martedì 31 maggio 2016

Il castello di martedì 31 maggio






CISTERNA DI LATINA (LT) - Palazzo Caetani

Feudo dei Conti di Tuscolo, potentissima famiglia romana, Cisterna fu da questi ceduta ai Frangipane nel 1146, i quali rafforzarono il borgo con una cinta muraria e con l'edificazione di una rocca. Il 5 settembre 1159 fu eletto papa, il cardinale Rolando Bandinelli che assunse il nome di Alessandro III. Tuttavia la sua elezione, fu ostacolata dall'Imperatore Federico Barbarossa che inviò le sue truppe per far arrestare il Papa. Quest'ultimo, protetto dai Frangipane, fuggì prima a Cisterna e poi a Ninfa dove fu ufficialmente incoronato. L'Imperatore quindi decise di vendicarsi assediando i due abitati e distruggendoli. In seguito i Frangipane ricostruirono Cisterna. Nel 1328 fu nuovamente assediata e distrutta da Ludovico il Bavaro. Gli abitanti però avvertiti da un velletrano, avevano già abbandonato da tempo il centro che rimase spopolato per tre secoli. Nel 1504 papa Giulio II affidò Cisterna in feudo ai Caetani. Fu Bonifacio Caetani, ad intraprendere diversi lavori urbanistici per ricostruire Cisterna, distruggendo le rovine del castello e sostituendole con una residenza rinascimentale nota come Palazzo Caetani. Poi, nella loro opera di riqualificazione, i Caetani curarono la costruzione della chiesa di Santa Maria Assunta e di una stazione postale lungo l'Appia. In seguito Bonifacio istituì un Principato e fece di Cisterna la capitale. Il prestigio della famiglia Caetani, unito alla fama delle vicine paludi pontine e alle abbondanti riserve di caccia, fece sostare a Cisterna numerose personalità storiche come papa Paolo III, papa Urbano VIII, numerosi vescovi e cardinali nonché diversi aristocratici della Capitale. Nel 1589, vi sostò papa Sisto V, nel 1596 papa Clemente VIII, nel 1792 papa Benedetto XIII, nel 1839 papa Gregorio XVI. Papa Pio VI avviò un massiccio progetto di bonifica, il quale però fu bruscamente interrotto dalla Rivoluzione francese e dall'invasione del Lazio delle truppe napoleoniche. Queste ultime, si dedicarono a distruggere le opere di bonifica avviate dal Papa, provocando il ritorno della palude, apportando a Cisterna un rovinoso declino. Inoltre la diffusione del brigantaggio, i cui esponenti sfruttavano le foreste della palude, per nascondersi, causò diversi morti e scontri con i Carabinieri. Palazzo Caetani fu costruito nel 1560, per volontà di Bonifacio Caetani, e venne ultimato nel 1574. Il palazzo, i cui lavori furono diretti dall'architetto Francesco da Volterra fu fatto erigere sulle rovine dell'antica rocca dei Frangipane, di cui ha inglobato una torre quadrata in pietra, l'unico edificio sfuggito alle devastazioni precedenti. I Caetani ne fecero la loro residenza principale per il dominio sui loro latifondi nelle paludi pontine e chiamarono ad abbellire la residenza diversi artisti come i fratelli Federico e Taddeo Zuccari, Girolamo Siciolante da Sermoneta e Stefano Duperac. Non ha una pianta completamente regolare, in quanto ha inglobato l'antica torre e ha dovuto seguire la conformazione ondulata del terreno. Comprende due torri e un cortile quadrato interno, pavimentato a selci. Buona parte dell'edificio è crollato sotto le bombe della Seconda guerra mondiale e in molti tratti, è stato irrimediabilmente danneggiato. Sottoposto ad un delicato restauro negli Anni Novanta, il palazzo ha recuperato in parte l'antica bellezza, rivelando interessanti affreschi tardo-rinascimentali. Nel 2008 è iniziato un intervento al piano nobile per eliminare ulteriori superfetazioni e incongruenze architettoniche, restituendo, tra l'altro, al cortile parte della sua antica eleganza. Palazzo Caetani ospita ogni anno, numerosi eventi e manifestazioni culturali (mostre, presentazioni, convegni, concerti, esibizioni teatrali) soprattutto nella suggestiva cornice della sua caratteristica corte. È sede permanente della Biblioteca Comunale e un laboratorio della Facoltà d'Ingegneria dell'Università "La Sapienza" di Roma. Nel Palazzo è allestita una modesta Pinacoteca Civica d'arte moderna e contemporanea, una selezione non rappresentativa di opere di artisti locali e nazionali. In due sale è stato allestito il Museo dei Butteri e del Cavallo, dove sono conservati documenti e materiali sulla vita nelle paludi pontine e sull'allevamento dei butteri; nonché opere d'arte dedicate al cavallo (Aligi Sassu, Mirella Bentivoglio fra gli autori). Nota anche come "Sala del Vescovo", la Sala Zuccari era uno degli ambienti di rappresentanza dei Caetani e gli affreschi sulle sue pareti sono stati attribuiti ai fratelli marchigiani Federico e Taddeo. Gli affreschi rappresentano i possedimenti dei Caetani (Ninfa, Sermoneta, Circeo, il mare, la campagna) nonché uno spaccato delle paludi pontine nel XVIII secolo. La Sala della Loggia si apre su una suggestiva loggia che guarda in direzione Sermoneta ed è stata adornata con dipinti floreali risalenti al XVIII secolo. Sulla parete dirimpettaia alla loggia è stato raffigurato un tramonto sulla campagna, riproduzione di un panorama estivo che si poteva osservare dalla loggia. Nei sotterranei dell'edificio si snodano le misteriose Grotte di Palazzo Caetani, di cui non si conosce l'esatta estensione e lo scopo per cui furono create ma che diedero rifugio alla popolazione durante la guerra. Le Grotte di Palazzo Caetani, costituiscono un complesso di grotte, cave e cunicoli sotterranei profondo fino a quindici metri, che si snodano anche sotto il centro storico, dirette verso destinazioni sconosciute. Resta ancora misterioso il motivo preciso per cui e da chi furono costruite le grotte. Una leggenda le fa risalire all'epoca romana, come parte delle antiche cisterne di Nerone che avrebbero dato il nome all'abitato. Gli scavi archeologici hanno confermato l'esistenza di catacombe sfruttate dall'antichissima comunità cristiana di Tres Tabernae. Molto più probabilmente sono una serie di antiche cave di tufo e pozzolana, scavate a partire dal Medioevo e impiegate fino al XVI secolo per ricavare il materiale necessario per costruire Palazzo Caetani e numerose case di Cisterna. L'esistenza di queste cavità sotterranee fu quindi sfruttata dai Caetani per la realizzazione di cantine per la conservazione del cibo e, forse, anche come camminamenti nascosti e passaggi segreti per fuggire in caso di pericolo. Le grotte diventarono durante la seconda guerra mondiale, un rifugio sicuro per circa quattromila persone che qui si rifugiarono per sfuggire ai bombardamenti alleati. Diversi tentativi sono stati effettuati per esplorare completamente le grotte. I bombardamenti prima e la ricostruzione poi hanno spezzato l'antica rete rendendo difficile capire dove effettivamente fossero dirette. Scavi di vario genere hanno permesso di scoprire l'esistenza di grotte sotto diverse abitazioni del centro storico (impiegate come cantine), lungo il fosso di Cisterna nell'area oggi interrata, e sotto l'ex convento di Sant'Antonio Abate, rendendo plausibile l'ipotesi che fossero impiegati come camminamenti segreti. Oggi, una parte delle Grotte sono state restaurate e aperte al pubblico. Altri link suggeriti: http://www.comune.cisterna-di-latina.latina.it/storia/pal_caetani.htm, http://www.iluoghideicaetani.it/2015/04/12/palazzo-caetani-a-cisterna-di-latina/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Cisterna_di_Latina, https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Caetani,

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, mentre la seconda è di M. Pesci ed è presa da http://www.tesoridellazio.it/public/cisterna_di_latina_(lt)__palazzo_caetani__foto_di_m._pesci_(10_2010).jpg

lunedì 30 maggio 2016

Il castello di lunedì 30 maggio







SEFRO (MC) - Castello Da Varano

L'origine di Sefro risale ad epoca remota, come è testimoniato dai numerosi insediamenti rinvenuti nelle montagne che lo circondano. L'etimologia del Paese potrebbe derivare da “Sefer”. Nel 2009, difatti, nei pressi del paese, è stato trovato un antico giacimento di ferro. Si ritiene sia stata data dai commercianti fenici che si sarebbero avventurati nel cuore di questa terra per approvvigionarsi di minerali ferrosi. La sua recente storia inizia grazie allo stretto rapporto creatosi con Camerino, all'inizio del XIII secolo, quella di Sefro era una comunità solida, economicamente autosufficiente, civilmente evoluta e particolarmente dinamica tanto che il rettore pontificio della Marca nel gennaio del 1240, lo dichiarò libero Comune, appartenente al ducato spoletano e compreso nel distretto camerinese. In seguito al saccheggio di quella città da parte delle truppe ghibelline di Manfredi di Svevia nel 1259, i Camerti trovarono rifugio a Sefro e da qui, sotto la guida di Ranieri della Rocca di Santa Lucia e Gentile da Varano poterono tornare nella loro città dopo breve tempo. Di questa situazione si poté avvantaggiare instaurando un rapporto privilegiato con la signoria Camerte, si dotò di Statuti propri, raggiunse una densità demografica rilevante rispetto alle cittadelle del circondario. Gli statuti del 1423 descrivevano un centro abitato di modeste dimensioni, che era il cuore del paese e si distribuiva intorno al Castrum, mentre era attribuita una maggiore importanza alle tre contrade, tuttora esistenti, di Casii, Saxorum e Paghi et Gori, soprattutto nella determinazione delle magistrature. Oggi non mancano le moderne edificazioni, ma il paese ha mantenuto l’antica divisione in tre terzieri e ha conservato alcuni caratteri propri dell’epoca medievale. Fra i terzieri in cui fu diviso il comune di Sefro si annovera Sassi (Saxorum), nel quale tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, fu costruito in posizione piuttosto centrale il Castrum Sefranum. Questa fortificazione muraria con torre, portico e altri edifici veniva utilizzata dalla popolazione di Sefro, al pari di tante altre nei dintorni, come presidio militare di difesa contro eventuali nemici e, in caso di attacco, svolgeva la funzione di rifugio per la comunità. Gli edifici che compongono il castello sono in pietra calcarea bianca, con archi a sesto acuto e a tutto sesto e la loro disposizione farebbe pensare al fatto che Sassi fosse il primitivo castrum di Sefro, e che gli edifici circostanti non sarebbero stati altro che un borgo della stessa contrada. Gran parte degli edifici che costituiscono la contrada, nonostante le ristrutturazioni degli anni passati, presentano caratteristiche antiche, come gli edifici uniti a schiera, le viuzze strette, gli archivolti e diversi sottopassi, che li inseriscono inequivocabilmente nel periodo medievale. Anche il castello, come la Pieve, in epoca medievale aveva una funzione importante, poiché non solo costituiva un essenziale strumento di difesa, ma permetteva anche la crescita della popolazione e la nascita di altre attività artigianali. Nel periodo che vide protagonisti i Da Varano di Camerino, il Castello fu sicuramente una loro proprietà e oggi di tale struttura medievale, impropriamente chiamata Castello dei Varano o Torre dei Varano, rimangono alcuni resti per mezzo dei quali è ancora possibile distinguere la struttura dell’opera fortificata. Dopo essere rimasta seriamente danneggiata in seguito al terremoto del 26 settembre 1997, la costruzione - già appartenente al Comune da una decina d'anni circa, è stata restaurata. Attualmente all’interno di alcune stanze della fortezza è ospitato il Museo della Civiltà Contadina, nato grazie al lavoro e alla passione del suo ideatore, il Sig. Florindo Ferretti, che continua anche oggi ad occuparsene. La collezione del museo è costituita da una varietà di oggetti caratteristici legati al mondo agreste e da una vasta serie di utensili comunemente usati nelle case e nei campi risalenti al 1800 e ai primi anni del 1900. Gli oggetti sono sistemati in ordine preciso e occupano completamente le pareti. Grazie ad un contributo, richiesto dal Comune di Sefro per il completamento della struttura museale, da qualche anno è stato allestito un altro piccolo spazio in cui sono state collocate le attrezzature più ingombranti.

Fonti: http://www.marcamontana.it/it/i-comuni-di-marcamontana/sefro/1681-il-castrum-sefranum, https://it.wikipedia.org/wiki/Sefro

Foto: la prima è presa dal gruppo Facebook "B&B Trekkinapp", https://www.facebook.com/BB-Trekkinapp-849561648465521/?fref=photo, mentre la seconda e la terza sono prese da http://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/fortezza-da-varano-di-sefro-mc/sefro_01.jpg e http://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/museo-della-civilta-contadina-sefro/museo-arte-contadina-02.jpg


domenica 29 maggio 2016

Il castello di domenica 29 maggio






MONTALE (PT) – Villa Smilea

L’elemento più riconoscibile, immediatamente emblematico del territorio montalese, è senza dubbio l’imponente complesso della villa Smilea , cui si accede da via Garibaldi, quasi richiamati dalle possenti torri merlate che ne delimitano il perimetro. L’attuale aspetto della villa è stato plasmato nel XV secolo su ispirazione, forse, di Michelozzo (la qual cosa rende la Smilea assimilabile alla villa medicea di Cafaggiolo), ma il nome della struttura ne tradisce le ancor più lontane radici: pare che “Smilea” derivi infatti dalla locuzione latina sex milia, “sei miglia”, ossia la distanza che separava l’edificio dal centro della città di Pistoia. Prima fortilizio, quindi residenza signorile,poi azienda agricola e oggi attivissimo Centro culturale polivalente, la Smilea assume in sé l’ideale senso del cambiamento. Dal Trecento risulta appannaggio della famiglia dei Panciatichi, ma già nel Cinquecento la proprietà era passata ai rivali Cancellieri, all’epoca allineati con la Repubblica di Firenze, che manteneva il controllo del territorio. Al deteriorarsi dei rapporti tra fiorentini e Cancellieri, tuttavia, la villa fu sottoposta a confisca e acquistata – siamo nel 1612 – dal marchese fiorentino Francesco di Piero Covoni, i cui familiari si premurarono di trasformarla in fattoria, ampliandola con un secondo corpo di fabbrica. Nel 2003, in seguito a vari avvicendamenti di proprietà occorsi nei decenni, il Comune di Montale ha acquistato il complesso, mettendo immediatamente in atto un ambizioso progetto di riqualificazione architettonica e funzionale dei suoi spazi, che finalmente sono stati riaperti a piena fruibilità pubblica. Sulla corte interna, punteggiata dalle sculture di Jorio Vivarelli (1922-2008), si affaccia la nuova biblioteca comunale,mentre le sale del piano nobile, decorate con pregevoli vedute neoclassiche, ospitano regolarmente esposizioni, incontri, concerti, conferenze; alcune delle sale sono state quindi destinate ad accogliere una mostra permanente di sculture, gessi e mosaici realizzati dallo stesso Vivarelli, cittadino illustre di Montale che riceve un degno tributo dalla città e dai suoi abitanti. L’aspetto di fortilizio in stile gotico, di una villa fattoria a pianta quadrata, con corte porticata interna, è caratterizzato da due svettanti torri. Alte venti metri, s’innestano nel perimetro murario del XVI secolo, mentre nella parete settentrionale si erge un loggione, sorretto da dodici archi di pietra a sesto acuto. Per approfondire consiglio di leggere la scheda di Fernando Giaffreda su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Toscana/pistoia/montale.htm. Segnalo poi il seguente video (di extrafant): https://www.youtube.com/watch?v=sqbEGUC4kL4



sabato 28 maggio 2016

Il castello di sabato 28 maggio






RUSSI (RA) – Rocca

Fin dall'Alto Medioevo faentini e ravennati si contesero il territorio di Russi, al centro di una fertile pianura. I ravennati, per difendersi dalle aggressioni faentine, costruirono i castelli di Raffanara ed il castello di Cortina. Nel 1234, durante una delle frequenti battaglie fra le due città, i faentini abbatterono le due roccaforti lasciando così i ravennati senza difesa. Successivamente sorse un centro, necessariamente un castrum, cioè un centro fortificato. Russi nacque così nel 1371 per volere di Guido da Polenta (sesto dei Signori della casata ravennate), che visse nel castello fino al 1377. Alterne furono le successioni fra il casato Polentani e quello dei faentini Manfredi, per il controllo dello strategico castrum russiano. I primi tre decenni del XVI secolo causarono grandi sofferenze alla popolazione. Il castello subì infatti diversi assedi: prima da parte delle truppe del Borgia, poi dalle forze della Lega di Cambrai, infine il tremendo eccidio del 3-4 aprile del 1512 da parte di Gastone di Foix. Ad accrescere le sventure, nel 1527 passarono per il territorio russiano le truppe di Carlo di Borbone dirette a Roma, che occuparono il castello, poi si abbandonarono a saccheggi ed uccisioni. Dopo varie vicende, Russi nel 1568 ritornò sotto la giurisdizione di Faenza, nello Stato Pontificio, ma riuscì ad ottenere magistrature proprie ed autonomia amministrativa. Nel 1688 il paese fu quasi interamente distrutto da un terremoto. Russi fece parte dello Stato della Chiesa fino al 1859, quando i territori della Legazione delle Romagne furono occupati dalle truppe del Regno di Sardegna. Le prime fortificazioni del Castrum di Russi risalgono al tredicesimo secolo. Nel secolo successivo la città venne ampliata nelle proprie difese e venne ricostruita la rocca ad opera di Astorgio II Manfredi. La struttura della rocca manfrediana era a pianta quadrata con torrioni angolari quadrati tranne quello posto a nord-est di forma circolare; un quinto torrione, o mastio sorgeva al centro del lato settentrionale. La rocca era inglobata nelle mura di cinta e contribuiva in maniera importante alla difesa della città, pur avendo la possibilità di essere difesa indipendentemente. Espugnata diverse volte e danneggiata dai terremoti, quello che resta nei tempi moderni è la parte inferiore del mastio inglobata nella struttura dell'ex ospedale. Nelle vicinanze è ancora possibile notare resti del torrione circolare e di tratti della cinta muraria. All'interno della Rocca è ubicato il Museo civico del Castello con la pinacoteca, una esposizione dei reperti della villa romana ed una collezione di opere d'arte a tema sacro.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Russi_%28Italia%29, http://www.romagnadeste.it/it/11-russi/i2096-la-rocca.htm

venerdì 27 maggio 2016

Il castello di venerdì 27 maggio






PANNI (FG) - Torre

Feudo dei Guevara, è stato governato dagli spagnoli fino all'Unità d'Italia che vide il paese fra i grandi oppositori dei piemontesi (oltre 800 "ribelli" transitati nelle sue prigioni) - Notizie tratte da Giuseppe Procaccini "Cenni storici sulla terra di Panni", cit.). È presente una splendida passeggiata panoramica, detta "Castello", sulla parte superiore del paese. Lungo questa stradina, sulla cresta del Monte Sario, campeggiano i resti di una suggestiva parete di una torre di guardia spagnola degli inizi del Cinquecento. Al riguardo, ecco un video (di joelongo72): https://www.youtube.com/watch?v=ZUKGxKKC_EE. La datazione della torre è controversa: alcuni la vogliono ordinata verso il 1535 da Pietro da Toledo, vicerè di Napoli, altri l'attribuiscono al periodo normanno, altri ancora all'età di Federico II di Svevia. è certo comunque che la torre e il castello servivano tanto a difendere la località, quanto al controllo del territorio, data la loro posizione elevata. All’interno della torre si trovava una guarnigione di cavalieri pronti a scattare per avvisare i paesi limitrofi qualora fosse stato avvistato uno sbarco delle marine turche. La Torre, sviluppata forse su quattro piani, era alta circa tredici metri e poggiava su una base quadrata di otto. Dopo il fortissimo terremoto del 1732 che la distrusse, oggi rimane della torre un unico muro, con una una suggestiva e romantica finestrella dove forse un tempo era alloggiata una campana. Attualmente del castello rimangono avanzi della cinta muraria e, come detto, resti della massiccia torre quadrangolare, già diruta in seguito al suddetto terremoto, e in parte rimaneggiata nel 1984. Altro video suggerito (di leoclub): https://www.youtube.com/watch?v=Q5EerCaxkVA

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Panni, scheda di Luigi Bressan su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/foggia/panni.htm, http://www.montidauniturismo.it/jsps/10/Home/11/MENU/154/Da_fare_e_da_vedere/70/Storia_e_cultura/71/Rocche_torri_e_fortificazioni.jsp?hiddenTitle=y&inizio=106&det=408&IDR=408

Foto: la prima è presa da http://www.montidauniturismo.it/upload/upl1/panni_408_02.JPG, la seconda da http://www.ilcastellodipanni.it/wp-content/uploads/2015/10/1510571_1841075962784988_3722790632551116451_n.jpg

giovedì 26 maggio 2016

Il castello di giovedì 26 maggio






MINTURNO (LT) - Castello Baronale

Da recenti ricerche è emerso che la costruzione del Castello è da attribuirsi al vescovo Leone, che troviamo menzionato nella Carta Originale Cassinese n°5 del 30-10-839 (d.C.). Esso già faceva parte della Città di Traetto, costruita nel 590 d.C. La città fu cinta da una muraglia e da torri quadrate e circolari con tre porte d'accesso principali, "La Portella", "S. Stefano" e "Porta Nova": il Castello, adiacente a Porta Nova, rappresentò la residenza dei più nobili personaggi vissuti a Traetto. Il Castello Baronale nel 1105 passò a Riccardo I dell'Aquila e nel XIII secolo fu residenza dei Caetani. Nel 1452, per volere di Alfonso d'Aragona, vennero eseguiti notevoli lavori di restauro. Nel secolo XVI il maniero appartenne alla più bella donna d'Italia, Giulia Gonzaga, contessa di "Traetto" e di Fondi e, successivamente, ad Isabella Colonna. Il 7 gennaio 1689 morì don Nicola Guzman-Carafa, figlio primogenito di donn'Anna Carafa e del duca Medina de las Torres, vicerè di Napoli dal 1637 al 1644. Deceduto senza eredi, i beni del principe di Stigliano, Guzman, furono incamerati dalla Regia Camera e, successivamente banditi in pubblica asta. Dopo numerose offerte il ducato di Traetto, compreso il Castello Baronale, rimase aggiudicato, per 102 mila ducati, a don Adriano Carafa. Antonio Carafa, senza prole, prima di morire, lasciò, a favore del nipote Adriano Antonio I, un maggiorasco di 400 mila ducati. Nel testamento non venne menzionato il Castello Baronale di Minturno così, dall'albero genealogico dei Carafa di Napoli, risulta che il Castello fu acquistato da Adriano Carafa, fratello di Antonio. Il 26 maggio 1676 Adriano convolò a nozze con Lucrezia Caracciolo. Prima che la prima moglie morisse, Adriano Caracciolo sposò, nel 1693, Isabella Tomacelli. Da Adriano e da Isabella nacque Adriano Antonio I, a lui furono intestati il 17 dicembre 1699 i feudi paterni e nel 1712 gli fu concesso il titolo di duca di Traetto. Il Castello Baronale fu sede dei Caracciolo-Carafa dal 1693 al 1948. Successivamente, il Principe Giovanbattista Caracciolo-Carafa fu Francesco donò parte del Castello all' Ente Morale per gli Asili d'Infanzia (istituito il 27 marzo 1930 con R.D. n°372) di Minturno il 17 dicembre 1948, con rogito n°678 del notaio Cesare Castelli, affinché fosse adibito "a scopo veramente educativo di apostolato e di cultura". Il Comune di Minturno ha acquistato parte del Castello dal Principe Francesco Caracciolo-Carafa e parte dall'Ente Asili il 28 dicembre 1990 (repertorio n°631) per lire 15 milioni. La struttura si erge nella parte sud-ovest della cima, il cui impianto trapezoidale segue la conformazione naturale della rocca, costituito da un torrione cilindrico, un camminamento di ronda, e un porticato interno con archi ogivali che ricordano le strutture tardo-romaniche amalfitane. L’edificio appare oggi nelle forme architettoniche stratificatesi nei diversi secoli. La parte più antica è presumibilmente la torre a forma quadrata. Il castello era dotato di una torre alta 60 metri, semidistrutta da un fulmine nell’Ottocento. Nell’angolo sud-est dell’edificio si apre l’ingresso da cui si entra in un androne, il quale immette in un piccolo cortile con porticato a sesto acuto e finestre bifore. A sinistra è presente una comoda scalinata che dà accesso alle stanze ed alla grande sala dei baroni. Il castello venne rovinato nel 1799 dai francesi e subì gravi danni anche nell’ultimo conflitto mondiale, con la distruzione di tutte le strutture lignee. L'intera struttura, la secondo domenica di luglio, in occasione della Sagra delle Regne (manifestazione locale) viene “incendiata” con fuochi d’artificio, i quali con le loro lunghe abbondanti cascate dorate, argentate e policrome offrono uno spettacolo di indubbia bellezza. A tal proposito, ecco un video che mostra l'evento (di lucaenadia): https://www.youtube.com/watch?v=YRt6FD9eKCI. Il Castello Baronale Caracciolo-Carafa è oggi in parte sede dell'ISMEF (IStituto MEditerraneo di Formazione per le professionalità nautiche), centro permanente di formazione e ricerca finalizzato allo sviluppo del settore marittimo e della nautica da diporto; l'altra parte (sala baronale, corte centrale, altre stanze in restauro) è ancora in gestione del Comune di Minturno. Nel castello furono ospitati personaggi illustri, tra i quali S. Tommaso d'Aquino (1272).

Fonti: http://www.comune.minturno.lt.it/museo/museo_action.php?ACTION=tre&cod_museo=5&cod_aggiornamento=11, http://www.minturnoscauri.it/castello_baronale.htm, http://www.marketing.territoriale.it/moduli/cultura/scheda_cultura.html?COD_CULTURA=110

Foto: la prima è presa da http://www.mondodelgusto.it/gallery/4299.jpg, mentre la seconda è presa da http://web.tiscali.it/cristoforosparagna/Storia%20di%20Minturno/storia%20MinturnoI.htm

mercoledì 25 maggio 2016

Il castello di mercoledì 25 maggio






DESANA (VC) - Castello

Cenni storici
878 a.C. - Dopo la scacciata degli Etruschi il territorio, ove oggi sorge anche Desana, fu abitato e occupato dalla tribù gallica dei Salli i quali furono, secondo Plinio, i fondatori di Vercelli. Essi diedero il nome a molti paesi limitrofi come Sali, Salasco, Saluggia, Saletta, ecc.
1003 - Intorno a questi anni si hanno le prime notizie su Desana. Il suo territorio faceva parte del Distretto di Vercelli e quindi sotto la giurisdizione civile del vescovo. Probabilmente anche il castello fu costruito dai vescovi vercellesi in quanto si trovava in una posizione strategica, ovvero ai confini del Distretto stesso.
1142-1357 - In questi anni non si ebbe alcuna notizia di Desana né in documenti né in altre fonti e in particolare nel 1357 il paese rimase disabitato fino al 1404.
1404 - Il Marchese del Monferrato allo scopo di procurare vantaggi a Vercelli, per rendere più sicuro il transito delle merci, richiese alla “Credenza” ( l’attuale Consiglio) della città di Vercelli di concedere al suo cancelliere Ludovico Tizzoni il luogo di Desana.
1411 - Ludovico Tizzoni entrò in possesso del feudo e subito cinse di mura il luogo, fece di tutto per innalzare il paese alla dignità di Comune.
1510 - Il feudo fu concesso al nipote Conte Ludovico II, il quale aprì una zecca, il suo esercito continuò per circa 200 anni, facendo vivere a Desana un momento di splendore. La zecca ebbe però una triste celebrità nell’imitazione e contraffazione di monete estere, che venivano lavorate per conto dei mercanti.
1550-1570 - A causa dei soprusi e delle crudeltà di Giovanni Agostino Tizzone i desanesi decisero di abbandonare il borgo nativo.
1833 - Il Conte Cesare della Chiesa vendette castello e beni al biellese Vitale Rosazza che fece ricostruire il rovinato castello su nuovo disegno del 1840.
1863-1866 - Su disegno dell’Ing. Cav. Carlo Trocelli fu costruita l’attuale Chiesa Parrocchiale, nel luogo stesso ove sorgeva la precedente.
Il castello, eretto nel XV secolo sui resti di precedenti strutture fortificate, venne occupato dai Francesi nel XVI secolo; ritornò ai Tizzoni e, nel 1693, entrò a far parte dei domini sabaudi. Nell'Ottocento è stato oggetto di interventi che ne hanno alterato le linee originali, pur mantenendone la pianta quadrangolare con torri angolari tonde, diverse tra loro per altezza e dimensioni. Attualmente è adibito in parte a residenza e in parte è sede di un'azienda agricola.
Ecco il sito web del castello: http://www.castellodidesana.it/

Fonti: http://www.comune.desana.vc.it/elenco.aspx?c=2&sc=44, scheda nel libro "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)

Foto: entrambe di Solaxart2014 su http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_VC_Desana.htm

martedì 24 maggio 2016

Il castello di martedì 24 maggio






MELPIGNANO (LE) - Palazzo Marchesale Castriota-De Luca

Con l'avvento dei Normanni, Tancredi d'Altavilla assegnò il feudo a Giambattista Lettere nel 1190. Nel 1396 passò a Raimondo Orsini del Balzo e nella seconda metà del XV secolo, attraverso il re Ferrante d'Aragona, fu ceduto agli Aiello Tarantini. Nei secoli alla guida del feudo si succedettero varie famiglie feudatarie: i Mosco, i Ramirez, i Castriota, gli Acquaviva d'Aragona. Nel 1757 divenne proprietà dei marchesi De Luca che furono gli ultimi feudatari. Il Palazzo Marchesale Castriota, fu edificato nel 1636 per volere di Giorgio Castriota-Scanderbeg. La costruzione dell'edificio fu commissionata all'architetto Francesco Manuli che nella realizzazione operò soluzioni architettoniche sobrie e decorazioni eleganti e poco appariscenti, più vicine ad un gusto rinascimentale. Mostra in maniera evidente la sua origine di impianto difensivo, al quale appartengono le garitte per gli armigeri, le torri di vedetta e le mura di difesa con i camminamenti di ronda che recingono l'ampio giardino retrostante. La facciata termina con un cornicione a piccole mensole che accoglie un'epigrafe con il nome del committente. È scandita da un portale ornato da due colonne che sorreggono il balcone centrale mentre le finestre, decorate alternativamente da timpani triangolari e arcuati, sono disposte progressivamente ad intervalli sempre più brevi in prossimità del balcone centrale. Nella zona interna si trova un giardino dove si sviluppano una serie di finestre e logge in pietra leccese, una fontana al centro dei viali disegnati a scacchiera, un pergolato e panche in pietra. Il palazzo nell'Ottocento ha ospitato una ricca pinacoteca, ora trasferita a Molfetta, che annoverava, tra gli altri, dipinti del Veronese, del Domenichino, del Tintoretto, del Giaquinto, oltre che dei più rinomati pittori salentini dell'epoca. L'edificio, oggi in fase di restauro, diventerà contenitore culturale polifunzionale. Per approfondire, consiglio di leggere questa tesi realizzata dal Prof. Stefano Musso: http://www.ssrm.arch.unige.it/did/l3/ssrm/tesipdf/06le.pdf

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Melpignano, http://www.sudsalento.org/cms/home.do?idAmb=46&idCont=566&idMenu=1013&liv=1

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, mentre la seconda è di Carmelo61 su http://www.flickriver.com/photos/carmelo61/4771033508/

lunedì 23 maggio 2016

Il castello di lunedì 23 maggio






CICOGNOLO (CR) - Castello Manfredi

Cicognolo sorge sulla via Mantova. Secondo la tradizione il toponimo deriverebbe dalla presenza in questa zona, un tempo paludosa, di cicogne e di altri trampolieri. Ma l'ipotesi più plausibile sembra essere quella della derivazione dal termine romano “ciconia” che, oltre al volatile, indica anche il “mazzacavallo” per attingere l'acqua dai pozzi. La sua origine è piuttosto antica, anche se non è documentata con precisione. Nonostante questo si può ritenere che il borgo fosse non solo abitato, ma anche fortificato già intorno al X secolo. Il paese, noto come Calianum, nel XII secolo fu sotto la giurisdizione del monastero di San Giovanni della Pipia cui si avvicendò Buoso da Dovara, seguito dalla Chiesa cremonese. Nel 1300 e nel 1400 fu teatro di scontri. È un paese dalle sembianze aristocratiche giunte fino ai nostri giorni a testimoniare che le più grandi famiglie terriere cremonesi concentrarono la loro attenzione su Cicognolo dall'inizio del XIX secolo. Nel comune avevano proprietà i Pallavicino Clavello, i Pesce legati da vincoli di parentela con i Picenardi e i Manfredi, i Sommi, i Quaino, i Maggi e i Soresina Vidoni. Quelli furono gli anni di maggior fervore architettonico che cambiarono il volto del paese, ma che in realtà non apportarono grossi cambiamenti nella vita della comunità che versò in gravi condizioni economiche. Nei primi anni dell'Ottocento, tra le aristocrazie terriere scoppiò una vera e propria guerra d'immagine: si faceva a gara per assicurarsi le cure dei migliori architetti dell'epoca per poter realizzare sontuose dimore: tra il 1805 e il 1820 il marchese Antonio Maria Pallavicino Clavello fece ristrutturare in forme neoclassiche la residenza, acquistata dai Pesce, da Giuseppe Zanoja prima e Luigi Voghera poi. Qualche anno dopo il marchese Manfredi chiese al Voghera di riedificare il vecchio palazzo di famiglia, ereditato dai Pesce, che si era formato attorno al “columbarone” dei Ciria: si trattava del castello che ancora oggi campeggia al centro del paese. Verso l'ultimo quarto del secolo, Emilio Voghera, nipote di Luigi, si propose per ricostruire la chiesa parrocchiale di San Donnino edificata nel 1826 e da tempo bisognosa ormai di cure. Il castello è una delle costruzioni più importanti e antiche rimaste a Cicognolo. L'edificio è stato eretto utilizzando probabilmente il basamento, e il circostante fossato, di un preesistente castello medioevale, di cui ha con quasi assoluta certezza ripreso l'impianto quadrilatero con torri agli angoli. L'elemento che maggiormente contraddistingue questa singolare architettura neocastellana è l'alta torre al centro della fronte principale, orientata verso levante, chiamata “columbarone”, edificata dalla famiglia Ciria e acquistata dai Pesce nella seconda metà del 500. Nel 1616 alla vecchia torre erano già stati aggiunti alcuni edifici. La marcata presenza della elaborazione stilistica impronta comunque tutto l'edificio, che s'innalza entro la mirabile cornice di un parco paesaggistico "all'inglese", pure esso ispirato a principi romantici. Particolare interesse sotto il profilo architettonico riveste l'invenzione dei due grandi fornici sull'asse dell'edificio, che si aprono in facciata con un'ampia arcata dalla ghiera frastagliata: un motivo chiaramente ispirato nella sua "architettura interna", alle chiese d'età romanica, tanto da farne parlare come di "un corpo basilicale privato della facciata". L'architetto Luigi Voghera venne incaricato, tra la fine degli anni Trenta e l'inizio degli anni Quaranta dell'Ottocento, dal marchese d'origine spagnola Giuseppe Manfredi (di cui il castello porta tuttora il nome) del restauro dell'edificio che doveva consistere inizialmente in un semplice recupero. Ma date le precarie condizioni in cui si trovava venne in pratica ricostruito. Lo stile neo-gotico scelto dall'architetto colloca il castello di Cicognolo al secondo posto tra le opere neo-medievali realizzate dal Voghera (la prima è la torre panoramica della Filanda Bertarelli di Cremona). Altri link suggeriti: http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Cicognolo_Manfredi.htm

Fonti: http://www.comune.cicognolo.cr.it/dettagli.aspx?c=2&sc=55&id=67&tbl=contenuti, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A060-00371/

Foto: la prima è presa da http://cicognoloeventi.altervista.org/cicognolo/castello-aerea.jpg, la seconda è una cartolina in vendita sul sito www.delcampe.net

sabato 21 maggio 2016

Il castello di domenica 22 maggio






BARDOLINO (VR) – Castello Della Scala

Nell'alto medioevo la zona fu soggetta fin dall'epoca longobarda ai monaci colombaniani della potente Abbazia di San Colombano e del grande feudo monastico di Bobbio, che vi fondarono il Monastero di San Colombano di Bardolino che diverrà un potente priorato autonomo. Essi evangelizzarono il territorio favorendo l'espansione dei commerci, dell'agricoltura (specie la vite e l'olivo) e della cultura, introducendo importanti innovazioni ed aprendo vie commerciali. Si narra della visita sopra Malcesine di re Pipino ai santi Benigno e Caro: in uno di quei viaggi il re destinò all'Abbazia di San Zeno di Verona la chiesa di San Colombano e tutte le sue pertinenze. Fra l'856 e l'859 vi fu una disputa fra Verona e i paesi del lago. I paesi della sponda veronese divennero un'unica entità amministrativa con sede a Garda. È del IX secolo l'edificazione del primo castello, autorizzato da re Berengario al fine di costituire mezzi di difesa contro le invasioni degli Ungari, permesso accordato a tutte le comunità del lago. A Bardolino il castello si ingrandì fino a costituire, con gli Scaligeri, un unico fortilizio per tutto il paese. Il castello fu dunque rifatto ed allargato nella sua forma organica, assumendo la forma ancor oggi visibile nella torre, nelle porte e nell’andamento delle strade. Vennero erette delle mura robuste rinforzate da torri, spalti e merlature: circondato da un fossato, comunicava, attraverso porta San Giovanni (o superiore) a nord con Garda e Porta Verona (o porta inferiore) a sud-est. Una delle più antiche carte topografiche del lago di Garda (una mappa del 1439 esistente all’ Archivio di Stato di Venezia) illustra Bardolino con una struttura quasi quadrata aperta verso il Lago (con una torre ad ogni lato), che comprende il porto fra due speroni che si protendono verso il lago, una torre nell'angolo sud-est sopra porta Verona del castello, la piazza caseggiata e nel fondo il campaniletto acuspidato di San Nicolò. Nel XII secolo Bardolino è ricordato come comune autonomo, e risale al 1222 la costituzione, comune a quasi tutti i centri del lago, dei diritti di pesca riservati alle famiglie del luogo. Durante il medioevo e l'età moderna Bardolino seguì i destini di Verona. Si ricorda che fu il centro della marina veneziana sul lago, e nel 1526 fu saccheggiato e subì il rapimento di propri abitanti a fini di riscatto da parte dei lanzichenecchi. Sotto gli austriaci fu capoluogo del distretto che raggruppava tutti i comuni veronesi rivieraschi. Del Castello di Bardolino oggi purtroppo resta ben poco da vedere: le due porte d'accesso al paese – quella a nord (Porta san Giovanni) e quella a sud (Porta Verona) - ampiamente restaurate e rimaneggiare nel corso dei secoli. Visibili sono inoltre i resti delle mura e una delle torri difensive della cinta, mozza e a pianta rettangolare, posta nelle vicinanze del porto e molto suggestiva per la forte pendenza sul lato sinistro a causa di un naturale cedimento del terreno. Restauri conservativi nella zona a nord del paese hanno posto in luce lacerti delle mura e delle altre strutture difensive, ormai conglobate in edifici posteriori.


Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.gardatourism.it/mura-di-cinta-di-bardolino/

Il castello di sabato 21 maggio






CAROVIGNO (BR) – Castello Dentice
In cima a un colle, è invisibile dalla costa. Ai margini del caratteristico centro storico di Carovigno, il castello presidia la porta nord verso la vicina Ostuni e il fianco occidentale verso il mare. La posizione strategica fece del maniero, il centro di numerose contese nobiliari nonché efficace avamposto militare, infatti ogni vertice è puntellato da una torre angolare. La torre curvilinea, invece, svela l’influenza senese dell’architetto Francesco di Giorgio Martini, presente in Puglia negli anni della sua edificazione. Da fortezza militare passò a fastosa residenza nel corso del '700 fino agli ultimi rimaneggiamenti per volere del conte Dentice nel 1904. Risale al 1163 il primo documento che testimonia l’esistenza del castello. Da allora ci furono diverse dominazioni, quella normanna di Goffredo III di Montescaglioso, quella sveva nel 1194 e quella angioina nel 1306. Nel 1382 divenne proprietà del principe di Taranto Raimondo del Balzo Orsini che poi lo lasciò in eredità alla moglie, la regina Maria d’Enghien, contessa di Lecce. Il castello è frutto delle modifiche effettuate tra '300 e '400 su un preesistente edificio normanno. Il primo nucleo del Castello con ogni probabilità di origine normanna, è da identificarsi nella torre quadrata a forte controscarpa adiacente Porta Ostuni. Sul lato sud, a ridosso di questa torre doveva svilupparsi il "palatium" descritto nell'Inventario di Maria d'Enghien del 1440. Le fabbriche successive a questa data insistono sulla zona nord, inglobando in una struttura triangolare sia la torre quadrata, normanna, sia quella circolare, forse aragonese. Il torrione a mandorla posto sullo spigolo nord-est fu fatto costruire, tra Quattro e Cinquecento, dai Loffreda, feudatori di Carovigno in questo periodo come testimonia la presenza dell'arma di matrimonio di Pirro Loffreda, murata nella stessa torre. Pare che i costruttori della torre a mandorla di Carovigno abbiano subito l'influsso dell' architetto senese Francesco di Giorgio Martini, la cui presenza in Puglia è attestata nel 1492 per sopraintendere alla costruzione delle piazzeforti di Taranto, Otranto, Gallipoli e Brindisi. Tutte queste fabbriche e dunque anche quella di Carovigno, risentono del clima innovativo che ha investito, tra Quattrocento e Cinquecento, l'arte della guerra e delle fortificazioni. Tutta la parte alta del castello è lievemente aggettante e le mura sono coronate da una fitta merlatura. Con la costruzione della torre a mandorla, il castello assunse la planimetria triangolare che rimase poi immutata nel tempo, nonostante i numerosi interventi di restauro. Fra questi ricordiamo quello "integrativo" del 1906, affidato dal proprietario, il conte Alfredo Dentice, all'ingegnere Marshietzek. Si intervenne sul coronamento ricostruendo "in stile" le merlature, le caditoie e alcune parti mutile della tessitura muraria, si costruì, infine, un loggiato sugli spalti e un portico-altana a sei archi che affaccia sul cortile interno. Il complesso residenziale, destinato negli anni 30 dai Principi Dentice di Frasso a sede di lanificio, di proprietà dell'Amministrazione Provinciale è concesso in uso al Comune che, dopo aver completato i restauri, destinerà la struttura ad attività socio-culturali (museo, biblioteca, archivio comunale, ecc.). Altri link attimenti: scheda di Domenico Basile su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/brindisi/carovigno.htm, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Dentice_di_Frasso_di_Carovigno, due video di Agelina Stanziano (https://www.youtube.com/watch?v=_Ffg5Wxk394 e https://www.youtube.com/watch?v=7Y_CEvTn-js)

Fonti: http://www.viaggiareinpuglia.it/at/1/castellotorre/1459/it/Castello-Dentice-di-Frasso-Carovigno-%28Brindisi%29, http://www.comune.carovigno.br.it/territorio/da-visitare/item/castello-dentice-di-frasso

Foto: la prima è di pandapugliese su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Dentice_di_Frasso_di_Carovigno#/media/File:Carovignocastello.jpg, la seconda è presa da http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=638

giovedì 19 maggio 2016

Il castello di venerdì 20 maggio






NOLI (SV) – Castello di Monte Ursino

Sorge in posizione dominante su una collina da cui prende il nome, a difesa del centro storico di Noli. Intorno al X secolo molti centri che sorgevano sulla costa si spostarono sulle colline, meno malsane e più facilmente difendibili. Fu così anche per Noli che, distrutta da un incendio intorno al 900, fu ricostruita sulla collina di Monte Ursino, a picco sul mare, e già nel 1004 viene citata in un documento e definita borgo fortificato. Dopo la costruzione di una prima torre sulla sommità della collina, la fortificazione si ampliò e rafforzo più volte fino a raggiungere la sua forma attuale intorno al XV secolo, abbracciando anche il neonato borgo nella piana, attuale centro storico, mentre fu gradatamente abbandonato quello in collina. Inizialmente il borgo si presentava munito di ben 72 torri, oggi ne sono sopravvissute solo 4, mentre le altre furono integrate in edifici posteriori dopo esser state mozzate per utilizzarne le pietre e i mattoni come materiale di reimpiego. Fautori di questa struttura militare medievale furono soprattutto i Del Carretto, feudatari di Noli. Il castello era in grado di controllare sia il mare e la costa che la vecchia strada romana passante in collina nella località di Voze, e utilizzata sino al XVIII secolo. Il castello è costituito sulla sommità da una alta torre cilindrica, circondata da massicce mura e dagli alloggi per la truppa. Da questo nucleo principale discendevano due perimetri murari, in gran parte ancora oggi conservati, che abbracciavano tutta la collina e successivamente anche l'abitato a valle. Torri circolari si susseguivano a intervalli regolari lungo le mura digradanti sui fianchi del Monte Ursino. Le porte di accesso erano invece difese da un singolare sistema ancora oggi in parte conservato che era costituito da una torre esterna alle mura e ad esse collegata tramite una passerella in muratura. Ciò permetteva di difendere le porte di accesso anche dall'esterno colpendo i nemici alle spalle. Il castello e le mura di cinta del borgo, sono tra gli esempi di incastellamento medievale meglio conservati del Ponente ligure. L'intervento con il progetto di Valorizzazione delle risorse naturali e culturali della Liguria (Asse 4 del Por Fesr 2007-2013) ha permesso di recuperare le vestigia del castello nolese, le cui mura avevano diversi gradi di conservazione, che sono state restaurate e rese fruibili. La torre, con l'inserimento di parapetti e il ripristino delle scalinate, è stata resa completamente agibile, così come le aree esterne. Anche il cortile del castello è stato valorizzato con palchi e sedute per spettacoli all'aperto. Altri link attinenti: http://montanarilenti.blogspot.it/2014/04/sentiero-noli-castello-di-monte-ursino.html, http://www.thinktag.it/it/resources/storia-e-cultura-a-due-passi-dal-mare-il, https://www.facebook.com/media/set/?set=a.422264227915548.1073741840.349643641844274&type=1

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Monte_Ursino, http://www.liguriaheritage.it/heritage/it/liguriaFeudale/Savona.do?contentId=30070&localita=2230&area=213, http://www.liguriaheritage.it/heritage/it/liguriaFeudale/ArchivioFocusLF.do?contentId=33601,

Foto: la prima è di Parpuin su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/242602, la seconda è presa da http://mapio.net/o/3032205/

Il castello di giovedì 19 maggio






PAMPARATO (CN) - Castello dei marchesi Cordero

Sull'origine del toponimo di Pamparato si danno due possibili spiegazioni: la prima legata alla fertilità del terreno, tanto ricco da consentire il panis paratus, ossia il "pane pronto", senza eccessiva fatica; la seconda collegata alla leggenda secondo la quale gli abitanti del luogo, anticamente chiamato Mongiardino, assediati dai saraceni intorno all'anno 920 e ridotti ormai alla fame, avrebbero escogitato un ultimo espediente per allontanare gli assalitori: l'invio fuori dalle mura del Castelluccio di un cane con in bocca un pane (forse l'ultimo) intriso di vino, per far credere ai nemici di avere abbondanza di viveri, inducendoli all'abbandono dell'assedio. Questi, visto arrivare il cane col pane, avrebbero esclamato: "Habent panem paratum!", cioè: "Hanno il pane condito!" e, delusi, si sarebbero allontanati dal paese. Da panem paratum sarebbe derivato l'attuale nome, Pamparato. Proprio da questa leggenda prende spunto lo stemma del comune, che raffigura un cane con in bocca una pagnotta, accompagnato da una colomba bianca con un ramoscello di ulivo nel becco, simbolo della pace e della libertà riconquistate. Divenuto possesso del marchesato di Ceva, Pamparato venne ceduto dal marchese Guglielmo di Ceva ad Asti il 5 maggio 1214, per tornare successivamente sotto giurisdizione cebana. Per l'intero XIII secolo l'area di Pamparato, come quelle circostanti, subì l'influenza astigiana, resistendo inoltre con le armi alle mire espansionistiche della famiglia Bersani. Successivamente venne annesso assieme al cuneese ed al monregalese ai possedimenti di Carlo I d'Angiò. Nel XIV secolo la zona di Pamparato venne contesa fra Savoia, Angiò, Visconti, Acaja e Monferrato, passando di mano più volte e subendo le lotte interne fra i fautori di una o di un'altra fazione. Notevole è comunque il fatto che i primi statuti di Pamparato vennero scritti proprio in questo periodo, nel 1391. Con la morte dell'ultimo Acaja, nel 1418 Pamparato passò sotto il dominio dei Savoia con Amedeo VIII. Degna di nota è la presenza di un rappresentante della famiglia Cordero, avo dei futuri marchesi, nella delegazione di Mondovì inviata a trattare con il duca savoiardo le condizioni della sottomissione. Successivamente un Cordero, Baldassarre, fu il primo a creare una stamperia in territorio piemontese, a Mondovì, nel 1472. Il feudo di Pamparato era diviso in zone dette parcelle, controllate dalle famiglie Bonarda Mongarda, Beccaria ed in parte dal cardinale Maurizio di Savoia. I Cordero, presenti a Pamparato dal Seicento e chiamati signori iniziarono la loro ascesa ereditando le parcelle dei Bonarda Mongarda e dei Beccaria per vie matrimoniali, mentre la parte di Maurizio di Savoia venne ceduta ai Giannazzo che ottennero il titolo di conti. La famiglia Cordero ottenne infine il titolo marchionale, confermato ufficialmente sul finire del XVIII secolo. Pamparato fu coinvolto nelle guerre del sale contro la corona sabauda, durante le quali probabilmente venne distrutto l'antico castello che sorgeva dove ora si trova quello eretto dai Cordero. Il castello dei Marchesi Cordero di Pamparato, risalente al XV secolo, venne ricostruito a fine Settecento e oggi si presenta come un palazzo signorile costituito da una cortina laterizia, intonacata al piano terreno e caratterizzata da fasce marcapiano superiori. E' sede del Municipio, ma viene anche utilizzato come sede per mostre, convegni e concerti di musica medievale nell'ambito del Festival dei Saraceni.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Pamparato, scheda su testo "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999), http://www.galmongioie.it/2015-02-24-08-09-46/6-autunno/detail/133-88-medium.html, http://www.dcia.it/sezione/index.php/attivita/71-attivazione-2011-08-10-dci-cn190-dci-cn191-pamparato

Foto: la prima è di Georgius LXXXIX su https://it.wikipedia.org/wiki/Pamparato#/media/File:Pamparato1.JPG, la seconda è di PiGi'Franco su http://www.panoramio.com/photo/14474356

mercoledì 18 maggio 2016

Il castello di mercoledì 18 maggio






SPOLTORE (PE) - Torre De Sterlich

Molto spesso si è soliti credere che un grande patrimonio appartenente alla storia, al passato, in nessun caso possa o debba tornare utile a scopi attuali; capita a volte però che il connubio tra storia antica e attualità possa potenziare entrambi questi due aspetti, rafforzandoli come avviene in un vero e proprio matrimonio. E’ questo il caso di Torre Sterlich, una delle strutture più suggestive di Spoltore, che si erge solitaria in un paesaggio che, al pari di essa, pare non sentire l’avanzata del progresso, mantenendo ancora il suo sapore di mistica antichità. La sua costruzione risale al XVI secolo come quella della Torre Cerrano, in funzione anti-saracena. La torre appartenne, intorno alla metà del secolo XVII, al barone di Cermignano Lutio Sterlich, il bonatenente più ricco di Spoltore in quel periodo, al quale la costruzione stessa deve il suo nome. La torre è posta al centro di una proprietà privata recintata, quindi può essere ammirata solo dalla strada. Essa è spesso crocevia di voli di corvi. Oggi Torre Sterlich ha perso ogni funzione pratica di questo tipo, e tuttavia, fino a pochi anni fa, ha avuto un impiego prepotentemente attuale: in un certo senso era rimasta comunque una struttura di osservazione, ma di altro tipo… Su di essa era stato infatti posto un telescopio che ha permesso a tutti i cittadini di Spoltore, per qualche tempo, di godere della visione del cielo notturno con l’ausilio di un "occhio speciale". Purtroppo, come spesso avviene, le cose belle non durano, ed in questo caso resta anche un interrogativo… perché? Torre Sterlich è un patrimonio del passato ma anche del presente, ed è quindi giusto che torni in possesso del suo telescopio. Per fortuna, al fine di realizzare tale proposito, si sta già muovendo il Comune di Spoltore, ed in particolare il Sindaco Renzetti, il quale afferma che "Come prima iniziativa stiamo avviando dei colloqui con il proprietario della Torre, che come è noto è un privato cittadino, per avere la disponibilità a installarvi un telescopio. In caso di assenso si tratterà di stabilire le modalità di uso e concordare con l'associazione quanto necessario.". Il progetto sarà supportato dal Gruppo Astrofili pescaresi (G.As.P.RA), volenterosa associazione di divulgazione astronomica, che già da tempo si batte contro il problema dell’ "inquinamento luminoso", e che ultimamente ha ottenuto un grande successo con la manifestazione tenutasi il 4 Maggio scorso in Piazza 1° Maggio a Pescara, in occasione dell’eclisse totale di luna. Un aiuto importante quindi, su cui presto il Comune di Spoltore potrà contare per restituire ai suoi cittadini la possibilità di guardare al cielo con occhi diversi, dall’alto di una delle più belle costruzioni della città.

Fonti: http://www.comune.spoltore.pe.it/pagina1606_visitarla.html, http://visitabruzzo.altervista.org/it/2012/01/torre-de-sterlich-spoltore/

Foto: la prima è presa da http://www.comune.spoltore.pe.it/pagina13_galleria-immagini.html, la seconda invece è di Delli Rocilli su http://it.worldmapz.com/photo/130201_pt.htm

martedì 17 maggio 2016

Il castello di martedì 17 maggio






MONASTEROLO DEL CASTELLO (BG) - Castello

Le origini del castello sono tuttora controverse. Pare infatti che l'attuale struttura venne edificata in luogo di un precedente edificio risalente all'alto Medioevo adibito a monastero benedettino ed abbattuto al termine dell'VIII secolo dall'esercito dei Franchi (anche se altre ipotesi indicherebbero Federico Barbarossa). Tale teoria è suffragata dal ritrovamento delle fondamenta di tale costruzione, tipiche dell'architettura benedettina. La nuova struttura invece è di difficile datazione, in quanto mancano documenti che ne attestino l'esistenza: fino a qualche tempo fa si pensava che il "castra monasteriolo" riportato in atti del 989 e del 1022, fosse riferito al castello in questione, mentre più probabilmente è da ricollegare al borgo medievale di Monasterolo, sito nel comune di Robecco d'Oglio in provincia di Cremona. Il primo documento attribuibile in modo certo risale invece al 1130, epoca in cui si pensa che il maniero fosse utilizzato sia per scopi difensivi che residenziali. Si presume inoltre che la fortificazione fosse anche adibita al deposito di animali e scorte alimentari durante il passaggio di eserciti nemici, nonché come rifugio degli abitanti della piccola comunità durante tali situazioni di pericolo. I primi proprietari furono gli appartenenti della famiglia Mozzo, a cui poi subentrò la famiglia Suardi, che ricopriva un ruolo predominante sull'intera vallata quindi i Terzi. Nessun episodio di rilievo si verificò fino all'arrivo della Repubblica di Venezia (prima metà del XV secolo) la quale, al fine di porre fine alle lotte tra guelfi e ghibellini, ordinò la distruzione di tutte le fortificazioni. La famiglia Suardi, al fine di evitare la demolizione del castello, decise di renderlo una dimora signorile a tutti gli effetti. I secoli seguenti videro un progressivo ma inesorabile abbandono della struttura, fino al punto da renderla fatiscente ed a rischio di crolli. Negli anni trenta venne ceduto dalla famiglia Terzi alla contessa britannica Winifred Terni De Gregorj e soltanto nel 1937 vennero iniziati i lavori di restauro che, protratti fino al 1945, videro il recupero sia degli interni che dei giardini. Il castello ha fatto da set cinematografico per il film "Tutti gli uomini del deficiente" della Gialappa's band, dove rappresentava la sede centrale della Totem Arts. L'edificio, che si trova su una piccola collinetta di origine morenica posta tra l'estremità meridionale del lago di Endine e la sponda sinistra del fiume Cherio, è circondato su tre dei quattro lati da una cinta muraria, mentre a nord è delimitato dal lago e, nei secoli scorsi, da paludi. La muratura è costituita da conci grossolani e pietre poco lavorate, con dimensioni diverse a seconda dell'altezza a cui sono poste. Nelle murature si notano alcuni elementi tipici del suo apparato difensivo, come feritoie, merlature, portali di accesso alle corti interne. L'ingresso è posto nel lato a sud, ed è costituito da un portale in stile gotico a forma ogivale: da questo si accede alla cosiddetta Corte bassa, costituita da un cortile a pianta quadrata circondato da cinta muraria dotata di camminamento di ronda e merlature: queste ultime non sono altro che un motivo ornamentale, aggiunte in un secondo momento rispetto al resto della struttura. A sinistra dell'ingresso inoltre si trova un piccolo Oratorio, dedicato a Sant'Anna, risalente al XVII secolo. La struttura prosegue quindi con la Corte alta, a forma trapezoidale: costituita da un corpo ad "L" su due piani che possiede un porticato dotato di archi e colonne nonché numerose stanze, è completata da un altro piccolo cortile a forma irregolare. Accurati restauri hanno ridato splendore all’insieme, cosicché oggi il castello si presenta come una meta da riscoprire, racchiudendo in sé le bellezze ambientali e artistiche che costellano la Valle Cavallina. Il giardino del castello è ritenuto uno tra i più belli esistenti oggi in Italia settentrionale. Il giardino, abbozzato nel 1938 dalla contessa Terni de Gregorj Taylor, si è andato configurando ad opera degli eredi ed attuali proprietari, la famiglia Sforza Francia. Disposto sull’altura, si apre con un prato all’inglese, circondato da una siepe modellata secondo i canoni del tardo rinascimento e del barocco. Attorno ad esso si estende un semplice giardino paesaggistico che sfuma nella vegetazione spontanea autoctona del fondovalle lacustre. Quest’area era occupata, fino alla metà degli anni trenta, da prati e frutteti ed era percorsa da una mulattiera che, tra filari e pioppi e gelsi, saliva al castello. Di quell’antico paesaggio rimangono alcuni gelsi, noci e ciliegi ed un filare di uva americana. Tra le collezioni di alberi ed arbusti, ricchissima è quella dedicata a specie dagli spettacolari colori autunnali. Il giardino propone una notevole ricchezza botanica: numerose specie di aceri, provenienti da diversi continenti e presenti in molte varietà, ciliegi e meli ornamentali e diverse specie di Quercus, Euonymus, Crataegus e Berberis. Si possono inoltre ammirare latifoglie raramente presenti nei giardini italiani e anche svariate piante che hanno mantenuta immutata la loro forma per milioni di anni e che vengono, a ragione, considerate veri fossili viventi. Oltre a moltissime altre specie e varietà, tra cui pini, cedri, tassi, sugli spalti del castello vi sono orti e aiuole che forniscono fiori da taglio per tutte le stagioni e, nel cortile del castello, una collezione di gelsomini in vaso. Oggi il castello, di proprietà privata, viene utilizzato per banchetti e ricevimenti. Ecco un video, di Acquaroli Ricevimenti, sul monumento: https://www.youtube.com/watch?v=UHRFoS_bMLY

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Monasterolo, http://www.invalcavallina.it/aree/risorseculturali/risorseculturali/risultato/risorsaculturale.asp?IdRisorsa=62&Lingua=ITA, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/RL560-00069/

Foto: entrambe sono prese da http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/RL560-00069/