giovedì 30 aprile 2015

Il castello di giovedì 30 aprile






INVERIGO (CO) - Castello Crivelli

Per cogliere l’importanza del Castello di Inverigo è utile ripercorrere la sua storia millenaria, correlata a quella dei suoi nobili “inquilini”: si scoprirà così che Inverigo con il suo Castello ebbe un ruolo di primo piano nell’ancora vaga storia dell’Alto Milanese. La fondazione del complesso risale probabilmente al X secolo, tempo nel quale ci fu l’autorizzazione a fortificare gli abitati per difendersi dalle ricorrenti scorrerie degli Ungari, periodo nel quale certamente il sito esisteva. Ma il luogo possiede pure un’importanza strategica data dalla sua posizione elevata dalla quale si domina la sottostante pianura Brianzola e dell’alto milanese (nel 1818 Stendhal nel suo ‘Viaggio’ scrisse estasiato ‘dal panorama della pianura lombarda simile ad un vasto mare’); infatti, da tale posto si può controllare un ampio tratto della Valle del Lambro con i sottostanti suoi sentieri, guadi e traffici rivolti all’ultra Lambrum. La prima menzione del castrum potrebbe rinvenirsi in una donazione che l’arcivescovo Ariberto d’Intimiano fece nel 1026 o 27 al Capitolo della chiesa di San Dionigi di Milano; fra i luoghi viene citato un castro ed una località detta «Invenigo ». Il castro ricompare tre secoli dopo, in una transazione del 20 febbraio 1348 con la quale l’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti (1342-1354) permutava le proprietà di Groppello d’Adda e dintorni delle monache del Monastero di Lambrugo con quelle del “mediolanensis Brumaxii de Manziago” siti ad Inverigo, tra cui un edificio in rovina con corte nel castro d’Inverigo. Era il 26 ottobre 1411, quando il nobile Anrigoto de Gluxiano acquistò il Castrum, ancora ridotto a rudere (questa condizione comune a molti altri edifici, come testimoniano documenti coevi, rileva un’instabilità sociale e una crisi sociale di lungo corso), da Antoniolo de Schotis, entrambi notai ed abitanti d’Inverigo. È un documento importante poiché vi è la descrizione dell’immobile con la sua torre, il magazzino, le case in stato cadente, il pozzo, il torchio, il forno, il colombaio ed il fossato castellano. La descrizione corrisponde sostanzialmente alla struttura attuale, nonostante le trasformazioni d’uso successive. Da una pergamena del 1277 si evince che membri della famiglia Scotti erano già presenti fra i notabili d’Inverigo. I Giussani o de Gluxiano, i nuovi proprietari, facevano parte della più antica nobiltà milanese, i cui diversi rami furono i dominus di vari loci, da Giussano a Lurago d’Erba, passando da Inverigo e Arosio; è nota la loro partecipazione alle attività del Monastero Maggiore di Milano. Da documenti dell’XII e XIII secolo si rileva quanto i de Gluxiano siano stati numerosi e potenti nell’antica pieve di Mariano. Vari esponenti di questo clan ricoprirono cariche civili nel Comune di Milano; si ricordano, ad esempio la tesoreria del Comune di Piacenza ma sopratutto la gestione generazionale dell’amministrazione della neonata Fabbrica del Duomo. In entrambi casi con l’adozione del «Liber tabulae rationum» si anticipava, a metà del 1300, l’uso della cosi detta “Partita doppia”. I Giussani “inverighesi” ebbero una progressiva espansione economica con continue acquisizioni di immobili e terreni, sia ad Inverigo che nei paesi circostanti. Le carte del XV secolo riferiscono che già a quell’epoca il Castello d’Inverigo era il centro amministrativo di una miriade di cascine (quasi tutte quelle presenti oggi ad Inverigo risalgono almeno al XIV secolo), di proprietà dei de Gluxiano. A fine ‘400 essi misero mano al complesso e vi crearono una piccola corte dove conducevano uno stile di vita sfarzoso. Ne sono la riprova la scoperta di documenti per l’acquisto di seta e il ritrovamento di pregevoli affreschi coevi, durante recenti lavori di restauro all’interno della Villa. In seguito fu ancora la famiglia Crivelli a creare la sistemazione che ancora oggi si vede. I beni dei Giussani inverighesi, fra cui il castello, confluirono nella famiglia Crivelli nel 1580 quando Tiberio Giussani nominò suo erede il nipote Flaminio Crivelli, figlio di Giovan Battista Crivelli e di sua figlia Aurelia Giussani. I Crivelli già a quei tempi erano ricchi possidenti terrieri in molte parti del Ducato di Milano. In particolare i Crivelli d’Inverigo appartenevano al ramo detto “linea dei Marchesi d’Agliate”. Infatti, nel 1654 il re di Spagna Filippo IV, per riconoscimento dei suoi meriti militari e amministrativi, nominò Flaminio Crivelli marchese d’Agliate (da cui appunto prese nome questa linea di casato) e delle terre della pieve omonima; il titolo era trasmissibile ai discendenti. I Crivelli ebbero l’opportunità di affermarsi politicamente con l’acquisto di feudi, e quindi di incrementare ulteriormente il loro potere economico nel Ducato di Milano. Tra il 1647 ed il 1689 i Crivelli (prima Tiberio, poi i fratelli Flaminio, questore del Ducato di Milano, ed Enea, ambasciatore presso i Grigioni) acquistarono i diritti di governo feudale su un vasto territorio comprendente quasi tutta la Brianza (Canzo, Caslino, Castelmarte, Longone, Incino, Inverigo, Carugo, Paina, Varedo, Masciago, Galliano, Rovellasca, Agliate, Besana e altri per un totale di 52 località) e la Lomellina. Nel frattempo essi trasferirono nel Castello d’Inverigo la residenza regolamentare del governo feudale. Nel Seicento, i Crivelli adattarono gli edifici adiacenti a nord del Castrum in “casa da nobile” cioè in villa signorile. Nel Settecento completarono il loro sistema di potere con il trasferimento della Pretura ad Inverigo nella sede del ‘castro pretorio’ (edificio dalle forme tardo-gotico che in passato era stato una residenza signorile), quindi con la trasformazione del castrum in carcere e in abitazione delle guardie. La giurisdizione feudale su Inverigo fu acquistata dal questore Flaminio nel 1683. Tra l’altro il diritto feudale prevedeva che l’amministrazione della giustizia per i reati civili e penali (criminali, si diceva allora) non gravi fosse esercitata dal pretore, nominato direttamente dal feudatario. Ed infatti ancor oggi nella Villa o nelle adiacenze vi sono il ‘castro pretorio’, cioè il tribunale, e la torre delle carceri. Tutte le celle hanno uno stretto pertugio di luce rivolto verso il campanile, affinché ci fosse ispirazione di pentimento e catarsi. Le carceri con la garitta ottagonale di guardia sono collegate al ‘castro pretorio’ da un ponticello che attraversa la pubblica via. Nel Seicento e nel Settecento Inverigo si configurò come una delle più rilevanti sedi di potere dell’intera Brianza, tanto da far dire all’abate Annoni che ‘Inverigo fu chiamato la capitale della Brianza’. I Crivelli avevano una loro piccola corte con amministratori, servi, lacchè, ecc. e delegavano l’amministrazione dei loro possessi a sub agenti che esercitavano la conduzione agricola sui coloni e le loro famiglie praticando il comando con il rigore dei tempi. La giurisdizione dei Crivelli cessò nel 1797 con l’abolizione dei privilegi feudali ad opera del governo napoleonico. I lavori di ristrutturazione effettuati a cavallo fra Settecento e Ottocento chiusero a quadrilatero la Villa, aggiungendo il loggiato neoclassico. Il progetto si ritiene affidato all’architetto Leopold Pollack (1751-1806), tra l’altro progettista di Villa Reale a Milano. Questo intervento (1805) sancì la definitiva trasformazione del complesso da sede feudale a villa di delizia. Nella circostanza furono anche creati due giardini pensili affacciati sul Viale dei Cipressi e posti simmetricamente ai lati dello stesso, per fare posto ai quali furono demoliti edifici della vecchia Inverigo. Interessante fu l’utilizzo dell’abside (ancora visibile) dell’antica chiesa romanica di S. Silvestro come parete di sostegno di uno dei terrapieni. Dopo la caduta di Napoleone, i Crivelli aderirono gradualmente alle istanze risorgimentali e poi nazionali, con l’Unità d’Italia. Essi spostarono la loro dimora abituale a Milano, in Via Pontaccio. La Villa, quindi, venne in qualche modo declassata a centro amministrativo delle pertinenti tenute agricole ed a Villa di campagna, una delle molte dei Crivelli. Dopo la seconda guerra mondiale Inverigo e la Brianza assistettero al collasso della propria millenaria civiltà contadina, come conseguenza delle grandi trasformazioni sociali. Fu l’inizio del rapido declino della Villa, del sistema delle cascine che ruotavano intorno ad essa e della Casata dei Crivelli. Alla morte dell’ultimo marchese, Uberto Crivelli, avvenuta alla fine anni ’50 del secolo scorso, gli eredi vendettero le proprietà di Inverigo, senza peraltro offrire la possibilità di prelazione agli affittuari delle corti circostanti la Villa, il che innesca una contesa giudiziaria. Gli eredi dell’ultimo marchese cedettero la proprietà a un’immobiliare e a privati. I loro beni immediatamente vendibili finirono all’incanto, i cospicui beni immobiliari, come la Villa d’Inverigo, conobbero un degrado inarrestabile ed i loro archivi con la loro testimonianza storica andarono al macero. La parte più antica del complesso è il Castrum, la cui fondazione risale almeno al X secolo e fu rimaneggiato nel ‘400. Salendo lungo il viale d’ingresso, in Via Privata Crivelli, lo si incontra sulla destra, a partire dalla tozza torre d’angolo che costituiva la sede del carcere. Altri riferimenti che delimitano il Castrum sono la torre di guardia e, sul lato opposto, la garitta di guardia al ponte; poi il grande edificio che conserva tracce di finiture signorili e che potrebbe essere l’originaria sede nobiliare. Un ponticello in mattoni collega il Castrum al ‘castro pretorio’, edificio già esistente a metà Quattrocento con bella monofora in puro stile gotico/lombardo ed un primo esempio di camino a canna fumaria. Nel Castrum si entra nel portone ligneo situato tra la torre del carcere e la torre di guardia. All’interno vi sono magazzini, abitazioni, stalle, un portico sorretto da colonne di mattoni circolari, il pozzo ed il basamento del torchio medievale. Il cortile ha una bella rizzàda, pavimentazione in acciottolato. È un microcosmo feudale, sicuramente rimaneggiato nei secoli ma ancora completo delle strutture di residenza, di servizio e di governo: la torre di guardia, i magazzini, la torre del carcere, l’infermeria, le abitazioni delle guardie, la garitta e il ponte che porta al Pretorio, il pozzo, il torchio, il palazzo signorile. Un insieme sistematico di eccezionale valore culturale nel territorio lombardo. La sua importanza e rarità però è stata finora misconosciuta. Questo luogo ospitò spesso funzioni pubbliche come il già ricordato magistrato feudale nel XVIII secolo (con annesso carcere) e come distaccamento dell’Esercito che faceva presidio militare (avvistamento aereo e funzioni antincendio) della zona fino al settembre 1943. Altre informazioni qui: http://www.viagginellastoria.it/articoli/inverigocastello.htm, articolo di S.Cat. r.foglia su http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Cronaca/inverigonbspcastello-crivellitorna-al-vecchio-splendore_2427_11/
Fonti: http://www.lecontrade.it/a4_pgt_3.html
Foto: da http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/CO180-00204/ e su http://www.quelvialepercorso.it/percorso/villa-crivelli/

mercoledì 29 aprile 2015

Il castello di mercoledì 29 aprile






GENOVA - Castello di Nervi

Nervi è un quartiere residenziale di 10.903 abitanti (dato al 31 dicembre 2010) del comune di Genova, compreso nel Municipio IX Levante e già facente parte dell'ex circoscrizione XXV "Nervi-Quinto-Sant'Ilario" assieme all'unità urbanistica di Quinto al Mare. Situato all'estrema periferia orientale del capoluogo genovese, dispone di un piccolo porto turistico, di una lunga scogliera sulla quale è stata costruita la lunga passeggiata intitolata ad Anita Garibaldi. Il castello è stato costruito a protezione dell'approdo, attuale porticciolo alla foce del torrente Nervi, dove inizia la suddetta passeggiata a mare. Risale al XVI secolo e fu fortificazione a difesa contro i pirati turchi che rappresentavano un pericolo gravissimo per la popolazione. Era una delle tante torri di avvistamento a difesa dell’incolumità pubblica. Qui venivano esposte le teste dei traditori della Repubblica. Recentemente restaurato, ospita mostre, giornate culturali ed è sede dell’Associazione Combattenti e Reduci e dell’ANPI. Per approfondire, Vi segnalo questo link: http://www.nervi.ge.it/la-storia.html

Fonti: http://www.weagoo.com/it/card/25525/castello-di-nervi, http://it.wikipedia.org/wiki/Nervi_(quartiere_di_Genova)

Foto: da http://www.passeggiatanervi.it/foto/grandi/castellodinervi.jpg e su http://www.visitgenoa.it/sites/default/files/imagecache/Slideshow_big/gallery/Nervi%201%20@genovacittadigitale_0.jpg

martedì 28 aprile 2015

Il castello di martedì 28 aprile





LISCIANO NICCONE (PG) - Castello

Di origine medievale, Lisciano appartenne a Perugia per lungo tempo, sin dal 1202, come possedimento dei marchesi del Monte. Dopo un breve periodo in cui appartenne alla famiglia Casali di Cortona, nel 1479 tornò sotto lo Stato Pontificio e vi restò sino al 1861, quando fu unito al Regno d'Italia. Sul suo territorio comunale si trovano i ruderi di un castello dell'XI secolo e una chiesa edificata nello stesso periodo e dedicata a San Tommaso Apostolo. Costruito sulla cima della collina che sovrasta il paese da Est, il castello appartennne anche ai Marchesi di Sorbello. Di esso rimangono oggi solo pochi ruderi, a testimonianza della sua imponente mole. Qui aveva sede il comune, prima di essere trasferito a valle.

Fonti: http://liscianoniccone.infoaltaumbria.it/Scopri_la_citta/Dintorni/Castello_di_Lisciano.aspx, http://it.wikipedia.org/wiki/Lisciano_Niccone

Foto: da http://www.cittadeltevere.it/wp-content/uploads/2010/06/lisciano_castello.gif

lunedì 27 aprile 2015

Il castello di lunedì 27 aprile






CORTONA (AR) – Castello Bourbon Del Monte in frazione Sorbello

Apparteneva al Marchesato di Sorbello, feudo imperiale (1416-1815) che era situato all'imboccatura della Val di Pierle e s'inseriva come una propaggine del Granducato di Toscana nel territorio umbro dello Stato Pontificio. Un'enclave strategica che, anche per questa particolarità, visse un eccezionale periodo di indipendenza - 399 anni - sotto il governo di un ramo cadetto dei Bourbon del Monte Santa Maria Tiberina. Ora è compreso nel territorio comunale di Cortona, in provincia di Arezzo. Il castello di Sorbello non è circondato da mura difensive, ma caratterizzato da due solenni accessi separati da un vasto atrio in cui si innalza un maestoso scalone, sovrastante le buie prigioni feudali, dove i detenuti erano costretti a corrispondere al reggente una certa somma per il mantenimento. E' uno dei pochissimi castelli della zona che ha tradizioni ghibelline, come dimostrano i suoi torrioni merlati. La mole primitiva di questa costruzione, ubicata nella zona centrale del feudo, risale al X secolo, il lato sud al XII; il mastio fu rinforzato nel 1300 quando si sottomise a Perugia. Nel 1500 furono eretti i bastioni a terrapieno che circondano il castello. Nel 1600 subì radicalmente mutamenti e prima divenne un palazzo di rappresentanza, poi una villa, con il piano nobile decorato secondo lo stile barocco. Interessante la cappella di Sant’Andrea (patrono del marchesato di Sorbello e della dinastia regnante), al piano terra, con una pala raffigurante l'apostolo e due altari ai lati: qui venivano officiati tutti i riti religiosi riguardanti la famiglia comitale, compresa l'intronizzazione del feudatario. Il maniero è l'edificio più vasto della valle, è posizionato sulla cima di un'altura boscosa di 389 metri e formato da una costruzione rettangolare, con rivellino e torre con merli ghibellini, immessa in una base trapezoidale con garitte ai vertici. I Bourbon di Sorbello, che ancora ne sono i proprietari, sono iscritti nel Libro d'Oro della Nobiltà italiana anche come conti di Montegualandro, nobili di Velletri, patrizi di Perugia e Chiusi. La torre principale della rocca ancora sovrasta la valle del Niccone e Borgo Sant'Andrea che nel XIX secolo contava 19 fuochi e 108 residenti: il parco ha una superficie di 24 ettari. L'interno è contraddistinto da 365 vani come i giorni dell'anno solare: si notano l'appartamento di rappresentanza, la sala del trono, lo studio del reggente, il salone dei busti, alcuni dipinti con scene di battaglie, un pregevole arazzo Gobelin e il ritratto di Guidone I, padre di Battistello. Al piano terra si trovano i locali di servizio e la stanza di giustizia, dove il marchese esercitava il potere giurisdizionale; al secondo piano gli alloggi per la servitù e i solai. Dalla grande corte, al pian terreno, partiva il banditore per informare i sudditi sul contenuto delle gride, ovvero le norme giuridiche feudali. Nell'antico castello di Sorbello si racconta che ogni anno, il 19 luglio, si manifesterebbe il "fantasma" di Battistello, giovane ed unico figlio naturale del reggente Guidone I (1501-54), celibe, e di Rosa di Bagnolo, donna non nobile. Il ragazzo, erede presuntivo del feudo, fu fatto decapitare nel salone della giustizia del maniero, il 19 luglio 1558, per ordine dello zio Lodovico II, succeduto al fratello. Lo "spettro", con la testa penzolante, percorrerebbe la sala del trono per poi discendere attraverso una rampa di scale non più esistente. Battistello, in un primo tempo, aveva accettato la successione dello zio, ma non smise di tramare nell'ombra contro di lui. La nascita del cugino, futuro Tancredi II (il marchese aveva ormai 60 anni), aggravò la situazione del ragazzo, al punto che lo zio decise di liberarsene.

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Marchesato_di_Sorbello_%28Cortona%29, http://liscianoniccone.infoaltaumbria.it/Scopri_la_citta/Dintorni/Castello_di_Sorbello.aspx,

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://liscianoniccone.infoaltaumbria.it/Scopri_la_citta/Dintorni/Castello_di_Sorbello.aspx

domenica 26 aprile 2015

Il castello di domenica 26 aprile






ROMA – Castello Ferraioli di Isola Farnese

Edificato dalla famiglia Orsini nel XIII secolo, passò nel XVI secolo ai Farnese, che trasformarono in un palazzo signorile l’antica rocca medievale. Il palazzo baronale, risalente al Basso Medioevo, è stato edificato all'interno del castello Farnese e deve la sua forma attuale al cardinale Alessandro Farnese. Fu posseduto da:
  • Paolo Giordano Orsini, primo duca di Bracciano e dalla sua famiglia sin dal XIII secolo;
  • Alessandro Olgiati, nobile romano, dal 9 ottobre 1560, acquisito al prezzo di 17.250 scudi in qualità di prestanome del cardinal Farnese;
  • cardinale Alessandro Farnese, acquisito il 16 aprile 1567 al prezzo di 16.500 scudi;
  • Camera Apostolica, il 19 dicembre 1649, Ranuccio II Farnese acconsentì alla incamerazione del Ducato di Castro e tutti i beni e diritti costituenti il ducato vennero ceduti alla Camera Apostolica per la cifra di 1.629.750 scudi;
  • Marianna di Savoia, duchessa del Chiablese e moglie di Benedetto di Savoia, dal 1820 ed a conferma di un precedente contratto di enfiteusi;
  • Maria Cristina di Savoia nata di Borbone-Napoli, regina consorte di Sardegna e moglie di Carlo Felice di Savoia, in eredità dal 1824 in seguito alla morte di Marianna di Savoia, sorella del marito;
  • Famiglia Rospigliosi, (Cfr. Giulio Silvestrelli - Città e Castelli della Regione Romana - Bonsignori Editore, 1993 - pag. 544, nota (16)) dal 1844;
  • Famiglia Ferraioli, data di acquisto non precisata;
  • Famiglia Di Robilant, dal 31 marzo 1961, a rogito Notaio Misurale (rep:164283); proprietà alienata da Carlo Alberto Gentiloni Silverj quale procuratore del padre Stefano Gentiloni Silverj al quale la proprietà era pervenuta in eredità da Natalia De Rossi fu Giovanni Battista vedova Ferraioli giusto testamento olografo in data 27 giugno 1939;
Il Castello occupa la posizione centrale del piccolo borgo, arroccato su uno sperone tufaceo naturalmente difendibile. Era separato dal borgo per mezzo di un fossato artificiale sul quale una volta scendeva un ponte levatoio: nell’arco di ingresso c’è lo stemma cardinalizio con i gigli dei Farnese. Delle strutture difensive originarie sono evidenti i resti del recinto, un torrione circolare, l’accesso, originariamente difeso dal suddetto ponte levatoio, ed alcune strutture impostate su torrioni quadrati. Al centro della corte era presente un pozzo ancora oggi visibile. Prende il nome dalla famiglia Ferraioli che ne fu in possesso all’inizio del XX secolo. Il castello rimase abbandonato e deturpato da vandalismi, modifiche e soprastrutture, specie durante il periodo 1915-1918, in cui era stato adibito a caserma dei prigionieri di guerra: pertanto l’allora proprietario Filippo Ferraioli decise di provvedere al restauro, senza peraltro poterlo vedere compiuto, a causa della sua morte, che avvenne il 1° febbraio 1926. I lavori furono ultimati nel 1930 e seguirono scrupolosamente in tutto il complesso dell’edificio le incisioni dell’opera del Canina: il restauro é ricordato nel cortile da una lapide, con iscrizione dettata dal gesuita Padre Pietro Tacchi Venturi. In un locale del pianterreno fu sistemato il deposito del Ministero dell’Educazione Nazionale, per la raccolta dei materiali provenienti dagli scavi: dopo il restauro é stato sistemato nel castello, oltre ad altre istituzioni locali, un asilo inaugurato il 2 maggio 1926 dal senatore Pietro Fedele, allora Ministro della Pubblica Istruzione. Oggi il castello é di proprietà privata ed è stato sottoposto a vincolo monumentale imposto con D.M. emanato il 15 settembre 1961 ai sensi della legge n. 1089/1939. Per approfondire suggerisco i seguenti link: http://www.castellofarnese.it/ (sito ufficiale), https://www.youtube.com/watch?v=EcoK5M9MGQ0 (video), http://www.terrediveio.eu/generaDettaglio.do?idPagina=CID143&tipoScheda=LC


Foto: da http://www.francigenalazio.it/static/photologue/photos/cache/If_Castello_display.jpg e su http://terrediveio.eu/cid/allegati//CRBC/I/001/001/CID139_82.Isola%20Farnese-Castello%20%282%29_Carli%20Giori.JPG

venerdì 24 aprile 2015

Il castello di sabato 25 aprile






BAISO (RE) – Castello Canossa-Fogliani-Este

Il castello di Baiso si erge maestoso sullo spartiacque delle valli del Secchia e del Tresinaro, nell’ampia cornice dei calanchi che lo difendono con le loro creste argillose prima di affidarlo al verde rigoglioso del grande parco che lo circonda tutto intorno. Esso occupa la cima della collina a nord del paese;  la forma allungata da nord-est a sud-ovest di questa ha determinato la particolare pianta dell’edificio. L’antico fortilizio che la tradizione vuole innalzato dai Da Canossa e precisamente da Alberto Atto, padre di Matilde, si è trasformato nel tempo in una splendida residenza aristocratica, di gusto quasi “rinascimentale” che mantiene tuttavia nell’impianto monumentale col recinto e la torre merlata, i caratteri della fortezza medievale. Proprietà e sede dei Da Baiso, feudatari del luogo e vassalli dei Da Canossa, divenne poi possesso dei Fogliani (dal 1256 al 1426) e oggetto di uno strenuo assedio da parte del Comune di Reggio che ne voleva fare un piccolo caposaldo “democratico”: era il 1322 e la ventata libertaria dei Comuni si spingeva verso la montagna lasciando nelle terre di Baiso i primi segni; i reggiani infatti si rafforzarono a Castelvecchio e sulla strada che scendeva nella vallata del Lucenta. Per cento anni ancora il castello, (con la sua chiesetta dedicata a San Nicolò) fu al centro delle contese fra Fogliani Guelfi e Fogliani Ghibellini, i quali si allearono con gli Estensi che stavano occupando la montagna reggiana e nel 1433 la bianca aquila Estense con Nicolò III con il suo presidio di soldati, divenne signora del castello. Come per gli altri castelli della montagna reggiana anche Baiso ebbe allora il suo “Podestà e i suoi gloriosi Statuti”. Le terre di Baiso rimasero “estensi” per molti secoli (tranne una breve parentesi di giurisdizione pontificia nelle mani di Domenico Amorotto) anche se concesse in feudo ad altri Signori: fra questi Ippolito Pagano ferrarese, poi deposto, perché aspro e prepotente, tanto che i sudditi ottennero dal Signore Estense la promessa che non avrebbe più infeudato Baiso e che sarebbero stati retti solo da un Podestà del luogo. Si fecero avanti qualche decennio dopo a chiederne l’investitura i Marchesi di Levizzano cui Baiso fu annesso non senza contrasti nel 1624 nelle cui mani rimase secondo le regole dell’eredità con qualche fatica tanto che Modena volle garanzie dai nuovi Signori che “gli Huomini di Baiso sarebbero stati trattati come gli Huomini di Levizzano”. Nel 1796 la ventata napoleonica e la Repubblica Cispadana abolirono i Feudi ed esautorarono i Signori: fu la libertà e Baiso divenne cantone libero per otto anni fino a quando nel 1803 la nuova legge della Repubblica italiana restituì il castello, che si trovava in rovina, “con le sue Regioni e le sue pertinenze” ai proprietari di un tempo. Si aprì un contenzioso fra questi e il Comune di Baiso che ne rivendicava la proprietà, ma il castello tornò ai Levizzani finché la Marchesa Elena lo portò in dote al marito, il nobile reggiano Francesco Cugini. Da lui lo acquistò, nel 1903 il Sen. Adolfo Venturi che gli restituì in parte la fisionomia originaria. Dopo essere stato per alcuni anni possesso del Comune di Guastalla che ne aveva fatto una colonia estiva per i bambini, venne finalmente acquistato da Pietro Bianchi, critico e regista che insieme alla moglie ne ha curato e valorizzato ogni aspetto, facendone per anni la sua dimora e restituendogli vita e bellezza.  Nel castello era una chiesa dedicata a S. Nicola registrata nel 1302. All’epoca della visita Cervini nel 1543 essa era già quasi distrutta; dipendeva dalla Pieve di Baiso. Il castello comprende un vasto recinto delimitato da due cortine. L’edificio vero e proprio si innalza verso sud-ovest. E’ composto da più fabbricati, disposti attorno ai due cortili aperti, fra i quali risultano particolarmente importanti il mastio, di pianta quadrata, posto sull’angolo meridionale del complesso e l’edificio residenziale appoggiato con un frontespizio al mastio e con una delle fronti lunghe allineata con la cortina di sud-ovest. Tali costruzioni sono state erette con masselli di pietra appena squadrati e conservano il loro aspetto medievale malgrado qualche palese integrazione: nell’edificio residenziale le bifore, la scala esterna sul frontespizio di nord-est ed in entrambi i merli, di foggia ghibellina. Ancora nel lato di sud-ovest, quasi al centro, si trova il primitivo ingresso, costituito da un portale archiacuto in pietra. Da questo una scala porta alla quota del maggiore dei due cortili donde un’altra scala conduce alla quota pi alta del recinto. Il complesso costituisce, non soltanto nell’ambito emiliano, un eccellente esempio di fortificazione medievale, tra Duecento e Trecento, articolata in castello e recinto. Altri link consultabili: http://www.appenninoreggiano.it/schede.asp?lang=it&d=castello-di-baiso-1, http://www.latavoladibisanzio.it/baiso/storia/


Foto: da http://reggioemiliaturismo.provincia.re.it/page.asp?IDCategoria=2949&IDSezione=21374&ID=371700 e su http://www.latavoladibisanzio.it/wp-content/uploads/2012/06/Castello-di-Baiso_11.png

Il castello di venerdì 24 aprile






RANDAZZO (CT) - Castello Svevo

Randazzo sorge su di un altipiano a 760 m. s.l.m. In realtà l'abitato occupa i fianchi di un colle e si divide in più livelli. Chiaramente l'antico insediamento medievale occupa la parte più alta del monte ed è ancora oggi delimitato dalla cerchia di mura, edificata per volontà di Federico II, insieme con le sette torri aggettanti. I primi documenti che parlano ufficialmente di Randazzo risalgono al XII secolo d.C. Essi fanno capo ad un diploma di Ruggero II, il quale permetteva, nel 1144, che l'abate basiliano di S. Angelo di Brolo pescasse liberamente presso il fiume di Randazzo, presumibilmente l'Alcantara o un suo affluente. Infine è lo storico mussulmano Idrisi, il quale, nel Libro di Ruggero, ricorda la città con il nome di Randazzo. Le vicende storiche dell'abitato durante l'alto medio evo in realtà rimangono almeno in parte nell'oscurità. L'insediamento quasi per certo ebbe a subire un'aspra battaglia, combattuta tra il 1038 ed il 1040 dai bizantini di Giorgio Maniace contro i musulmani, nel tentativo greco di riconquista della Sicilia. Esiste ancora oggi una contrada che ricorda l'avvenuto scontro con il nome di "Piano della sconfitta". Nel 1078 avvenne la conquista normanna, sette anni dopo la presa di Palermo. Durante l'assedio di Taormina, alcuni lombardi, secondo il volere del conte Ruggero, vennero ad insediarsi proprio a Randazzo ed ottennero fin da subito la supremazia sulle altre etnie cristiane di rito greco. Probabilmente proprio da questo avvenimento risale la divisione dell'abitato in tre quartieri, S. Nicola, S. Martino e S. Maria. Nel XVI secolo lo storico Filoteo degli Omodei rammenta ancora di siffatta divisione, raccontando come ciascun quartiere avesse i propri usi, costumi e dialetti diversi. Infine in epoca contemporanea sono chiaramente percepibili le rivalità fra le tre contrade, ciascuna con la propria basilica e con il proprio orgoglio, che rendono Randazzo vicina, nel suo piccolo, alla città toscana di Siena. La Torre-Castello di Randazzo, visibile da Piazza San Martino e posta su uno strapiombo di roccia lavica, è l’unica superstite delle 7 torri messe a guardia della città sulla cinta muraria, dopo lo sconsiderato abbattimento dell'altra che sopravviveva, fino agli anni Settanta, nell'attuale Piazza Oratorio, dove oggi, al suo posto e al posto del trecentesco Convento di S. Domenico, si può ammirare la palazzina dell'ex poliambulatorio, ora presidio veterinario. Risale alla fondazione del paese, ossia al secolo XI, quando se ne posero le basi, ma successivamente fu ampliata e, nel secolo XIV, risultava molto più grande di quel che si vede oggi, comprendendo scuderie e altri ambienti di servizio andati perduti. Esistente già ai tempi di Federico II di Svevia, occupava probabilmente un’estensione maggiore di quella attuale. Quando Randazzo era una roccaforte molto potente, tra XII e XV secolo, come “terra” ricadente nella giurisdizione del Demanio Regio, godeva di diversi privilegi, tra cui quello di amministrarsi da sé attraverso magistrature annuali elettive e quello di ospitare ufficiali di nomina regia di stanza permanente. Tra questi ufficiali vi erano il vice secreto, che sovrintendeva alla raccolta delle imposte e dipendeva direttamente dal secreto (segretario o camerario) di Palermo e il Capitano, che organizzava la difesa della città e amministrava la giustizia penale in nome del Re. Queste cariche impedivano che in un centro importante come questo venissero perpetrati gli abusi tipici del potere locale del sistema feudale in vigore all'epoca. I due personaggi risiedevano, con la guarnigione, tra le forti mura del castello e da qui espletavano le loro importanti funzioni. Ovviamente vi dovevano essere anche celle di detenzione, che occupavano solo parte dell'edificio. Fu sede del Giustiziere del Valdemone, diventando così luogo di detenzione di prigionieri e condannati a morte (le finestre con inferriate del lato nord si affacciano addirittura sulla Timpa di S.Giovanni, dove si innalzava il patibolo), per poi passare, attraverso alterne vicende, alle famiglie Romeo e Vagliasindi, che ne assunsero il titolo, ed infine venire destinato a carcere mandamentale. Ecco perchè è denominata anche “Castello carcere”. Luogo orrido e buio, con le cellette a forno, il pozzo dei sepolti vivi che venivano calati con la carrucola, la camera della tortura; oggi restaurata e restituita alla cittadinanza, col suo nobile prospetto, il portale sovrastato dall’aquila sveva, la torre merlata è stata trasformata in un centro culturale permanente, che ospita mostre ed esposizioni d’arte. Nei sotterranei vi è anche una raccolta di Pupi siciliani che vede presenti quasi tutti i personaggi della saga carolingia come assimilata e riproposta dalla tradizione siciliana ottocentesca del teatro popolare di figura. Dal 1998 il castello è anche sede del Museo archeologico Paolo Vagliasindi, un'interessante raccolta archeologica di pezzi provenienti dall'insediamento siculo-ellenico che sorgeva a circa cinque chilometri a est del paese medievale, lungo il corso del fiume Alcantara, in direzione di Mojo. Le alterazioni e le manomissioni della struttura medievale originale sono profonde, come si può notare già ad un primo sguardo. Nessuna delle aperture ha conservato l'aspetto originario e i rifacimenti hanno interessato tutte le parti dell'edificio. I restauri degli anni novanta hanno messo in luce realtà occultate, come la famosa “camera di li crozzi” al piano terreno, una vasta sala riempita per lo spessore di circa due metri di resti umani (!) e hanno occultato elementi originali, come la famosa gabbia di ferro in cui venivano esposte le teste mozzate dei condannati, semplicemente sparita. Nel libro della Regione Siciliana dedicato ai Castelli di Sicilia, uscito pochi anni fa, il castello di Randazzo non viene nemmeno nominato, mentre vi sono riportati quello della vicina Maletto (un rudere appena riconoscibile) e quello di S.Salvatore de Placa (Francavilla), al cui posto si trovano oggi solo i pochi resti del convento basiliano che gli succedette nel secolo XI.

Fonti: scheda compilata dal Dott. Andrea Orlando su http://www.icastelli.it/castle-1247244564-castello_svevo_di_randazzo-it.php, http://www.sicularagonensia.com/index.php/archivio-articoli/57-il-castello-di-randazzo,

Foto: di stalinchan su http://it.wikipedia.org/wiki/Museo_civico_archeologico_Paolo_Vagliasindi#/media/File:Castello_Svevo,_Randazzo.jpg e da http://etnaportal.it/public/upload/foto/sfondi/1853_204e3131a56d533c8f80201411261339515010d1bdc4f27d77f67a1c72.jpg

giovedì 23 aprile 2015

Il castello di giovedì 23 aprile






VILLAPUTZU (CA) – Castello di Gibas

Il castello di Gibas, venne edificato nel corso del Cinquecento dagli spagnoli, con funzioni di avvistamento e controllo dalle incursioni barbariche. Si trova su un alto colle visibile percorrendo la strada che conduce a Porto Corallo. Attualmente della fortezza si conservano solamente i ruderi. Ecco un interessante video, di Natale Porcu, girato sul castello: https://www.youtube.com/watch?v=C_NqqQEQvAg


Foto: di Cristian Garau su https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10201042853176493&set=o.319124528143991&type=3&theater e da http://images.visititaly.com/App_Images/Data/47c7c7c0-1bca-4130-8a36-3c9e24e055b9.jpg

mercoledì 22 aprile 2015

Il castello di mercoledì 22 aprile





ISOLA DEL LIRI (FR) - Castello Boncompagni-Viscogliosi

Detto anche Castello Ducale, è un palazzo storico fortificato, posto a ridosso del centro storico, sullo sperone di roccia all'altezza del quale il fiume Liri si biforca in due bracci per formare un'isola e due cascate alte circa 30 metri, la Cascata Grande e la cascata del Valcatoio. È monumento nazionale. Il centro fortificato è probabilmente di origine alto-medievale, nel posto in cui dovette esservi stata originariamente una torre. La prima menzione di un castello ad Isola del Liri risale al 1100, in una bolla pontificia di Papa Pasquale II diretta a Goffrido, vescovo di Sora, in cui si cita un castellum insulae. La fortificazione era un baluardo posto a difesa della piana di Sora e concepito come primo baluardo a difesa della città, probabilmente proprietà diretta della diocesi. Con la nomina dei Della Rovere a duchi di Sora il castello divenne parte integrante del patrimonio ducale, residenza ducale e sede principale delle attività politiche dei signori di Sora nella valle del Liri. Qui nel 1496 i Cantelmo e i Della Rovere organizzarono una resistenza anti-aragonese per preparare la riconquista del Regno di Napoli a Carlo VIII, con il sostegno del clero locale. I Boncompagni in seguito ne acquisirono i diritti di proprietà. Nel XVII secolo Costanza Sforza trasformò la struttura militare in una residenza signorile, commissionando affreschi di ispirazione biblica, bassorilievi dei comuni appartenenti al ducato di Sora e curando la realizzazione di un parco. Il Castello mostra nelle sue parti il succedersi delle varie epoche in cui è stato ampliato. Ovunque, negli stucchi e negli affreschi ivi esistenti, viene esaltata la famiglia Boncompagni. Da ammirare il salone cosiddetto delle Rondinelle, totalmente affrescato con episodi del Vecchio Testamento e con motivi ornamentali che hanno particolari riferimenti alla famiglia ducale. Interessante, soprattutto dal punto di vista storico, la Sala degli stucchi, ove sono raffigurati in diciotto basso rilievi i domini che la famiglia aveva nei ducati si Sora, Arce e Aquino. L'opera, certamente di stuccatori locali, raffigura una serie di paesi della valle del Liri come erano agli inizi del XVII sec. È inciso in lingua latina il nome della località voluta su ogni pannello. Ancora interessante è una serie di affreschi in alcune stanze del medesimo castello, in particolar modo quella detta della Penitenza, per le raffigurazioni in essa contenute. Il duca Giacomo I, che amava circondarsi di letterati ed artisti, trasformò alcuni ambienti del castello in teatri e salotti e, fu l'artefice, insieme ad altri esponenti della famiglia, della creazione della ricca biblioteca ducale. All'interno del Parco, dal lato di via Nicolucci, vi è la bellissima chiesa circolare realizzata al tempo di Antonio Boncompagni, riassorbendo in parte una delle absidi originali della chiesa parrocchiale di San Lorenzo sita a quel tempo presso il castello e demolita agli inizi del '600 perchè già fatiscente a seguito di un terremoto avvenuto intorno agli anni '90 del XV secolo. In detta chiesa, ora di piccole dimensioni, si conserva un pregevole affresco quattrocentesco di scuola laziale raffigurante la Madonna che allatta il Bambino e ha ai lati San Giovanni Battista e Santa Caterina d'Alessandria. Attualmente il castello è privato ed è abitato dalla famiglia Viscogliosi. Per approfondire, suggerisco la visita del sito ufficiale del castello, dove troverete varie notizie e una storia più dettagliata dell'edificio: http://www.castelloboncompagniviscogliosi.it/la-storia.html

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Boncompagni_-_Viscogliosi, http://www.alessandrorea.it/cartellasalvaguai/castello.htm, http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=408%3Ail-castello-boncompagni-viscogliosi-isola-liri&Itemid=1613&lang=it

Foto: da http://www.isola24.it/17-18-19-settembre-programma-festeggiamenti-in-onore-della-madonna-delle-grazie-ad-isola-del-liri-31334.html e di rastaman72 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/167356 


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martedì 21 aprile 2015

Il castello di martedì 21 aprile






SANTA MARIA DI SALA (VE) - Castello di Stigliano

E' un fortilizio medievale sito nell'omonima frazione di Santa Maria di Sala. Sotto la dominazione della Serenissima è stato adattato a palazzo signorile, assumendo l'aspetto di una villa veneta. Le origini del castello vanno collocate in epoca romana, quando rappresentava una fortificazione al confine tra gli agri di Altino e Padova (le tracce della centuriazione sono tuttora evidenti nel cosiddetto Graticolato Romano). Dal VII secolo il complesso sarebbe passato al vescovo di Treviso; nel 1152 è infatti citato, con il villaggio e le relative pertinenze, tra i domini della diocesi, ma politicamente soggetto al Comune di Padova. Dal 1158 ne furono vassalli i Tempesta, che avevano il titolo specifico di difensori (advocati) dei diritti feudali del vescovo signore. L’investitura comprendeva in particolare la “proprietas frate et fosati et castellarii”. Nel 1220 Guido Tempesta, per risanare almeno in parte la propria situazione finanziaria,  cedette il feudo al conte Aldevrandino de Soprovo. Erano ceduti il castello, le motte, i mulini, numerosi mansi e terre per oltre 756 iugeri o campi padovani, le decime, i quartesi, la giurisdizione comitale sul villaggio, il giuspatronato sulla chiesa di San Nicolò o del Palù. Da Aldevrandino il feudo passò in seguito nella proprietà del di lui figlio Soprovo il quale, nel 1245 ne cedette la metà, con i relativi diritti, al fratello Enrico. Il castello passò quindi in proprietà del figlio di Enrico, Avanzo, il quale acquistò in seguito i beni che erano stati precedentemente alienati, ricostituendo l’integrità del feudo. Nel 1282 Avanzo de Soprovo, mentre si trovava ad Acri in Palestina, donò il feudo ai frati Alemanni, dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, uno dei tanti Ordini cavallereschi sorto dopo la prima crociata con lo scopo di continuare a difendere i luoghi sacri. L’atto di donazione fu stipulato nel palazzo vecchio del maestro dell’ordine in presenza di alcuni frati tra i quali il maresciallo e luogotenente del gran maestro, Corrado Danevelt. La donazione fu confermata l’anno seguente da papa Martino IV e frate Bertoldo, gran maestro della “domus” padovana, prese possesso del feudo e ne nominò gastaldo Giovanni de Romagna. In seguito, nel 1305, Avanzo de Soprovo, pentitosi della donazione fatta, tentò invano di riavere il feudo. Nel corso del XIII e XIV secolo, per la sua posizione strategica, al confine tra i territori di Treviso e Padova, segnato dal Muson (attuale Muson Vecchio), il castello fu teatro di numerose battaglie. Fu spesso centro delle lotte tra i Padovani da una parte ed i Trevigiani, i Veneziani e loro alleati dall’altra. Nel 1234 si ricorda, ad esempio, una celebre pace tra i Padovani e gli Ezzelini, signori di Treviso e di Bassano, promossa dal vescovo di Treviso e dal beato Giordano Forzatè, priore del convento di San Benedetto di Padova,  stipulata proprio nella chiesa di San Nicolò. Nel 1370 Francesco da Carrara il Vecchio, per premunirsi contro Venezia, costruì il serraglio del Muson. Era questo un poderoso argine innalzato sul lato destro del fiume mediante l’escavazione e l’allargamento del suo alveo, da Camposampiero a Oriago, costringendo il fiume, nelle periodiche piene a riversarsi in territorio nemico. Lungo tale argine fu creato un sistema di fortificazioni costituito da bastioni, casematte, torri di legno e di pietra ed avente come roccaforti i castelli di Camposampiero, Stigliano e Mirano. Nel letto del Muson furono inoltre riversate le acque del Vandura e del Rosada, in modo che si scaricasse in laguna la maggiore quantità possibile di detriti a danno di Venezia. Ai Veneziani questo atto sembrò una sfida e nel 1372 imposero ai Carraresi lo smantellamento del castello di Stigliano. Scoppiata la guerra, nel 1373 il capitano dei Veneziani occupò Stigliano e Francesco da Carrara subì una clamorosa sconfitta. Cinque anni dopo i Carraresi, alleati con gli Ungheresi, si presero la rivincita, sconfiggendo i Veneziani in più località, tra le quali proprio Stigliano. Nel 1388 i Carraresi replicarono contro i Milanesi, alleati dei Veneziani; i Milanesi, con un grosso corpo di spedizione comandato da Giacomo dal Verme, si erano appostati presso il Muson tra Stigliano e Mirano con l’intento di forzare il serraglio e occupare il castello di Stigliano difeso dal capitano Giacomo da Scaltenigo, il quale aveva anche costruito delle gallerie che sottopassavano il fiume Muson per il trasporto segreto di truppe a Zianigo, Castelliviero e Mirano. Appena i soldati del Dal Verme ebbero distese le loro tende, Giacomo da Scaltenigo, aiutato da Giacomo Enselmini e Andrea da Curtarolo, capitani rispettivamente dei castelli di Camposampiero e di Mirano, tagliò in diversi punti l’argine sinistro del Muson, allagando gli accampamenti nemici che, spaventati, dovettero abbandonare l’impresa e recarsi altrove. Il castello fu tuttavia definitivamente conquistato dai Veneziani nel 1404, dopo che Malatesta da Pesaro, al servizio dei Veneziani, vinse Ludovico Buzzacarini che difendeva Stigliano, facendolo prigioniero e portandolo a Venezia. Nel XVI secolo il castello divenne proprietà dei nobili Priuli da Cannaregio, i quali lo trasformarono in un palazzo. Una lapide murata sulla facciata sud della torre del castello ricorda i lavori di restauro e rifacimento (Stian vetustate collapsum/a Petro Aloysio Priolo patre ereptum/Angelus Maria f. perfecit/MDXXX), mentre una stanza della torre fu decorata con alcune vedute del castello e con personaggi ricordati dalla storia. Sembra si debba ai Priuli anche l’erezione (o ricostruzione), nei primi decenni del ‘600, dell’oratorio del castello dove fu posta la pala d’altare con San Marco, Sant’Antonio e la Beata Vergine, purtroppo rubata alcuni decenni fa. Nel 1555, come ricordava in passato una lapide, purtroppo scomparsa, affissa sulla parete del ponte dei mulini, soggiornò nel castello la regina di Polonia, Bona Sforza, accolta dal savio di terraferma Giovanni Capello, mentre era diretta ai bagni di Abano, accompagnata dai cardinali di Ferrara e di Augusta. Un’altra visita illustre al castello si ebbe verso la fine del ‘600 da parte della duchessa di Mantova in occasione di un viaggio in Germania. Nel XVIII secolo nella proprietà del castello successero ai Priuli, prima i Venier (che attuarono ulteriori rimaneggiamenti), quindi i Fracasso. Successivamente divennero proprietari il sig. Marchi, i Montagna, l’armatore Cosulich, la Provincia di Venezia ed infine Paolo Bertan, attuale proprietario. Durante la prima guerra mondiale il castello fu adibito, come villa Farsetti, a Ospedale militare. Dopo un lungo periodo di abbandono, di recente il palazzo ha subito ulteriori adattamenti per essere destinato a struttura ricettiva. Il complesso consiste oggi nel castello vero e proprio (il torrione), in un annesso rustico e in una cappella privata, il tutto inserito in un vasto delimitato tra la strada Noalese a ovest e il fiume Muson Vecchio a sud. Il torrione, collocato nell'angolo sudest, rappresenta il perno del corpo principale, che si sviluppa verso ovest. Questo si articola su tre livelli conclusi da archetti pensili su mensoline di pietra e da una merlatura in cotto più recente. Al torrione si innesta inoltre, a nordest, un altro corpo di quattro piani, concluso da una cornice in cotto e dal tetto a padiglione. I fabbricati si dispongono così a "L" e su tutta la superficie si estende un seminterrato. Il castello, che oggi ospita un ristorante, ha un sito web ufficiale: http://www.castellodistigliano.com/index.asp. Inoltre suggerisco di visitare : http://www.mondimedievali.net/Castelli/Veneto/venezia/stigliano.htm, https://it-it.facebook.com/pages/Il-Castello-di-Stigliano/360365530726034 (pagina Facebook)

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Stigliano, testo di Loris Vedovato su http://www.arcotarga2013santamariadisala.it/site/index.php/storia/il-castello-di-stigliano

Foto: da http://www.sposienonsolo.it/files/2014/07/castello-2.jpg e da http://www.passeggiandoinbicicletta.it/bici/galleria/1012_Mirano_Noale/slides/DSCN5779.JPG

lunedì 20 aprile 2015

Il castello di lunedì 20 aprile






SANT'ELENA SANNITA (IS) - Palazzo Baronale

Edificato nel XV secolo, il palazzo baronale di Sant'Elena Sannita sorge nella parte più antica del paese ed è stato il luogo di residenza dei Conti e dei Signori che hanno avuto in mano le sorti del paese per secoli. Presumibilmente già agli inizi della sua storia il paese poteva vantare una struttura simile nella sua urbanistica, infatti è sempre stato assoggettato alle volontà di questi latifondisti. Conosciamo il nome di Ugo De Camelo, primo possessore delle terre di Cameli in ricordo del quale abbiamo l'antico nome del paese. Le date si perdono negli archivi malconservati dell'ex Regno di Napoli; possiamo approssimare data di nascita di questo nobile latifondista intorno al 1200, data che sono solito usare come riferimento per la nascita  del primo agglomerato urbano. Nei suoi otto secoli di vita la comunità Santelenese è stata assoggetata a varie famiglie subentrate magari grazie alle disgrazie di quelle precedenti. Ricordiamo il nome degli Orsini, dei Montagano, di Giovan Francesco Santomago e dei De Astuto fino a tutto il '600.  Poi seguirono la famiglia Marchesano e la famiglia Tamburro che abitò proprio nell'antico palazzo fino all'eversione della feudalità. Spiccano nomi importanti come quello degli Orsini, ma anche nomi che ci richiamano alla dominazione spagnola e borbonica del Regno di Napoli come quello di Giovan Francesco Santomago. Il Castello, poi diventato palazzo baronale, fu anche della famiglia di Capua, come rimane attestato dai brandelli di uno stemma che ornava l’androne. Una bella scala, articolata in tese simmetriche, occupa quasi tutto il cortile ormai stravolto da una serie di superfetazioni cementizie che dell’antico castello hanno cancellato quasi ogni traccia.

Fonti: http://www.comune.santelenasannita.is.it/opencms/opencms/StoriaTradizioniCultura/palazzobaronale.html, http://www.mondimedievali.net/Castelli/Molise/isernia/provincia000.htm#santelenasann, http://www.santelenasannita.net/architettura.htm, http://www.francovalente.it/2007/09/14/santelena-sannita/

Foto: da http://iserniaprovincia.altervista.org/Comuni/SElena/selena.php e da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Molise/isernia/santelenasann01.jpg

domenica 19 aprile 2015

Il castello di domenica 19 aprile






GAZZOLA (PC) – Castello Arcelli di Monticello

Di rilevanza strategica in quanto collocato sulla dorsale che divide Val Trebbia e Val Luretta, il Castello di Monticello rappresenta dal punto di vista paesaggistico un tutt'uno piacevole ed armonioso con il circostante ambiente collinare tipico del basso Appennino piacentino (540 metri s.l.m.). Edificato probabilmente nel corso del 1300, il maniero ha sempre vissuto un'esistenza relativamente tranquilla e, seppur con varie interruzioni, quasi sempre sotto il controllo della famiglia Arcelli, che ne divenne feudataria nel 1452. Fu proprietà comune degli Arcelli di Monteventano tra il 1558 e il 1576. Donato nel 1633 da Odoardo Farnese a Pier Luigi Borghi, ritornò di proprietà degli Arcelli Fontana, insieme al castello di Monteventano, nel 1700. Solo due i fatti d'arme rilevanti, e molto distanti tra loro: nel 1372, nel contesto di una generale sommossa contro i Visconti, venne occupato da truppe papali; nella notte tra il 15 e il 16 aprile 1945, in piena Seconda Guerra Mondiale, fu teatro di un sanguinoso scontro tra i Partigiani comandati da Gino Cerri (Cicogna), asserragliati al suo interno, e i Nazifascisti, che lo avevano circondato. La struttura è a pianta quadrangolare irregolare, ma attualmente mostra i segni ben visibili delle varie e disomogenee modifiche ed aggiunte architettoniche subite nel corso dei secoli. Il fronte del castello è sul lato orientale, che è dominato dalla mole del portale, dotato in antico di ponte levatoio; una robusta torre quadrata si eleva a sinistra dell'ingresso a guardia del lato sud, mentre due torrette rotonde sono poste a protezione del lato settentrionale. L'interno si sviluppa attorno a due cortili di diverse proporzioni, prospicienti i principali corpi di fabbrica, adibiti ad abitazione. Tutt'intorno alla fortezza sono sorte in epoca più recente strutture di evidente natura agricola, che poco hanno a che vedere con la struttura originaria e che ne enfatizzano l'aspetto ibrido, ma al contempo ne ingentiliscono le forme. Attualmente la struttura, che richiama altri castelli piacentini fra cui quelli di Momeliano e Rezzanello, è adibita a sede di una locale azienda agricola, ma è opportuno segnalare lo stridente contrasto tra le parti non utilizzate dell'edificio, quasi a rischio di crollo in alcuni punti, e le parti abitate, perfettamente conservate. Per approfondire, suggerisco la visita della seguente pagina Facebook: https://www.facebook.com/media/set/?set=a.382681441847.162618.215175476847


Foto: da http://www.emiliaromagna.beniculturali.it/index.php?it/108/ricerca-itinerari/10/211 e di Solaxart 2011 su http://www.preboggion.it/Castello_di_Monticello.htm

sabato 18 aprile 2015

Il castello di sabato 18 aprile






FORNACE (TN) – Castello Roccabruna

Castello di origine medievale e ricostruito in epoca rinascimentale, con l'aspetto di un bel palazzo signorile. Sede sin dal XI secolo della potente famiglia trentina dei Roccabruna, sorta con il capostipite Gandolfino di Fornace. Fu Giacomo di Roccabruna, nel 1462, a dare il via ai lavori della costruzione dell’attuale castello, poi proseguiti nel 1566 dai suoi pronipoti Girolamo e Giacomo, che riedificarono l’edificio con forme rinascimentali. Il castello passò poi ai nobili Gaudenti e quindi ai conti Giovanelli che lo vendettero al Comune nel 1853. Da ammirare il portico e la loggia del cortile, nonché la facciata del palazzo, tutto da poco restaurato. Del castello di Fornace, situato al centro del paese in posizione dominante sul dosso di San Martino, rimane oggi solo una porzione dell’impianto originario: la cosiddetta porta-torre. Benché la famiglia dei Roccabruna, signori di Fornace trovi menzione già a partire dal 1189, il primo documento che si riferisce al castello risale al 1214 ed è relativo al giuramento di fedeltà al principe e alla conseguente reinfeudazione dei da Fornace. Il nome de Roccabruna compare unitamente a quello di Fornace proprio a partire da tale data ed è attribuito ad un ramo della famiglia. I Roccabruna provvidero all’ampliamento dell’impianto fortificato primigenio ed avviarono un’ingente opera per la trasformazione del maniero in dimora residenziale, secondo il gusto rinascimentale. Il complesso tuttavia nell’ottocento fu in parte demolito per far posto alla costruzione della chiesa parrocchiale e perse la caratteristiche dell’edificio fortificato. L’edificio oggi è sede del Municipio e può essere visitato durante l'orario d'ufficio previo avviso telefonico al Comune. Per approfondire suggerisco il seguente link: http://it.wikipedia.org/wiki/Fornace_%28Italia%29#Castello_Roccabruna

Foto: di Maus su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/171196/view e da http://www.visitpinecembra.it/

venerdì 17 aprile 2015

Il castello di venerdì 17 aprile






TRASACCO (AQ) - Torre Febonio

La torre Muzio Febonio, alta 27,50 metri, domina incontrastata su tutto il paese. Sopravissuta agli eventi bellici e soprattutto al sisma del 1915, essa è stata innalzata in tre epoche diverse, come chiaramente attestano le tre tecniche differenti di muratura. La prima struttura di base, che si erige per circa un terzo dell'intera altezza della torre, ancora oggi chiaramente individuabile ad occhio nudo, con feritoie semplici architravate, dalla tecnica muraria più grossolana, alcuni studiosi la fanno risalire ad epoca romana o comunque sorgente su un nucleo architettonico di quell' epoca, forse il palazzo imperiale che Gaudio fece innalzare per l'imperatrice Messalina, quando venne nella Marsica per tentare l'impresa del prosciuga­mento del lago. Altri storici, la fanno risalire al primo medioevo. La parte mediana, caratterizzata da una cortina a blocchetti squadrati, dalle aperture bifore, dai merli rettangolari impostati a filo, senza apparato a sporgere, e dalla garitta (forse latrina) a sbal­zo sul lato sud, si fa risalire a prima della fine dell' anno Mille. L'ultima parte a forma cilindrica, poggiante su tutta la struttura sottostante a forma di parallele­pipedo, con apparato a sporgere dotato di beccatelli a mensoloni ed archetti archiacuti del tipo presenti nelle architetture difensive rinascimentali delle rocche degli Orsini, Colonna e Piccolomini della Marsica, è senz' altro posteriore al sec. XIV. La sua costruzione, dunque, nonostante il nome che porta, non fu opera dei Febonio. È probabi­le che il nome derivi dal fatto che la suddetta famiglia l'ha posseduta ed utilizzata a suo comodo quale amministratrice a Trasacco dei beni patrimoniali dei Colonna di Roma, almeno a partire dal sec. XVI. Le notizie storiche certe più antiche sulla torre risalgono al X secolo e sono contenute nella cro­naca Farfense e in quella Cassinense, quest'ultima redatta dal Cardinale Ostiense, rispettivamen­te dei secoli X e XII. La cronaca del cardinale Ostiense riporta notizie generiche sulla torre parlando di una invasione subita da Trasacco da parte di orde di barbari, gli Ungari, di passaggio nel centro Italia, nel 937, i quali bruciarono e rasero praticamente al suolo l'intero paese, compreso la Basilica dei Santi Rufino e Cesidio e la torre. La cronaca Farfense riferisce più specificatamente della presenza della torre nella "Villa Transaquas", dicendo che nell' anno 970 in detta torre si amministrava la giustizia. A quei tempi, infatti, sulla scia della prassi inaugurata dagli imperatori carolingi, a tenere i processi giudiziari era addirittura l'Imperatore o il Re o il Principe direttamente; e quando costoro erano impediti a presiedervi delegavano altri personaggi della Corte, i quali si recavano nei luoghi di competenza per tenere il "placito" (cosi all'epoca erano detti i processi) e rendere giustizia in nome dei man­danti. Carlo Magno aveva denominato coloro che venivano da lui delegati a rendere giustizia in sua vece "Missi Dominici".
Ora, sulla base di quanto riportato dalla "Cronica Farfense" e della certezza storica dei "Missi Dominici", è ragionevole dedurre che "via Castel Missino", la strada in fondo alla quale è ubicata la torre", derivi proprio dal "Missus", ossia il giudice di giustizia. Da rilevare, inoltre, che la sud­detta torre da taluni è denominata anche "Castel Missino", ed è da ritenere abbia derivato tale nome proprio per la sua antica funzione di sede della corte di giustizia, fungendo allo stesso tempo da for­tezza per la custodia dei giudicandi per colpe penali. La torre è stata sicuramente utilizzata come punto di osservazione sul lago di Fucino per preve­nire e difendersi da eventuali attacchi armati, nonché come faro di riferimento per i pescatori che navigavano di notte sul lago. Appartenne ai Conti Berardi dei Marsi, nel 1187 passò al conte Ruggero d'Albe. II terremoto del 13 gennaio del 1915 ha causato il crollo di un'ampia parte della merlatura supe­riore e l'apertura di varie crepe. Ha subito un primo restauro all'inizio degli anni 70 e l'ultimo è iniziato nel 2003.

Fonti: http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=torreaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuTorr2782&tom=782, http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=97801, http://www.terremarsicane.it/marsica/content/torre-febonio-trasacco

Foto: tratta da Latini M., Giuda ai castelli d'Abruzzo, Carsa Edizioni Trasacco su http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?template=imgView&imgF=xBeniCulturali/images/immagini/25/foto26-trasacco.JPG e di Giovanni Lattanzi su http://foto.inabruzzo.it/provincia%20l'Aquila/R-Z/Trasacco/foto-trasacco007.jpg