venerdì 28 agosto 2015
e anche il blog va in vacanza....
Cari amici,
oggi parto per Bomarzo (VT) per una breve vacanza con la mia famiglia. Non potrò dedicarmi al blog per alcuni giorni per cui....appuntamento al prossimo 2 settembre con nuovi castelli da scoprire.
Saluti a tutti.
Valentino
Il castello di sabato 29 agosto
SESTO AL REGHENA (PN) – Abbazia fortificata di Santa Maria
in Sylvis
Le prime tracce di Sesto al Règhena, come
confermano i ritrovamenti di molti reperti archeologici nell'area, vanno
ricondotte all'epoca preromana. Lo stesso nome, “Sesto”, rimanda ad una statio,
cioè ad una postazione militare posizionata al sesto miglio sulla strada che
univa Concordia Sagittaria con il Norico. È storicamente accertato che
Ecelo II, il Monaco, della famiglia degli Ezzelini, contese nel 1182 delle
proprietà ai frati del monastero di Sesto al Reghena. Il 24 aprile 1198 il papa
Innocenzo III incaricò Pellegrino, Patriarca di Aquileia, di mediare e
risolvere la lite tra i due contendenti dopo aver assolto Ecelo dalla scomunica
emessa dal Patriarca di Grado. Sesto al Reghena fu una delle località
interessate dalle numerose proprietà che videro protagonisti i vari componenti
della famiglia degli Ezzelini. Proprietà che furono certosinamente accertate,
censite e documentate dopo la loro definitiva sconfitta avvenuta nel 1260. Nel
1418 le truppe veneziane invasero il Friuli e in tre secoli e mezzo circa il
dominio veneto terminò col trattato di Campoformio (1797), col passaggio
napoleonico di Venezia all'Austria. Nel XIX secolo il territorio di
Sesto al Règhena si intreccia con le vicende del Regno Lombardo-Veneto, fino
all'annessione definitiva al Regno d'Italia. Fondata nel 730-735, l’abbazia
di Santa Maria in Sylvis (così chiamata per il fatto di trovarsi fin
dall'inizio nel mezzo di una vasta selva) appartenne dal 762 ai Benedettini. Priva
di un sistema di difesa, nell'899 gli ungari la rovinarono, ma nel 960 iniziò
la sua ricostruzione durata sei anni, ad opera dell'abate Adalberto II. La
struttura abbaziale accrebbe così la propria potenza sia sul piano religioso
che su su quello civile, tanto da assumere l'aspetto di castello con tanto di
sistema difensivo, composto da fossati e torri. Nel 967, con un diploma di
Ottone I, l'abbazia-castello venne donata al Patriarcato di Aquileia. Nel
1420 Sesto al Règhena passò al dominio dei Veneziani, i quali la affidarono già
dal 1441 ad alcuni prelati secolari che non vi abitavano. Infine, abolita la
Commenda, beni e proprietà abbaziali vennero venduti all'incanto. La
storia più recente riferisce che nel 1818, dopo alterne vicende, la giurisdizione
ecclesiastica di Sesto passò alla diocesi di Concordia, fino a che nel 1921 il
Vaticano le riconobbe nuovamente il titolo di abbazia. Nel 1431 vi erano
ben sette torri di difesa, come rappresentato nel sigillo di Tommaso de'
Savioli, ultimo abate residenziale. Ora ne rimane una sola, che funge anche da
ingresso al complesso; in origine era dotata di un ponte levatoio. La torre fu
restaurata dagli abati commendatari Giovanni Michiel e Domenico Grimani, che la
trasformarono come oggi la vediamo; nel Settecento venne realizzato il ponte in
pietra in sostituzione di quello levatoio. Di fronte ad essa appare la torre
vedetta, scandita da lesene risalenti alla metà dell'XI secolo, e oggi
trasformata in campanile. A sinistra trova spazio l'antica cancelleria
abbaziale e a destra la residenza degli abati, costruzione di ispirazione
rinascimentale sulla cui facciata sono conservati gli stemmi affrescati dei
cinque abati commendatari. Alla sinistra di questa residenza vi è l'entrata
all'abbazia. La facciata è dominata da un affresco rappresentante un leone
di San Marco, risalente alla fine del Quattrocento; appena sotto è posto un
bassorilievo con lo stemma del cardinale Grimani con la data del 1521; a
sinistra vi è l'affresco dove è ripetuto lo stemma Grimani, mentre a destra si
trova l'affresco di uno stemma con croce, di cui si ignora il proprietario. Più
sotto si può vedere dipinta un'allegoria del buon governo veneziano e della
famiglia Grimani, che controllava con i suoi membri sia l'abbazia di Sesto che
il Patriarcato di Aquileia. Anche se mancano le prove documentarie, l'autore di
queste opere è ritenuto Giovanni Battista Grassi, uno dei maggiori
rappresentanti del manierismo maturo in Friuli. La chiesa abbaziale prese forma
fra il XII e il XIII secolo, per essere sostanzialmente risistemata nel XV
secolo; nel XX ha subito una serie di restauri (1905-1914, 1932 e 1981). Il
vestibolo è completamente affrescato con il ciclo dell'Inferno, ciclo
del Paradiso e ciclo di San Michele, opere risalenti al 1450 circa e
che vengono attribuite alla bottega di Antonio da Firenze. Dal vestibolo si
passa nell'atrio, con tre navate di età romanica, caratterizzato da un
massiccio soffitto del Quattrocento ed affreschi del Duecento. Altri link
consigliati: http://www.abbaziasestoalreghena.it/
(quello ufficiale dell’abbazia), http://www.consorziocastelli.it/icastelli/pordenone/sesto_al_reghena,
http://www.comune.sesto-al-reghena.pn.it/c093043/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/19
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sesto_al_Reghena, https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Santa_Maria_in_Sylvis (da leggere per approfondire), scheda di Stefano Favero su http://www.mondimedievali.net/castelli/Friuli/pordenone/sesto.htm
Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.viedellabbazia-sesto.it/vdas/wp-content/gallery/torre/galleria_torre_05.jpg
Il castello di venerdì 28 agosto
CHATILLON (AO) – Torre di Conoz
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Conoz, http://www.visititaly.it/info/954702-torre-di-conoz-chatillon.aspx
Foto: di Patafisik su https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Conoz#/media/File:Torre_di_Conoz_2.JPG
e da http://tapazovaldoten.altervista.org/zvaltournenche/chatillon_promiod.html
giovedì 27 agosto 2015
Il castello di giovedì 27 agosto
ODALENGO GRANDE (AL) - Castello
Le testimonianze degli storici riportano che
Odalengo Grande fosse già esistente prima del X secolo. Il feudo monferrino
appartenne ai marchesi del Monferrato, ai quali fu poi riconfermato dall'
imperatore Federico Barbarossa con editto del 1164. Odalengo Grande, l'antica Odalinga
(termine germanico), fu concesso in feudo a varie famiglie di signori locali,
tra i quali i conti Gozzani di Treville. Il Castello, residenza dei conti
Gozzani (si notino gli stemmi raffigurati lungo la manica lunga del complesso
verso la corte interna), è oggi in parte ristrutturato e adibito ad abitazioni.
In origine esisteva un ricetto, con case e orti, delimitato dai propri bastioni
e relative fortificazioni consistenti in muri che circondavano il castello con
una bertesca e varie opere militari. Il Saletta spiega che dopo l’acquisto dei
Petrozzani era stato "ridotto in palazzo nobile con altri edifici.
Ma il Sig. Marchese di Gozani lo aveva accresciuto
di maggiori e più qualificate abitazioni che vi si può alloggiare ogni persona
d’alta sfera.". Il Niccolini afferma che avesse "la migliore delle
cantine che vanti il Monferrato" …"contenente vasi vinari per il
valore di 50'000 lire". Il complesso è caratterizzato da una pianta a "C"
con corte interna, i due bracci minori sono porticati, le finestre e porte
affaccianti sulla corte hanno una semplice cornice. L'aspetto complessivo è
sobrio e austero. Oggi dell'antica fortificazione restano la muratura, a tratti
solo in laterizio e a tratti in laterizio misto a filari di tufo, e alcune
bertesche inglobate in una struttura adibita a residenza. Attualmente di proprietà
privata, è difficilmente visitabile. Dalla corte interna si può ammirare
uno splendido panorama sulla valle. All'interno vi sono alcuni saloni
affrescati.
Fonti: http://www.mepiemont.net/paesi/prov_al/odale.html, http://www.comune.odalengogrande.al.it/monumenti.htm,
testo su pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso
(ed. 1999), http://www.monferrato.org/ita/risorse-turistiche/arte-e-cultura/castelli-fortezze/011144617cd1213242343dc8760b2e84/390a3003b050ecc5e2c55e68eff48674/
Foto: da http://www.monferrato.org/ita/risorse-turistiche/arte-e-cultura/castelli-fortezze/011144617cd1213242343dc8760b2e84/390a3003b050ecc5e2c55e68eff48674/
e da http://www.mepiemont.net/paesi/prov_al/odal/odalg_f2.jpg
mercoledì 26 agosto 2015
Il castello di mercoledì 26 agosto
Il palazzo baronale, o castello, costituisce per Collepasso il richiamo più autorevole al proprio passato e con la sua vetusta imponenza alimenta, nell'immaginario collettivo, suggestive rievocazioni, dove storia e leggenda spesso si mescolano e si fondono. In realtà, poco ci è dato sapere sulle origini e sulle vicende che hanno caratterizzato la storia dell' austero edificio che si staglia sull'ampia spiazzo delimitato da via Puccini e da via Ugo Bassi. L'edificio attuale è il risultato di diversi interventi e lavori di ampliamento, i quali terminarono nel XVIII secolo con il feudatario Oronzo Leuzzi. Ingloba un'antica costruzione edificata nel 1576 da Pietro Massa, sopra ad un'altra già preesistente, ossia una torre di difesa di epoca bizantina. Tale palazzo divenne il centro dell'attività politica e culturale collepassese sotto l'egemonia della Baronessa Aurora Leuzzi. Nel 1992 e nel 2006 si sono avuti dei lavori di restauro. Con decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali, del 6 ottobre 1987, il castello o Palazzo Baronale di Collepasso è stato dichiarato l'immobile di "interesse particolarmente importante" ai sensi della Legge 1 giugno 1939 n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico e, come tale, è stato sottoposto alle disposizioni previste dalla medesima legge. Il castello, la cui facciata si estende per 50 metri, si articola in un grande corpo centrale, sviluppato su due piani fuori terra, e in due brevi "ali" laterali, a filo con il resto del prospetto. Vi si accede attraverso due grandi portali: quello a sinistra immette in un grande locale, appartenente alla costruzione più antica, voltato a botte e con pavimento in lastre di pietra di Cursi; quello di destra, invece, introduce in un vestibolo coperto di volte stellate di pregevole esecuzione che termina con un altro portale di forme simili a quelle dei primi due e che consente di accedere al cortile interno. Tutto intorno al cortile si articolano, poi, i vari locali seminterrati o terragni, voltati quasi sempre a botte e adibiti in origine a vari usi, a deposito di derrate alimentari, a palmento, a forno, ecc. Dal vestibolo d'ingresso, mediante una scalinata, si sale al piano nobile che si sviluppa solo sul lato occidentale e meridionale del grande quadrilatero. Gli appartamenti sono composti da diverse stanze di ampie dimensioni, coperte per lo più con volte a spigolo, tipiche dell architettura salentina, la cui esecuzione risale, appunto, ai lavori settecenteschi voluti da Oronzo Leuzzi. Il palazzo baronale, che come giustamente rileva la Soprintendenza "costituisce l'episodio più significativo di architettura civile di tutto l'abitato di Collepasso", merita di essere salvaguardato da ogni forma di impropria generica fruizione, fissando destinazioni consone alla natura e alla dignità di bene storico e culturale che lo contraddistinguono e avviando una capillare opera di sensibilizzazione, finalizzata a potenziare nella coscienza collettiva, in particolare delle giovani generazioni, il rispetto e l'attenzione per un monumento che rappresenta uno dei pochi segni distintivi del nostro passato. Dal 1987 è stato rilevato dal Comune. Ecco un interessante video sul monumento (di TELE RAMA): https://www.youtube.com/watch?v=Iwk_WwvJii4
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Collepasso#Palazzo_Baronale, http://www.comunedicollepasso.gov.it/la-storia/634 (tratto dal libro "Storia di Collepasso dalle origini all'autonomia" di O. Antonaci, S. Marra, Amaltea Edizioni, 1999)
Foto: di Lupiae su https://it.wikipedia.org/wiki/Collepasso#/media/File:Pozzo_e_Palazzo_Baronale_di_Collepasso.jpg e da http://www.infocollepasso.it/wp-content/uploads/Collepasso_Palazzo_baronale.jpg
martedì 25 agosto 2015
Il castello di martedì 25 agosto
SURBO (LE) - Masseria Melcarne
Fonti: http://www.masseriamelcarne.it/web/storia.php, http://www.salentoviaggi.it/comuni/surbo/masseria_melcarne_o_malecarne__675.htm,
http://www.salentoacolory.it/masserie-fortificate-nord-lecce/
Foto: da https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiona7BXzJiTuSUV7oGknd60J5d80PwHFU8M4no5NRW27zx0H6uX7QFhyphenhyphenD86qFYJzsjMDMoJZka_-SgQig2OYiKBwgRb9sJqN2LaIBzN2CnzrVwiDxhfk22FXbTtDqIleX8DcgesB9xqhI/s1600/16.jpg
e da http://www.casamestre.it/news-itinerari-turistici/860-itinerari-del-salento-surbo-la-piccola-capitale-delle-masserie
lunedì 24 agosto 2015
Il castello di lunedì 24 agosto
PIOMBINO (LI) - Rocca di Populonia
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Populonia, http://www.castellitoscani.com/italian/populonia.htm, http://www.fototoscana.it/mostra-gallery.asp?nomegallery=populonia
Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, mentre la seconda è di Fabio Mazzoni su http://www.immaginefoto.com/wp-content/uploads/2015/01/Aeree_15.jpg
sabato 22 agosto 2015
Il castello di domenica 23 agosto
DIVIGNANO (NO) – Castello
A testimonianza visibile di un passato largamente
condizionato dalla presenza della proprietà signorile in Divignano è rimasto il
castello: simbolo e documento nello stesso tempo di questi ultimi cinquecento
anni di storia. L’edificio è posto nel centro del paese, su un'altura che
domina la valle sottostante e parte dell'abitato. Il primo documento che
riferisce dell’esistenza di Divignano risale alla fine del XII secolo e
descrive già la presenza nel luogo di un’area fortificata, di cui però si hanno
scarse notizie. Dopo aver fatto parte nell’alto Medioevo del comitato di Pombia
ed essere rimasta sotto la giurisdizione del comune di Novara per buona parte
del Trecento, Divignano entrò nel 1413 nella sfera d’influenza del ducato di
Milano, quando Filippo Maria Visconti l’assegnò in feudo ai fratelli Ermes e
Lancillotto Visconti, già signori di Castelletto e Sesto Calende. Trent’anni
dopo, il duca stesso revocò ai Visconti il controllo del feudo di Divignano per
donarlo al suo tesoriere Vitaliano Borromeo. Fu per iniziativa degli eredi di
quest’ultimo, il figlio Filippo e i nipoti Giovanni e Vitaliano, che nel corso
della seconda metà del Quattrocento a Divignano fu innalzato il castello di cui
resta ancora oggi testimonianza. Dopo un periodo di contrasti e divisioni
all’interno della famiglia Borromeo, alla fine del secolo la proprietà del
castello fu riunita ai possedimenti legati al titolo feudale su Divignano da
Ludovico Visconti Borromeo, esponente di un ramo della famiglia che si era
legato per via parentale ai Visconti antichi signori del luogo. Due secoli più
tardi, agli inizi del Settecento, negli anni in cui era signore di Divignano
Giulio Visconti Borromeo, il castello fu sottoposto a un vasto intervento di
ristrutturazione che ne modificò la struttura e l’aspetto generale accentuando
la funzione residenziale del complesso. La fortezza quadrata di Divignano, a
ben osservarla lungo il lato nord, quello che si è conservato nelle sue
originarie strutture del Quattrocento, determina un'impressione di solidità ed
eleganza. Le due torri angolari, vaste e fortemente scarpate, sono rese più
gentili dalle finestre ad arco acuto, incorniciate dal rosso cotto delle
formelle decorate: i profili sporgenti di cinque grandi camini scandiscono
l'alternanza delle sale, che ricevono la luce da altrettante finestre gotiche
lungo tutto il braccio settentrionale. La sommità delle torri è decorata,
proprio sotto il cammino di ronda, dal consueto motivo a dente di sega. Il
complesso oggi visibile risulta come l'insieme di due diverse fasi costruttive,
una verso nord di impianto originario e l'altra di ripristino, voluta – come detto
- da Giulio Visconti Borromeo Arese. Il secondo intervento, settecentesco, che
ha comportato l'abbattimento di tre lati della fortezza, non si è inserito nei
livelli di altezza della prima fase, ma è risultato sopraelevato di almeno 2,5
m rispetto ai piani della struttura originaria. Quando, agli inizi del
Settecento, si distrussero i tre corpi perimetrali i detriti non furono
asportati e il loro accumulo determinò l'innalzamento del livello di calpestio.
Fu invece mantenuta, pur trasformandola, la torre angolare di sud-ovest ove
appaiono ancora i segni di quattro bifore, anche se tamponate per motivi di
stabilità. Il castello fu completamente innalzato e finito nel suo impianto
quadrangolare già nel periodo gotico ed ebbe non solo funzioni residenziali, ma
anche utilizzo militare. L'unica ala rimasta dell'antico edificio insieme con
la torre di sud-ovest, è quella residenziale a nord che disponeva di due ordini
di gallerie a volta; sopra le gallerie, il piano di rappresentanza consisteva
in due ampi saloni di torre e forse di tre sale intermedie, tutti locali
caminati. L’ala orientale, che dà sull’attuale piazza Matteotti, è
caratterizzata da una singolare disposizione diagonale rispetto all’asse del
lato quattrocentesco, al quale si congiunge direttamente nel corpo di fabbrica
lasciando libera la torre di nord-est su tre lati. A sud, un edificio
ribassato, probabilmente destinato a ospitare scuderie e ambienti di servizio,
termina a occidente nella torre che costituisce un’ulteriore rimanenza
dell’impianto originario del castello. Purtroppo i bei camini settecenteschi
furono asportati e sostituiti con rifacimenti approssimativi, mentre si sono
conservati i soffitti a cassettoni delle sale e la bella volta unghiata della
sala della torre di piazza. All'interno, di pregio sono i soffitti a
cassettoni, alcuni dei quali dipinti con motivi geometrici e floreali. Da
segnalare, inoltre, le volte ad unghie achiacute che decorano alcune sale. Nel
1814 la residenza fu venduta da Giovanni Borromeo alla famiglia Ravizza, che ne
mantenne la proprietà fino agli inizi del Novecento. Da allora, nel corso
dell’ultimo secolo si sono succeduti diversi proprietari e il castello è ancora
oggi residenza privata. Altro link per approfondire: http://www.100castellinovara.it/castle?filter=ZGl2aWduYW5v
Fonti: testo di Annalisa Pilati su http://www.comune.divignano.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=24938,
http://www.castellidelducato.eu/struttura.php?id=66
Foto: di Alessandro Vecchi su https://it.wikipedia.org/wiki/Divignano#/media/File:Divignano_castello.jpg
e di Davide Tansini su http://www.tansini.it/it/immagini/divignano-novara-piemonte-castello-borromeo-torre-nord-ovest-davide-tansini-01.jpg
venerdì 21 agosto 2015
Il castello di sabato 22 agosto
SAN POLO MATESE (CB) - Castello longobardo
San Polo Matese deve la sua
origine alla posizione di controllo di una delle vie che, inerpicandosi tra i
contrafforti del Matese, permette di raggiungere il cuore del massiccio.
Posizionato su un colle dalle caratteristiche non particolarmente aspre anche
se sufficientemente scoscese per attrezzare un sistema murario, ha perso la
buona parte dell’impianto difensivo antico e quello che rimane è appena
sufficiente per farci capire il disegno complessivo del piccolo nucleo
fortificato. San Polo ha sofferto non solo delle medesime vicende
accadute a tutti i centri che non hanno avuto il privilegio di particolari
condizioni economiche o la fortuna di far parte di un organico sistema
stradale, ma anche delle sventure naturali tra le quali il disastroso terremoto
del 1805 che, secondo la cronache, fece almeno 130 vittime (A. SPINA, S.
Polo Matese, un paese molisano, Campobasso 1992.
). Si aggiunga che l’analisi della stratigrafia urbana diventa oltremodo
difficile per il quasi totale silenzio dei documenti più antichi dai quali
ricavare significative notizie per collocare storicamente la sua origine.
Mettendo da parte la fantasiosa ipotesi creata da Alfonso Perrella in occasione
di una recita letteraria su una improbabile e indimostrabile origine del paese
in conseguenza dei Vespri Siciliani del 1282 ed una successiva migrazione di
siciliani nel territorio matesino, più interessante è la concessione di Rodolfo
di Molise con la quale, nel 1080, concede al vescovo di Boiano i quattro feudi
di S. Paolo (S. Polo Matese), di S. Stefano, di S. Pietro nei pressi di
Vinchiaturo e di Tremonti presso Guardiaregia (A. PERRELLA, L’Antico Sannio, Isernia 1889, p. 466.). San Paolo, che poi per corruzione
popolare, come è accaduto in altre parti d’Italia, si è modificata in una intitolazione
ad un inesistente San Polo, già esisteva nel 1080 e la sua storia deve
inquadrarsi in una serie di avvenimenti che videro come interlocutori i conti
di Molise e l’abate Desiderio di Montecassino nel quadro più ampio
dell’espansione del potere normanno nel territorio molisano. Più interessante per capire quale fosse la funzione
militare di S. Polo in epoca sveva è il successivo documento del 1241 (G. DE BENEDITTIS (a cura di ), I Registri Gallucci
– Documenti per la storia di Boiano e del suo territorio dal 1000 al 1600,
Ercolano 1990, p. 103.) relativo alla
ricognizione dei beni della diocesi di Boiano (Codice Latino 8222). Tra gli altri
viene citata la chiesa di S. Polo: item de ecclesia castri Sancti Poli
planetam unam de purpura, et panno de zendato rubeo, pro tarenis aureis duobus.
Si tratta di una definizione che certamente deve riferirsi ad una situazione
precedente alle iniziative federiciane di potenziamento solo dei castelli
imperiali. Nell’elenco dei nuclei abitati che sono tenuti a contribuire
alla riparazione del castrum Boiani non appare il nome di S. Polo che,
evidentemente, è compreso nelle cosiddette baronie domini Thomasii de
Molisio forse per la poca importanza del suo nucleo urbano: Item
castrum Boyani reparari debet per homines ipsius terre, Montis
Viridis, Castelli Vecclis, baronie Castri Pignani, Campi bassi, Ysernie, Rocce
Madelunie, Cantalupi et baronie domini Thomasii de Molisio. Tuttavia la precedente definizione di castrum
attesta la dotazione di mura urbane ed il carattere difensivo del suo impianto
in epoca normanna, probabilmente in seguito alla sua aggregazione alla diocesi
di Boiano. S. Polo (o S. Paolo) non appare nell’elenco delle chiese
della diocesi di Boiano che pagavano le decime nella prima metà del XIV secolo
anche se nelle Rationes Decimarum sono citati gli altri paesi
contermini insieme a luoghi di cui non è facile trovare il riferimento attuale.
Fino alla metà del XV secolo il feudo di S. Polo fu dipendente della
mensa vescovile di Boiano, ma tra l’1 e il 18 maggio del 1457 (un anno dopo il
disastroso terremoto del 1456) Alfonso I d’Aragona delegava il commissario
Gregorio di Campitello a raccogliere il giuramento di fedeltà degli eredi di
Francesco Pandone i quali accettavano che a Scipione venissero assegnati la
città e le terre di Venafro, il castello di S. Pietro Infine, di Ailano, di
Mastrati, il castello diruto di Rocca S. Vito, la baronia di Prata, la città di
Boiano (… propter terremotum totaliter ruinata…), i castelli di
Guardaregia e di Rocchetta a Volturno, la capitaneria di S. Polo Matese, le
terre di Pratella, Ciorlano, Capriati, Fossaceca, Gallo e Letino (G. MORRA, Una dinastia feudale: i Pandone di
Venafro, Campobasso 1985, p.18. ).
La notizia è utile per capire che S. Polo in quell’epoca aveva la funzione di
capitaneria e che, quindi, comunque avesse un castello in cui il capitano
doveva risiedere (A.S.N. (Archivio di
Stato di Napoli) Camera della Sommaria – Petizioni e significatorie dei
relevi, vol. I cc.47 r. e v. (da G. Morra)).
La funzione di capitaneria risulta confermata nel 1492 quando, con privilegio
di Ferrante I d’Aragona, Carlo Pandone, erede di Scipione, si vede confermati i
titoli e le concessioni attribuite a suo padre e nel castello di S. Polo il
capitano risulta abilitato ad esercitare il mero e misto imperio (C. CAETANI, Regesta chartarum, VI, doc. 2988,
Sancasciano Val di Pesa 1928, p. 163 (da G. Morra)) che era un jus che si riferiva non solo
alle vertenze civili ed amministrative, ma anche alle cause penali. Il titolare
di tale diritto applicava, a seconda del reato, pene variabili che potevano
prevedere anche l’amputazione di arti, fino alla condanna a morte. Nel 1531 la
terra di S. Polo è citata in un rilievo dei beni appartenuti a Enrico Pandone
prima della confisca seguita alla sua decapitazione per alto tradimento quando
lasciò Carlo V per schierarsi con i Francesi. E’ interessante notare che in
quell’anno S. Polo avesse una popolazione di 70 fuochi ed una rendita di 118
ducati, 50 dei quali Enrico era tenuto a versarli per censo al vescovo di
Boiano e 60 a sua madre che vantava
crediti per le garanzie prestate per l’assegno dotale (G. MORRA, Una dinastia ecc, op. cit. , p.85.). Dalla
documentazione sopravvissuta sappiamo che i Pandone possedevano nel territorio
di S. Polo quattro molini ed una scuderia di 50 cavalli. Dopo la confisca i
beni furono venduti dalla Regia Corte, S. Polo fu acquistato da Camillo Gaetani
e tenuto dal 1531 al 1532. Il feudo sicuramente subì la stessa sorte di altri
feudi dei Pandone passando nelle mani di Francesca Mombel, vedova del vicerè di
Napoli Carlo Lannoy, che lo aveva acquistato, e successivamente al figlio
Filippo nel 1552 e al nipote Carlo nel 1553 e infine al di lui fratello Orazio
nel 1568. Masciotta, riprendendo da Lorenzo Giustiniani (L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato
del Regno di Napoli, Vol. VIII. Napoli 1797, p. 216), attribuisce
successivamente il feudo di S. Polo ai Mormile e poi ai Filomarino, succeduti
ai di Costanzo che erano stati signori di Boiano. In altri termini S. Polo,
proprio per il suo carattere di assoggettamento alla cattedrale, ha subito le
stesse sorti feudali di Boiano con l’obbligo dei suoi feudatari di
corrispondere annualmente alla mensa vescovile una sorta di risarcimento
disposto da Alfonso d’Aragona a far data dall’usurpazione fatta da Francesco
Pandone. In tal modo il pagamento di un canone garantiva al vescovo la
conservazione dei diritti dominicali e del titolo baronale. Masciotta riferisce
che dai documenti del 1738 risulta che il Principe di Colledanchise, feudatario
di Boiano, pagava al vescovo il canone annuo di 50 ducati (G.B. MASCIOTTA, Il Molise ecc., op. cit,
vol. III, p. 482-483). Oggi del castello di San Polo rimangono pochi
ruderi ormai inglobati negli edifici che nel tempo si sono impiantati sulle
strutture murarie sopravvissute. Non è facile capire da quel poco che rimane
quale fosse il suo sviluppo planimetrico. Sul lato nord orientale del paese
rimane una torre circolare nella cui base, mediante una breccia di epoca
relativamente recente, è stato ricavato un passaggio. Sembra però che non si
tratti di una torre del castello vero e proprio quanto piuttosto uno degli
elementi di raccordo della cinta muraria urbana realizzata in quella parte del
paese che era più vulnerabile. Ad essa dovevano attaccarsi, da un lato e
dall’altro, due tratti di muro che costituivano parte della difesa che
probabilmente conteneva una delle due porte. Quella che in genere viene
definita come porta da capo, presumibilmente posta nelle adiacenze della chiesa
di S. Nicola che, per essere dedicata al patrono della comunità, certamente è
la chiesa più antica del nucleo. Una seconda torre, invece, per essere stata
trasformata in campanile della contigua chiesa di S. Pietro in Vincoli,
probabilmente era parte del castello. Ciò che rimane di una base di torre
circolare, sul lato sud occidentale, può in qualche modo farci ritenere che una
delle facce del quadrilatero del castello corrispondesse in linea di massima
all’allineamento dell’attuale facciata della chiesa di S. Pietro in Vincoli
che, ovviamente, nel XIV secolo ancora non esisteva. Non solo le fonti, ma
anche le sopravvivenze murarie sono avare di informazioni, sicché non rimane
che limitarci a congetture per capire cosa sia accaduto al castello di S. Polo.
Fino all’epoca di Enrico Pandone e dei suoi immediati successori, ovvero fino
alla metà del XVI secolo una struttura di una certa consistenza doveva ancora
sopravvivere se è vero che era sede di una capitaneria in cui si esercitava il
mero e misto imperio, ovvero vi si amministrava la giustizia del suo
territorio. All’epoca dei Pandone (fine XV e inizio XVI secolo) non sembra
siano state effettuate trasformazioni particolari. I conti venafrani avevano
trovato una struttura quadrangolare munita di almeno tre torri circolari la cui
epoca di costruzione certamente non è anteriore al XIV secolo. Dunque
l’impianto originario, o comunque la struttura dell’XI secolo, era sicuramente
molto più semplice. Poco più di un quadrilatero privo di torri negli angoli. Non
conosciamo l’epoca di fondazione della chiesa che oggi è attaccata ad una delle
due torri sopravvissute, ma è lecito supporre che sia di epoca successiva al
terremoto del 1456, e, presumibilmente, dopo il dominio dei Pandone che, come
sappiamo, terminò nel 1528 con la condanna a morte di Enrico.
Fonti: http://www.francovalente.it/?p=193
- da Franco
Valente, “Castelli, rocche e cinte
fortificate del Molise” (Volume
in preparazione)
Foto: da http://www.fotoeweb.it/molise/SanPoloMatese/Torre_civica%20di%20SanPoloMatese.jpg
e http://www.fotoeweb.it/molise/SanPoloMatese/Chiesa%20di%20SanPoloMatese.jpg
Il castello di venerdì 21 agosto
VIGEVANO (PV) – Castello Sforza
Fonti: http://www.comune.vigevano.pv.it/turismo/cosa-visitare/il-castello, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Sforzesco_%28Vigevano%29 (da consultare per ulteriori approfondimenti…)
Foto: la prima da http://www.lombardiainrete.it/13/province/PV/vigevano/, la seconda è di Stefano Gusmeroli su http://www.milanofoto.it/services/aerial/
mercoledì 19 agosto 2015
Il castello di giovedì 20 agosto
PISTICCI (MT) – Castello normanno
Intorno all'anno 1000 i Normanni costituirono il feudo di
Pisticci, posseduto in successione dai Sanseverino, dagli Spinelli, dagli
Acquara e dai De Cardenas. Sempre nello stesso periodo, i Benedettini fondarono
il cenobio di Santa Maria del Casale, poco distante dall'abitato, sui resti di
un antico insediamento basiliano. Ubicato in posizione dominante nell’antico
rione Terravecchia, il castello feudale di Pisticci fu edificato in epoca
normanna, intorno al 1086, per ospitare la sede locale del Giustizierato, la
sala udienza, il carcere, gli alloggi per i militari e per i nobili di
passaggio. Si ha notizia, nell’XI secolo, della sua cessione da Roberto, conte
normanno di Montescaglioso, ad Arnaldo, Vescovo di Tricarico. Oggi dell’antico
maniero rimangono solo alcuni ambienti: la corte interna, le scuderie, qualche
vano, ripostigli ed una torre quadrata di avvistamento. Nel 1931, per
consentire la costruzione del serbatoio dell’acquedotto dell’Agri, furono
demolite alcune parti essenziali, fra cui atrio e portone. Fu intorno al
castello che si è gradualmente sviluppato il rione Terravecchia. Dopo la
dominazione normanna fu sede della corte baronale della famiglia Sanseverino a
partire dal 1097 che la mantenne per oltre cinque secoli, fino al 1553, anno in
cui la Real Casa mise sotto sequestro la Terra di Pisticci per poi trasferirla
alla famiglia Spinelli. Al castello si accedeva da un grande portale d’ingresso
che immetteva in un atrio coperto e un’altra grande porta si apriva in un
secondo atrio scoperto, da cui si poteva accedere nelle stanze, sul terrazzo ed
alla torre, sotto la quale fu realizzata una grande cisterna per la raccolta
dell’acqua piovana. Scendendo verso le cantine, vi era un pendio adibito a
giardino, frutteto e a piccola vigna. L’edificio passò quindi a Francesco ed
Egidio Cardenas, conti di Acerra. In seguito all’abolizione dei feudi il
castello ed i suoi beni vennero incamerati dalla Real Casa di amministrazione e
quindi venduti all’asta. L’attuale proprietario è la famiglia Plati
Fonti: http://www.mondimedievali.net/Castelli/Basilicata/matera/provincia000.htm#pistickas,
testo del Prof. Giuseppe Coniglio nella pubblicazione “I castelli di
Basilicata” ideato e prodotto da Publiteam Edizioni (fine stampa 18 giugno
2014)
Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la
seconda è presa da http://castelli.qviaggi.it/images/stories/jreviews/328_castellopisticci_1198607384.jpg
martedì 18 agosto 2015
Il castello di mercoledì 19 agosto
DUE CARRARE (PD) – Castello di San Pelagio (o Villa Zaborra)
- esterna, con i velivoli ed i sistemi bellici esposti come gate guardian all'esterno e nel giardino interno della villa
- interna, con 38 tra sale e salette espositive dedicate all'evoluzione del volo umano dalla mongolfiera allo Space Shuttle.
Il 17 maggio 2013 uno dei pezzi
più prestigiosi della collezione, il Grumman HU-16° Albatross 15-14 (MM51-7253
già MSN G344, idrovolante da soccorso aereo) è stato demolito, dopo essere
stato trasferito all'associazione Fly Albatross di Ravenna nata con lo scopo di
preservarlo. Due sono i labirinti nei giardini del Castello di San Pelagio. Il
primo è il labirinto del Minotauro che racchiude in sé sia la tradizione della
villa veneta, che vuole nei suoi giardini appunto un labirinto di siepi, sia il
tema del volo rappresentato dal mito di Icaro che, rinchiuso nel labirinto di
Cnosso, costruito da suo padre Dedalo, tenta la fuga con ali posticce di piume
e cera. Icaro cade nell’Egeo, ma rimane ad oggi il simbolo dell’uomo che sogna
di alzarsi in volo. Questo labirinto ha un’estensione di 1.200 mq ed è composto
da più di 1.000 piante di Leylandi alte quasi 3 metri. Attenzione a perdervi
all’interno, ma più ancora quando riuscirete a guadagnare il centro: troverete
infatti ad attendervi un gigantesco minotauro alquanto affamato! Il secondo è
il labirinto del "Forse che sì forse che no", più piccolo e più
giovane, ed è dedicato al D’Annunzio. Questo labirinto è univiario, composto
quindi di un unico percorso che conduce ad un centro disseminato di specchi,
per richiamare il concetto di “doppio” dannunziano. Per i bambini, invece,
questo secondo labirinto conduce alla fata del sambuco, un albero dalle
proprietà magiche piantato proprio al centro del labirinto. Alcuni anni fa un
gruppo di ricercatori del paranormale ha ispezionato il castello ed effettuato
rilevazioni. Quattro foto, in particolare, sembrano aver captato e riprodotto
qualcosa. In due
di esse, in particolare, realizzate nel giardino di rappresentanza del castello
si scorgerebbe una figura maschile, abbastanza anziana: in un caso si
potrebbe parlare di un cavaliere con folta capigliatura e baffi, nell’altro
caso il volto sarebbe identico ad un ritratto presente all’interno del
castello. In altre due immagini, invece, sarebbe impressa la fisionomia di un
bambino: in un caso la figura, accanto alla panchina in un viale, non appare
limpida. Nell’altra, invece, sarebbe abbastanza evidente il mezzo busto del
bimbo (lo stesso?) completo persino di grembiule, come quelli usati un
tempo nelle scuole. Oltre a queste immagini più chiare, se ne aggiungono altre
più amorfe e si aggiunge anche un’ampia gamma di rumori registrati: come
vocalizzi, respiri e spostamenti di oggetti. Per approfondire Vi invito a visitare il sito ufficiale del castello
(www.castellodisanpelagio.it)
e quello ufficiale del museo (www.museodellaria.it)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_dell'aria_e_dello_spazio, http://www.abano.it/Territorio/castello-pelagio.aspx, http://www.comune.duecarrare.pd.it/it/Informazioni/Storia/Itinerario.html, scheda del Dr Andrea Orlando su http://www.icastelli.it/castle-1317305712-castello_di_san_pelagio-it.php, http://www.padovaoggi.it/cronaca/fantasmi-castello-san-pelagio-ricerche-orizzonti-paranormali-2012.html
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_dell'aria_e_dello_spazio, http://www.abano.it/Territorio/castello-pelagio.aspx, http://www.comune.duecarrare.pd.it/it/Informazioni/Storia/Itinerario.html, scheda del Dr Andrea Orlando su http://www.icastelli.it/castle-1317305712-castello_di_san_pelagio-it.php, http://www.padovaoggi.it/cronaca/fantasmi-castello-san-pelagio-ricerche-orizzonti-paranormali-2012.html
Foto: da http://images.corrieredelveneto.corriereobjects.it/fotogallery/2013/08/castelli/img_castelli/SAN_PELAGIO_Veduta_672-458_resize.jpg
e da http://irvv.regione.veneto.it/xw/lod/front/file/70852.jpg
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