mercoledì 6 maggio 2015

Il castello di mercoledì 6 maggio






VASTOGIRARDI (IS) - Castello

Di probabile origine tardo-longobarda,entrò a far parte del Regno di Sicilia, poi del Regno di Napoli e infine del Regno delle Due Sicilie. Nel 1260 il feudo di Vastogirardi apparteneva a Raimondo di Maleto per essere assegnato nel 1279 a Restaino Cantelmo, il cui figlio lo alienò, con diritto di recessione, a Corrado Acquaviva (1310), che lo detenne per un ventennio. Nel 1384, tornato al Demanio della Corona, fu concesso in feudo dalla regina Margherita di Durazzo ad Andrea Carafa, signore di Forlì del Sannio, la cui famiglia lo detenne sino al 1404, quando passò ai Castelmauro e da questi ai Mormile. Nel 1442 Vastogirardi era feudo dei Caldora, che ne vennero privati nello stesso anno, mentre durante la reggenza aragonese, appartenne ai d'Aquino per passare ai d'Avalos, casa marchesale di Pescara, e di seguito a Faleio d'Afflitto, conte di Trivento. Dal d'Afflitto il feudo venne alienato a Giovan Leonardo Petra, nel 1540, regio assenso del 30/06/1570, alla cui discendenza si deve la ristrutturazione del castello in palazzo baronale, come attestato da una lapide che sovrasta il portale d'accesso; la chiesa di S.Nicola, all'interno del castrum, fu ristrutturata dal figlio di Giovan Leonardo Petra, Prospero, che ne commissionò gli affreschi. Egli fu sepolto nella chiesa dove è tuttora presente la sua lapide obituaria con il suo stemma, partito con quello della moglie, Giulia d'Evoli di Trivento. Carlo I Petra venne investito del titolo di duca di Vastogirardi con regio diploma il 20 agosto 1689. Il castello, senza il titolo ducale, fu in seguito venduto da Nicola Petra, secondo duca di Vastogirardi e primo marchese di Caccavone. Nella seconda metà del diciottesimo secolo il feudo, quindi, venne acquistato dalla famiglia d'Alessandro del ducato di Pescolanciano, che lo detenne sino all'eversione della feudalità. La tipologia del castello di Vastogirardi fa pensare ai castelli-recinto dell’area abruzzese-molisana il cui esempio più vicino, non solo geograficamente, è quello di Pesche, dove è assente come in quello di Vastogirardi, a differenza degli altri esemplari del medesimo tipo, il puntone. In tutti e due questi casi il castello-recinto è posto poco distante dall’abitato in modo da essere facilmente raggiungibile dalla popolazione. La similitudine si ferma qui perché mentre a Pesche e nelle altre località il castello- recinto, ormai spesso allo stato di rudere, ha carattere esclusivamente militare, a Vastogirardi esso è un vero e proprio nucleo abitato. Questo castello doveva apparire come un’autentica cittadella nella quale hanno sede le funzioni di governo, sia civile (il palazzo del feudatario), sia religioso (la parrocchia), rappresentando così il centro dell’agglomerato urbano. La Chiesa di San Nicola, che sorge nel punto più alto del castello, simmetrica rispetto alle due porte di accesso, sottolinea visivamente il ruolo preminente della presenza ecclesiastica, che affianca nella gestione del potere, come nella disposizione urbanistica, la dimora feudale. Quest’ultima si deve essere venuta a sovrapporre in un secondo momento all’aggregato preesistente, adattando a residenza probabilmente il corpo di guardia che doveva essere presente a difesa della porta, e altre costruzioni. Come la Chiesa anche il palazzo del signore rinunzia a porsi come un’eccezione nell’impianto castellano del quale rispetta l’altezza degli edifici e l’assenza di partiti architettonici nella facciata, conservando così la pregevole armonia dell’insieme; piuttosto il feudatario installandosi all’ingresso, tenta di accreditare l’idea che l’intero complesso formi un unico immobile, cioè formi un solo palazzo. Il castello non si riduce però solo all’edificio di culto e alla residenza baronale, ma comprende anche diverse abitazioni; qui sembrano addensarsi numerose funzioni urbane come la Chiesa (che assolve anche al compito di luogo di sepoltura), la fortificazione, la porta, la piazza. Si può parlare quasi di una anticipazione della lecorbusiana “dimensione conforme”, cioè di una tipologia urbanistica ottimale, capace di assicurare la presenza delle attrezzature indispensabili per la comunità insediata. Una dimensione dell’organismo edilizio che è in rapporto con le attività e le funzioni in esso collocate e non ha relazione con la grandezza del resto dell’agglomerato urbano. Il castello quindi come oggetto definito, brano urbanistico conchiuso in contrapposizione all’abitato sottostante che invece muta la propria forma nelle varie epoche storiche per i successivi accrescimenti. Esso è in sintesi una parte urbana compiuta che non interagisce con il resto. Queste peculiarità del Castello di Vastogirardi, di borgo all'interno di un borgo più grande, una specie di paese doppio, ne fanno un caso abbastanza singolare nel panorama locale in cui si è abituati ad associare al castello l’immagine di un edificio, sia esso rocca, sia torrione, ecc. La costruzione delle mura è il primo atto della fondazione di un centro urbano, e proprio l’etimologia della parola castello adoperata per indicare il borgo fortificato di Vastogirardi, che risale a castrum, rimandava al ruolo che ha avuto la murazione nella nascita del complesso abitativo. Dunque qui castello va inteso non nel significato di un unico manufatto, maniero o rocca che sia come è nell’uso corrente, ma nel senso di recinto che racchiude un nucleo edilizio. Ciò denuncia l’importanza che riveste la cinta muraria nella storia di questo agglomerato, rappresentando per esso un monumento (con un termine utilizzato da Aldo Rossi nel suo saggio “L’architettura della città”), cioè un elemento quasi primordiale che costituisce l’essenza stessa dell’insediamento, capace di condizionare le evoluzioni dell’intero impianto urbanistico, al cui interno poi la porta è un monumento anch’essa. La trasmissione fino ai giorni nostri del perimetro murario conferma il ruolo di monumento nell’accezione che si è detta, della fortificazione. In effetti un grosso contributo alla permanenza delle mura è stato l’obbligo di provvedere alla loro costruzione e riparazione che rappresentava un gravoso onere economico per 1a popolazione alla quale, del resto, toccava (non a milizie professionali) garantire la difesa. Si conserva ancora l’orizzontalità della cinta, necessaria per consentire in passato rapidi spostamenti dei difensori da un punto all’altro di essa, a seconda di dove gli eventuali assalitori stanno per preparare l’attacco. L’altezza costante è il frutto di un pregevole adattamento al sito, per cui la cortina è più alta dal lato verso il basso (il fronte a nord) e più bassa dal lato verso l’alto (il fronte a sud). Originariamente la murazione, alla quale in seguito si sono addossate le abitazioni, doveva essere servita da un coronamento in legno per i movimenti delle truppe con scale per accedervi, anch’esse in legno. L’andamento orizzontale è spezzato visivamente dalle torri che danno un senso di verticalità alle mura. Queste torri, o perlomeno qualcuna, che oggi sono allineate alla quota della cortina muraria, in precedenza, forse, erano più alte per poter consentire l’avvistamento a distanza. Di torri oggi ve ne sono tre, delle quali una rompitratta e due angolari, cioè il Torrione di Casa De Dominicis e quella a presidio della Porta la cui base poligonale, e non rotonda come le altre, fa ritenere che sia successiva, nella forma attuale, al XVI secolo (la datazione più probabile è quella che la fa risalire alla fine del Seicento, quando avvenne l’intervento di trasformazione dell’organismo castellano). Si può immaginare l’esistenza, sempre sullo stesso fronte, di un ulteriore torre rompitratta sia per la presenza di una cuspide nella murazione che impedisce la continuità visiva, sia per l’eccessiva lunghezza del tratto di cortina che rimarrebbe sguarnita. Mancano invece torri nel lato del castello che dà verso il paese perché qui l’esigenza di una fortificazione, che pure doveva esserci, come attesta l’esiguità nella parete della Chiesa (vi è solo una finestra che, però, è sicuramente coeva alla ristrutturazione barocca dell’edificio di culto), è meno forte. Per poter colpire lateralmente gli assalitori, le torri sono munite di aperture nei diversi ordini di piano; vi sono luci anche nella parte inferiore che risulta vuota e non piena come ci sarebbe stato da attendere per strutture tanto antiche. É possibile la presenza di bucature nella muratura, finanche di finestre, pure nel passato, ma certo non nel numero di quelle odierne, perché esse per lo spessore rilevante della muratura sono facilmente attrezzabili a feritoie. Le feritoie vere e proprie sono numerose all’interno del castello dove dovevano servire a difendere l’ingresso. Le mura per il loro delimitare l’interno dall’esterno dell’abitato, definendo un dentro e un fuori, sono di grande importanza ambientale. Il castello come porta d’accesso al borgo. In questo modo si assicurava la difesa dai banditi e il controllo dei vagabondi che avessero cercato di penetrare nell’agglomerato urbano. Di porte per entrare nel castello ve ne sono due: la seconda, rivolta com’è verso il paese, risulta priva di apparati difensivi, dovendo servire semmai a proteggersi dalla popolazione del posto. Anche qui come nell’altra sono visibili i cardini in pietra del portone di chiusura; mentre questo ingresso, però è solo pedonale, la porta principale è carrabile. Le porte sono sui due opposti crinali del colle sul quale è situato il castello, nei punti più bassi, e ciò consente il deflusso delle acque piovane e lo smaltimento della neve che si accumula all’interno della piazza nei lunghi inverni di questa zona di montagna. Sulla porta che guarda verso il territorio rurale sono collocati gli stemmi nobiliari e un’iscrizione celebrativa della famiglia Petra, titolare del feudo, che nel XVII secolo operò la trasformazione del complesso edilizio: questi elementi decorativi esaltano il valore simbolico della porta che è il punto di transizione dal naturale all’urbano. Questo carattere sembra confermato dall’assenza nelle sue prossimità di qualsiasi accenno di espansione extra-moenia. La parte rivolta in direzione del Tratturo, la principale via di comunicazione del passato, costituisce un marcato segno territoriale visibile da chi si trovava a transitare lungo questo percorso di collegamento di livello interregionale. (Tratto da: Almanacco del Molise. Il Borgo fortificato di Vastogirardi. Francesco Manfredi Selvaggi. Edizioni Enne, Campobasso 1991.). Altri link consigliati: http://www.turismolise.it/item/il-castello-di-vastogirardi-molise/, http://iserniaprovincia.altervista.org/Percorsi/Castelli/vastogirardi.php
Fonti: http://www.comune.vastogirardi.is.it/CASTELLO.php, http://it.wikipedia.org/wiki/Vastogirardi

Foto: di Franco Valente, da "Luoghi antichi della provincia di Isernia, Bari 2003" su http://www.francovalente.it/2007/09/14/vastogirardi/ e da http://iserniaprovincia.altervista.org/Comuni/Vastogirardi/Foto/vastogirardiborgo3.jpg

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