su un'altura a sud di Salisano circondata da due fiumi che confluiscono nel Farfa, è con molta probabilità stato costruito come avamposto di guardia di Salisano prima che il paese diventasse castello (1050). Anche se le citazioni della Rocca si trovano solo a partire dal XIII secolo essa è senz'altro molto più antica (fondata nel V secolo dalla famiglia romana dei Tebaldi da cui ne prende il nome). Nell'VIII sec. fu feudo dell'Abbazia di Farfa e nel XIV sec., come risulta dal libro dell'Episcopato Sabino, ebbe una produttività economica pari a quella di Salisano. Nel 1200 venne modificata l’edilizia all’interno della Rocca, con l’aggiunta inoltre di un’imponente torre a pianta pentagonale, ancora oggi visibile, ed ulteriormente incrementate le costruzioni nel 1400, con conseguente ripopolamento del castello. Rocca Baldesca fu e successivamente abbandonata a causa dell'insalubrità del clima e della posizione infelice che la sottoponeva a numerosi saccheggi e invasioni di briganti della zona. Tale evento si verificò negli anni compresi tra il pontificato di Sisto V e quello di Clemente VIII, gli abitanti si rifugiarono nei castelli vicino, vi rimasero finché Clemente VIII non ripristinò l'ordine. In seguito a ciò, gli esuli fecero ritorno alla Rocca, ma vennero subito gravati da tributi e, trovandosi nell'impossibilità di pagarli, vennero condannati al carcere o costretti a sopportare ogni sorta di vessazione da parte dei commissari apostolici. Fu così che, nel 1592, una rappresentanza della Rocca si presentò al Palazzo comunale di Salisano per esporre i problemi e, nel gennaio dello stesso anno, come risulta da una delibera conservata nell'Archivio Storico di Salisano, gli abitanti di Roccabaldesca vennero accolti nel territorio. Iniziò così il lento declino dell'abitato di Rocca Baldesca di si possono tuttora ammirare le rovine. Dell’antica Rocca rimangono ancora oggi diversi edifici oltre alla torre, tra cui un edificio a due piani con frantoio e macine e poco distanti sei pozzi per il grano. Restano anche tratti di mura e basi di torri. Recentemente sono stati realizzati degli scavi curati dalla Sovrintendenza archeologica del Lazio, che hanno riportato alla luce interessanti reperti tra cui dei mosaici. Altri link consigliati: http://www.salutepiu.info/rocca-baldesca/, https://illaziodeimisteri.wordpress.com/tag/roccabaldesca/, http://blog.aioe.org/index.php/galleria-fotografica-di-roccabaldesca/ (con diverse foto)



Il castello di sabato 18 giugno






FERMIGNANO (PU) – Torre Montefeltro

Pur non essendo un insediamento d'altura, Fermignano non fu abbandonata dopo il crollo dell'impero romano, poiché luogo strategicamente importante per via del ponte sul Metauro. Nel XIV secolo venne edificato un ben più solido ponte posto sugli antichi pilastri romani ormai sommersi e venne posta a sua difesa una massiccia torre. Il complesso, più volte restaurato, è oggi una delle più suggestive viste delle Marche. Del XIV secolo è anche la cartiera, la seconda nelle Marche dopo quella di Fabriano, trasformata molto successivamente in lanificio è visibile ancora ad oggi ed è un esempio di archeologia industriale, portato come esempio nella letteratura specializzata. Fermignano fin dalle sue origini fu sempre posta alle dipendenze del Municipio di Urbino condividendone la storia fino al 1607, quando Francesco Maria II Della Rovere istituì il consiglio municipale. Quando il Duca morì, anche Fermignano, come tutto il ducato divenne parte dei possedimenti pontifici. A Fermignano nacque Donato di Angelo di Pascuccio detto il Bramante, grande architetto rinascimentale formatosi alla corte di Urbino, prese l'eredità spirituale del Brunelleschi e dell'Alberti, gettando le basi per la nuova architettura rinascimentale. La tradizione locale considera di epoca romana il ponte che attraversa il Metauro a Fermignano. Si tratta di una monumentale struttura a tre archi, costruita in blocchetti di pietra disposti in bassi filari e con tratti di restauro a mattoni. La tecnica di costruzione è simile a quella con cui è stata edificata la attigua Torre, che si pone a difesa del significativo luogo di transito. Infatti ebbe probabilmente il ruolo di controllo dell’importante guado sul Metauro, di stazione di pedaggio, nonché di difesa cittadina. La Torre pare essere una tipica fabbrica medioevale, forse poggiante su fondazioni presumibilmente romane. Ponte e Torre sono strettamente collegati e sembrano costituire un unico complesso monumentale, di fondamentale importanza strategica nel contesto della viabilità medioevale. Ai piedi della Torre è posta la fontana pubblica detta “Mascherone” costruita nel 1886. A metà del Ponte è da segnalare un’edicola eretta, pare, in occasione di un intervento effettuato sul ponte stesso nella seconda metà del 400 per volere di Federico da Montefeltro e sotto la direzione di Francesco di Giorgio. Al suo interno si può ammirare una Madonna col Bambino di fattura tardo-quattrocentesca. Con la pubblicazione del volume "Castrum Firmignani" Castello del Ducato di Urbino edito dal Comune di Fermignano nel 1993 e con le ultime ricerche storiche di Monsignor Franco Negroni pubblicate nel volume "Fermignano e le sue confraternite" (1998), si hanno origini certe del "Castello di Fermignano". In alcuni documenti, agli inizi del 1300 si cita il "piano di Fermignano" con la "Pieve" di San Giovanni Battista che estendeva il suo ambito parrocchiale fino all'antico ponte sul fiume Metauro. In un documento del 1338 si legge delle elezioni dei sindaci della "Villa di Fermignano" costituita da casali, oratori ed edifici isolati. II Conte Guido Antonio Montefeltro, iniziatore della Signoria Feltresca fece sorgere il castello presso il ponte sul Metauro. L'esistenza del castello è documentata in una vendita del 27 novembre 1388 fatta alle monache di S. Silvestro da Giovanni di Pino "del castello di Fermignano". Il 19 dicembre 1407 presso la chiesa di San Pietro, sita in cima alla via Maggiore, si adunò l'Arengo del nuovo paese, in numero di 45 membri, sotto la presidenza di Giovanni Pini del "castello di Fermignano". L' 11 novembre 1418 il consiglio del castello di Fermignano e delle ville circostanti venne convocato nel piano più alto della torre per portare a conoscenza della vendita di un terreno con la realizzazione di 22 ducati d'oro serviti per pagare Mastro Paolo da Sant' Angelo in Vado, ingegnere mandato dal Conte Guido Antonio a disegnare i fossati fatti e da farsi, per saldare Ser Deddo da Forlì inviato a Fermignano per far lavorare ai detti fossati ed a Mastro Antonio di Curzio e tre manovali che continuavano la scarpata fatta al ponte. Il castello - con la strada maggiore, sette vicoli e tre piazzette - prendeva forma. II paese era fornito di mura nelle quali si aprivano due porte: una presso il ponte sul fiume Metauro e la torre detta Porta Romana, demolita nel 1870, l'altra di fianco alla Chiesa di S.Pietro in cima alla via Maggiore, che uscendo dal castello portava a Urbino, demolita alla fine dell’800. Nei pressi della torre entrò in funzione, tra il 1407 e il 1408, la cartiera e più tardi un mulino a grano. Proprietà della famiglia Montefeltro, la cartiera venne donata nel 1507 da Guidubaldo I alla cappella del SS.Sacramento di Urbino, che la possedette fino a1 1870. Visitata nel 1703 da Mons. Curzio Origo, fu definita una delle più grandi delle Stato della Chiesa. Nel 1563 nella Via Maggiore venne costruito il Palazzo Calistri, residenza della nobile famiglia di ecclesiastici e nel 1564 venne posta la prima pietra della Chiesa di Santa Veneranda. Al di fuori del castello nei pressi della porta romana esisteva già dalla seconda metà del 1200 la piccola chiesa di Santa Maria Maddalena e più avanti la villa Isola dei Conti Bonaventura, dove nel 1578 trovò ospitalità Torquato Tasso. Al di là del fiume Metauro l'ospizio di S.Lazzaro per lebbrosi e in località "Ca' Melle" la casa dove nel 1444 nacque Donato Bramante. Nei pressi della porta verso Urbino, gli edifici di una locanda della quale rimangono due bei portali gotici e l'ospeda1e di S.Antonio ospizio per pellegrini; nelle vicinanze della "Pieve" di San Giovanni Battista, l'oratorio di San Giacomo con un bell'affresco del XV secolo, attualmente collocato nell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Urbino. All'inizio del ponte, nel 1870, è stato costruito l'edificio del mattatoio e più tardi i lavatoi pubblici. La torre in pietra fu proprietà dei Montefeltro e con tutta probabilità, sotto la Signoria di Federico "il Grande", subì modifiche nella parte alta con beccatelli a mattoni. Sotto i Montefeltro vi dimorava il capitano del castello, ma il 13 novembre 1507 la duchessa Elisabetta Gonzaga, in un momento di strettezze economiche per la corte, la vendeva per 50 fiorini al dottor in legge Piermatteo Pini, appartenente ad una famiglia di giuristi e letterati che ha dato il nome al rione "Cal Pini", dove aveva possidenze. II 22 dicembre 1520 Battista Pini cedette la torre per 60 fiorini al Sig. Girolamo Virgili di Urbino. Dai Virgili la torre passò ai Battiferri, dei quali Giovanni Battista ne fece donazione al patrizio urbinate Bernardino Maschi, suo parente. Questi il 20 dicembre 1681, al prezzo di 350 scudi di moneta ducale, vendeva la torre di considerevole grandezza, con palombara ed altri beni e terra ortiva al nobile Federico Bonaventura di Urbino. Nell'ottobre del 1703 vi alloggiarono, dietro indicazione di Papa Clemente XI (Giovan Francesco Albani di Urbino), due gentiluomini romani, i monsignori Curzio Origo e Giovanni Maria Lancisi in viaggio a Urbino per assistere all'addottoramento del nipote Annibale Albani. Mons. Curzio Origo nel diario cosi descrive "indi salissimo nella torre dei signori Bonaventura, che per verità merita di essere veduta, essendo tre stanze una sopra l'altra fatte con ottima architettura, in ognuna di esse vi è un buon letto, una bellissima vista, dominandosi il ponte ed il fiume e tutte quelle colline. Vi trovassimo molte galanterie che sarebbero ottime per il museo del Signor Cavalierino (*), perché sono veramente belle e molto compatisco chi nella sua gioventù metteva da parte denari per comprarle, essendo cose di tutto mio genio. Finito il pranzo mentre si aspettavano i cavalli per andare alla casa di Bramante, si viddero li telai ed i lavori della tela e trovatele assai belle e ben fatte, Mons. Origo spese scudi 13 in un paio de lenzuoli e 24 salviette che ogni Signore se ne puol servire e per l'avvenire non vuol comprare altra tela che in Fermignano" . Nel 1835 la torre fu acquistata dalla cappella dal SS. Sacramento per togliere agli inquilini ed agli abitanti del paese l'uso di vaschette per lavare o per prendere acqua con danno alla cartiera. II 20 maggio 1871 la torre unitamente alla cartiera ed al molino fu venduta alla nobile famiglia Albani di Pesaro per un importo di 22 mila lire da pagarsi in moneta d'oro e argento. Nel 1915 gli immobili furono acquistati dalla famiglia Carotti che installò negli edifici della cartiera un setificio e lanificio. Dal 7 novembre 1995 la torre è proprietà del comune di Fermignano. La Torre Medioevale, detta anche “delle milizie” e simbolo della città, è visitabile su prenotazione.

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è di sailko su https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Fermignano,_torre_01.JPG