martedì 30 dicembre 2014

il 2015 è alle porte...



A tutti i lettori del blog, abitudinari e saltuari, i miei migliori auguri di un 2015 che sia di gran lunga migliore del 2014 che sta per terminare ! Ci rivediamo il 2 gennaio con un nuovo castello di cui trattare...
Valentino

Il castello di mercoledì 31 dicembre






CARPANETO PIACENTINO (PC) – Torre Confalonieri in frazione Celleri

Sulla riva destra del Vezzeno, in zona interna rispetto alla strada provinciale che conduce a Gropparello, poco distante da Celleri di Carpaneto Piacentino sorge questo bel castello dei Confalonieri, antica e nobile famiglia piacentina alla quale appartiene anche San Corrado che, secondo alcuni studiosi, sarebbe proprio nato qui. Secondo altre autorevoli fonti  San Corrado è nato a Calendasco di cui è patrono. Forse è nato a Piacenza nel 1290. Oggi un lungo viale alberato, che collega la citata strada provinciale con la Torre medesima, nasconde il castello dalla visuale dei più. Il Campi riferisce che nel corso di una battuta di caccia il giovane Corrado (in valchero?) avrebbe fatto appiccare il fuoco ad un boschetto per stanare la selvaggina ma, complice il vento, le fiamme si sarebbero sviluppate in maniera molto ampia provocando vasti danni. Il duca Galeazzo Visconti sospettò trattarsi di una manovra dei Guelfi piacentini, suoi acerrimi nemici, per attirare le sue truppe fuori di Piacenza, per impegnarle in combattimento, e diramò l’ordine di punire severamente i responsabili. I messi viscontei recatisi sul posto per eseguire l’odine ducale arrestarono un contadino che alla loro vista si era dato alla fuga. Il malcapitato, assolutamente innocente, condotto in carcere venne costretto (come si faceva ai tempi) a confessare i suoi misfatti e, di conseguenza, condannato a morte. Nel giorno fissato per l’esecuzione, mentre il povero condannato transitava dinanzi all’abitazione dei Confalonieri per essere condotto al patibolo, Corrado si fece avanti dichiarandosi responsabile di tale incendio. Le guardie risposero che ora non sarebbe stato possibile sospendere l’esecuzione. A questo punto Corrado, con la forza, liberò il malcapitato tenendolo poi nascosto nella propria casa. Recandosi quindi nel pubblico palazzo, fece  ammenda, dichiarandosi disposto a pagare i danni causati, come poi avrebbe fatto (forse, essendo nobile, venne solamente  spogliato di tutti i beni e costretto alla povertà). Dopo tale episodio il nobile Corrado, abituato a lussi e divertimenti, si fece frate francescano (e la moglie suora di Santa Chiara) iniziando il suo pellegrinaggio per l’Italia impegnandosi ovunque con opere di bene. Nel 1351 morì a Noto, in Sicilia, dove si era ritirato in una grotta vivendo per 35 anni da esemplare anacoreta. Beatificato da Leone X nel 1515,  il suo culto fu approvato con il titolo di Santo dal Papa Paolo III Farnese nel 1544 (?). L’attuale Torre Confalonieri originariamente era il Castello Vecchio di Celleri.  Lo si rileva da un rogito del 30 gennaio 1392 dove si attesta che Cristoforo Coppalati vende metà del vecchio castello di Celleri, in cattivo stato… a Marsilio Confalonieri. Nel 1520 Gian Luigi Confalonieri, doppo la beatificazione, dispose che in una delle torri venisse eretto l’oratorio dedicato a (San) Corrado Confalonieri. Nel 1636 la Torre apparteneva a Cristoforo Confalonieri che in quell’anno, unitamente a Alfonso Pallastrelli, si era asserragliato nel castello di Rezzano per cercare di resistere agli spagnoli. Il vasto edificio adiacente alla Torre è stato costruito nel 1875 da Carlo Confalonieri. All’interno della torre la cappella dedicata a San Corrado che appare anche in un affresco posto all’ingresso del castello medesimo. Sul web ho trovato anche questo dove sembra si parli del castello, ma non sono sicuro sia lo stesso edificio….http://www.altavaltrebbia.net/castelli/val-chero/2193-castello-pollastrelli.html

Fonti: testo di Sergio Efosi su http://quadernivaltolla.wordpress.com/2014/04/07/torre-confalonieri-gia-vecchio-castello-di-celleri/, http://www.comune.carpaneto.pc.it/sottolivello.asp?idsa=71&idvocebox=81&idbox=20

Foto: la prima è presa da http://sergiovaltolla.wordpress.com/2014/04/08/torre-confalonieri/, la seconda è del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini

lunedì 29 dicembre 2014

Il castello di martedì 30 dicembre






CARPANETO PIACENTINO (PC) – Castello Scotti in frazione Magnano

Magnano è una piccola frazione del comune di Carpaneto Piacentino, dal quale dista circa 8 km., che sorge su un crinale che si sviluppa a sud del capoluogo, quello tra il Chero e l’origine della misteriosa e breve val di Ségola (o Valsegola). Ben conservato è il castello di Magnano, in posizione panoramica a 350 m. sulle colline piacentine, circondato da vigneti e rilievi argillosi. Il complesso castrense è considerato tra i migliori esempi di arte fortificatoria della zona. Citato nel 1288 in un atto di compravendita tra la famiglia Mancassola e quella dei Della Volta Landi, appartenne agli Scotti (del ramo di S.Giorgio e Castelbosco) dalla seconda metà del XV secolo (per l’esattezza 1460) al 1877, poi passò alla famiglia Marazzani Casali e Scribani Rossi e ad altre famiglie. Verso la fine del 1700, in seguito ad un matrimonio di uno Scotti con una Della Scala, la famiglia assunse il cognome composto Scotti-Della Scala. Imponente complesso in pietra del XIII e XIV secolo, tipologicamente riconducibile alla struttura del castello-recinto, poco diffusa nel piacentino. Ha uno sviluppo planimetrico irregolare, quasi trapezoidale, adattato al terreno accidentato su cui sorge. Composto da un corpo centrale e da due torri, di cui una circolare a meridione e una quadrata ad occidente (animata al suo interno da un'antica scala a chiocciola in legno), delimitano il fronte sud-ovest caratterizzato dal coronamento di merli a foggia guelfa. Le cortine merlate trovano continuità anche sul lato nord-est, formando due diversi raccordi a settentrione e ad oriente, rispettivamente curvo e ad angolo acuto. In quest'ultimo trovano sistemazione l'ingresso ed un secondo corpo che si distingue per l'intonacatura, mancante dal resto del complesso in pietra a vista appena squadrata, con limitati inserti in laterizio riconducibili a integrazioni attuate nel corso di restauri eseguiti tra Settecento ed Ottocento. Nel corpo centrale, merlato, si trovano una cantina per la conservazione dei cibi, una parte destinata all'alloggiamento delle guarnigioni, la stalla con il fienile. Vincolato dalla Soprintendenza alle Belle Arti e decretato “edificio particolarmente importante”, il castello di Magnano, trasformato in abitazione privata e struttura ricettiva, oggi dispone di alloggi per vacanze. All'interno della merlatura guelfa si trova l'ampio giardino, che evoca con sensibilità ed equilibrio l'hortus conclusus medievale, grazie alla cura del proprietario, paesaggista di professione. Nelle notti stellate il castello è un eccellente punto d'osservazione astronomica.
Fonti: http://www.castellodimagnano.it/ (con diverse foto da vedere),

Foto: di Solaxart 2010 su http://www.preboggion.it/Castello_di_Magnano.htm e da http://www.castellodimagnano.it/

domenica 28 dicembre 2014

Il castello di lunedì 29 dicembre






CARPANETO PIACENTINO (PC) – Castello Scotti

La citazione più antica della località (in loco ubi dicitur Carpenetus) si trova in un documento dell'anno 816 e riguarda l'acquisto di una foresta fatto dal vescovo piacentino Pedone.
Nel 1090 la borgata fu distrutta dai popolari piacentini nel corso delle frequenti lotte con i nobili; nel 1216, durante le guerre fra piacentini e milanesi (alleati del Pontefice) e pavesi e cremonesi (fautori dell'imperatore), questi ultimi la devastarono per la seconda volta. Sebbene le prime notizie relative al Castello di Carpaneto risalgano al 1321, è comunque probabile che esso esistesse già nel XII - XIII secolo, e precisamente all'epoca in cui la famiglia Malaspina cedette, nel 1180, i propri diritti su Carpaneto alla chiesa di Sant'Antonino di Piacenza. La storia del fortilizio di Carpaneto è purtroppo caratterizzata da una fitta serie di rovinose devastazioni, a cominciare proprio da quella del 1321 ad opera delle truppe viscontee, epoca in cui ne era proprietario Rolando Scotti. Nella prima metà del secolo successivo, il castello risulta di proprietà dei Del Cairo, uno dei quali, Antonio, nel 1435, lo vendette a Beatrice Anguissola che lo acquistò con denaro del figlio Giovanni. Da questa famiglia l'edificio pervenne ad Alberto Scotti; il fortilizio venne ricostruito completamente sulle rovine del precedente. Sei anni più tardi (1441), il duca Filippo Maria Visconti, grato agli Scotti per la loro fedeltà, investì il feudo di Carpaneto con il titolo di contéa ad Alberto. Avuta conferma legale del possesso, il nuovo signore, mosso sia da ambiziosi progetti espansionistici verso le zone limitrofe, sia da previdenti calcoli di ordine difensivo, cinse Carpaneto di mura e fossati, creando un vero e proprio borgo fortificato che difficilmente avrebbe potuto essere conquistato. Nel Cinquecento il complesso costituì il quartier generale del conte Pier Maria Scotti (detto "il Buso"), per le sue imprese belliche condotte in tutto il territorio piacentino dopo essere passato dal partito guelfo a quello ghibellino e aver piegato ai propri interessi una pseudo sollevazione antifrancese. Quando lo Scotti morì (1521), anche Carpaneto, per la nuova impostazione politica, decadde. I Farnese, in seguito, creando la contea di Vigoleno, vi compresero pure Carpaneto e Diolo; nel 1606 il duca Ranuccio I la elevò a marchesato in favore di Cesare Scotti, la cui famiglia mantenne il possesso del castello fino al 1891, quando lo alienò al Comune.
A causa delle continue demolizioni, avvenute in tempi diversi, dell'importante borgo murato oggi non rimane traccia. Scomparsa è la cinta fortificata costituita da poderose mura a scarpa in laterizio, interrato l'ampio fossato, distrutte le torri e le porte con relativi ponti levatoi. Fino al 1930, epoca dell'abbattimento, le uniche testimonianze dell'antico borgo consistevano in una porta d'ingresso alle mura, orientata verso Piacenza (sul cui voltone spiccava lo stemma in pietra degli Scotti da Vigoleno) e nei resti del ponte lavatoio. Del maniero si è fortunatamente conservata, seppure alterata, una buona parte dell'edificio quattrocentesco, dove oggi hanno sede gli uffici comunali. Da segnalare soprattutto l'elegante porticato con colonne di granito e capitelli in arenaria recanti gli stemmi degli Scotti.


Foto: entrambe da http://www.quicarpaneto.it

sabato 27 dicembre 2014

Il castello di domenica 28 dicembre






BIANZANO (BG) – Castello Suardi

A differenza di molti manieri sorti a difesa del territorio, il castello di Bianzano è più basso rispetto al borgo. La data di costruzione del castello dovrebbe risalire all’anno 1233, come riportato su una pietra posta sulla spalla destra del portale del cortile. Tale indicazione è tuttavia messa in discussione dagli storici, che ancora oggi dubitano sia delle origini del castello che della funzione a cui esso era adibito, a causa della mancanza di documenti ufficiali. Questo anche a causa del fatto che recentemente sono stati portati alla luce resti di muratura e parte del basamento di una torre in una zona poco distante. La presenza di questa fortificazione tenderebbe quindi a posticipare la costruzione dell’attuale castello che, edificato all’estremità del borgo in quella che allora poteva essere la prima zona edificabile, evidenzierebbe una data di costruzione successiva a quella del borgo stesso. I dati in possesso indicano che il maniero risultava essere esistente già dal XIV secolo, di proprietà della famiglia Suardi. A quel periodo risale il primo atto riferito al castello, riguardante un evento dalla grandissima importanza: nel 1367 Giovanni, appartenente alla famiglia Suardi, sposò Bernarda Visconti figlia di Bernabò, reggente del Ducato di Milano, ricevendo in dono il castello stesso. Ancora oggi tale evento è al centro di una rievocazione storica, che si svolge il primo fine settimana di agosto, che coinvolge l’intero borgo (per l’occasione adornato con innumerevoli stendardi raffiguranti lo stemma nobiliare) ed attira numerosi spettatori. Nessun episodio di rilievo si verificò fino all’arrivo della Repubblica di Venezia la quale, al fine di porre fine alle lotte tra guelfi e ghibellini, ordinò la distruzione di tutte le fortificazioni. La famiglia Suardi, al fine di evitare la demolizione del castello, decise di eliminare le merlature e di ricoprire l’intera struttura con un tetto, rendendola così dimora signorile. Successivamente l'edificio subì altri rimaneggiamenti: vennero ampliate le cantine, operazione rivelatasi poi sfortunata, visto che causò il parziale cedimento a valle della struttura. Nemmeno riguardo l’originale destinazione dell’edificio è possibile dare risposte certe: probabilmente era utilizzato sia con funzioni difensive che residenziali, ma anche come deposito di alimenti. Stando ad alcuni studi dell'attuale proprietario, l'architetto Vittorio Faglia, è possibile ipotizzarne l'origine templare (a tal riguardo, suggerisco questo link: http://www.ecodibergamo.it/stories/Storie%20Dimenticate/388775_nelle_segrete_del_castello_di_bianzano_il_nascondiglio_dei_cavalieri_templari/) : a prova di questo, vi sarebbe il particolare simbolismo utilizzato nell'edificio, oltre che i resti di una merlatura guelfa (mentre i conti Suardi appartenevano alla fazione opposta, i ghibellini). Questi avrebbero utilizzato infatti la struttura al fine di presidiare la zona, al centro di numerosi traffici economici, ma anche per accogliere pellegrini e viandanti. Lo testimoniano il secondo ed il terzo piano, tutti in terra battuta, le sole quattro bifore al piano più alto e i lunghi locali sovrapposti in lato valle. Le bifore sono abbellite da un colonnina in pietra di Sarnico con capitello lavorato, forse di mano Comacina, come ne abbiamo viste parecchie in altri edifici dell'epoca. Collocato in posizione dominante sul versante occidentale della Valle Cavallina, da cui era possibile controllare sia la strada proveniente dalla Val Seriana tramite la Valle Rossa che quella che collegava Bergamo con il Lago d’Iseo e la Val Camonica, offre un’ottima vista sul Lago di Endine e sul Monte Torrezzo. Inserito ai limiti del borgo medievale di Bianzano, possiede una struttura a pianta quadrata, con le diagonali di essa rivolte in direzione dei punti cardinali. Esternamente è protetta da due cinte murarie che formano altrettanti spalti posti su due livelli differenti: la prima ha i lati paralleli a quelli del castello stesso, con piccole torri (solo parzialmente conservate) poste al centro di ognuno di essi, mentre la seconda, di forma irregolare, presenta una torretta ad ognuno dei quattro angoli. L’ingresso è costituito da un’alta torre (25 metri), tuttora efficiente per maestà di costruzione, a base di pietre squadrate, resistenti ai geli della zona montana, scavate sulla montagna sovrastante. Alla base della torre è presente un ciclo di affreschi databili alla metà del XIV secolo, che proseguono anche nell’atrio interno. Tali affreschi furono probabilmente realizzati in poco tempo da una bottega di artigiani, incaricati di abbellire il castello in occasione della visita dei conti Suardi. Ciò è testimoniato dall'assenza del segno di fine giornata, che dimostra che l'affresco fu realizzato senza interruzione di tempo per essere terminato prima della visita dei conti. In questa piccola corte, dotata di un ballatoio su tre dei quattro lati, si trovano altri dipinti rappresentanti le quattro virtù, alcuni putti intenti al gioco e alla danza, nonché alcuni motivi ornamentali costituiti da rombi bianchi e neri, simbolo della famiglia dei Visconti. L'edificio è diviso da una lieve cornice di sasso marrone di Sarnico in due parti: l'inferiore è fatta a bugne. In uno spigolo del castello si riscontrano tuttora alcuni elementi di merlatura guelfa. Il portale è di stile gotico con arco a sesto acuto, dominato dal blasone o stemma nobiliare. Lo stemma della famiglia Suardi, collocato sopra il portale d'ingresso al castello, rappresenta un leone rampante e un'aquila artigliante che azzanna una preda di selvaggina. I colori sono il giallo ed il rosso. Il castello, dopo i restauri degli anni 60/70 a cura dell'attuale proprietario, ex Presidente dell'Istituto italiano dei Castelli, con il supporto della Sovrintendenza dei beni Culturali e delle Belle arti, è in buone condizioni strutturali, è abitazione privata, residenza estiva dei proprietari ed abitato tutto l'anno da una giovane coppia di inquilini/custodi nel piano rialzato all'imbocco della torre. Viene anche impiegato come location per ricevimenti di nozze.


venerdì 26 dicembre 2014

Il castello di sabato 27 dicembre






TORITTO (BA) – Castello Normanno-Della Tolfa

Il nucleo primordiale del Castello di Toritto, sede del feudo Normanno, risale all'anno Mille. L'epoca della fondazione non è certa e sulle varie fasi di costruzione si possono avanzare solo ipotesi. Mancano infatti, anche per la scarsa accessibilità al complesso, studi specifici. Poiché è probabile che l'origine di Toritto risalga all'Epoca Peuceta, non si esclude che la Torre Normanna sia stata costruita su resti classici. Le prime testimonianze dell’esistenza del castello risalgono al 1167. Con il tempo il complesso è stato edificato e ampliato a più riprese. Ma è nel XIII secolo, con la rinascita della vicina Altamura, che Toritto entrò nella sua sfera di influenza economica, giuridica ed ecclesiastica: a quest'epoca risale la riedificazione del castello che si erge sulla piazza Vittorio Emanuele e che era la dimora del Duca. Le prime notizie di una ristrutturazione e conseguente ampliamento si hanno nel 1592 ad opera di Orazio Della Tolfa-Frangipane, duca di Toritto e Grumo (fra i cui discendenti c'è Giovanna Frangipane della Tolfa, madre di Pietro Francesco Orsini eletto papa nel 1724 con il nome di Benedetto XIII). Sino al XIV secolo il castello fu un fortilizio con funzione difensiva, più tardi, come si evince da un documento del 1631, ospitò stalle, cortili, cisterne, appartamenti, mulini, granai e frantoi. Un ulteriore restauro è datato nel 1751 con il duca Caravita. Fino alla fine del XVII secolo passò di feudatario in feudatario. All'unica porta d'ingresso del Castello (su via Carmine) si accede attraverso un ponte in pietra che scavalca il fossato e presenta ai lati due medioevali sculture leonine in granito, aventi tra le zampe delle panelle. Le sculture attestano l'appartenenza di uno dei feudatari all'antico Casato dei Frangipane. La Torre rotonda (inglobata in una costruzione recente) e la Torre Normanna, dichiarata Monumento Nazionale nel 1938, risalgono al X e XI secolo, mentre altre costruzioni, site in via Carmine e in Piazza Castello ed edificate sul fossato del fortilizio, compresa la Torre Merlata, sono di epoca più recente (XV e XVI secolo). Oggi l’edificio appartiene a diversi privati. Solo nel marzo 2006 l'ala a nord ovest, prospiciente le piazza e comprendente la Torre Merlata, è divenuta proprietà della SERFIN, holding del gruppo aziendale barese della famiglia Ruggiero, il cui padre fondatore, Ciro Antonio, da sempre estimatore di beni storico-artistici, ha curato personalmente il necessario e tanto auspicato intervento di risanamento e restauro conservativo dell'immobile.



Foto: la seconda è di Salvatore Ambrosi su http://www.panoramio.com/photo/11087728

mercoledì 24 dicembre 2014

Buon Natale 2014



Cari amici del blog, auguro un buon Natale a voi e ai vostri cari.
Quest'anno la mia attività "castelliera" si fermerà solo nei giorni festivi, dunque da sabato 27 conto di dedicarmi a nuovi castelli di cui divulgare notizie storiche e architettoniche :)

 Valentino

Il castello di mercoledì 24 dicembre






SUBIACO (RM)- Rocca Borgia (o Abbaziale)

La storia della Rocca di Subiaco è indissolubilmente legata a quella dell’abbazia benedettina fondata da san Benedetto da Norcia alla fine del V secolo, e dei suoi potenti abati. La rocca abbaziale fu costruita nel secolo XI, tra il 1073 ed il 1077, dall’abate di S. Scolastica Giovanni V. Fu concepita come castello feudale, allo scopo di instaurare il dominio monastico su Subiaco; per questo sorse sulla cima di una collina, in una posizione dalla quale fosse possibile tenere sotto controllo l’intero castello sublacense e in particolare i ribelli. Fu munita di fortificazioni, carceri, una torre di avvistamento, stanze, appartamenti e una piccola chiesa dedicata a San Tommaso apostolo. La collocazione della Rocca fu decisa anche in modo da tenerla al riparo dai pericoli costituiti dalle numerose piene del fiume Aniene che scorre ai piedi dell’abitato. La costruzione, simbolo del potere dell’abbazia e residenza abituale di Giovanni e dei suoi successori, subì danni a causa del terremoto nel 1349, venne saccheggiata e danneggiata anche dai sublacensi e per molti anni non fu abitabile. La ribellione dei Sublacensi, scatenata in seguito alle repressioni particolarmente feroci sotto il regime dell’abate Angelo da Monreale, arrecò gravi danni allo stabile, tanto da costringere il francese Ademo suo successore, a ritirarsi in quel di Jenne. Anche negli anni a seguire i rapporti con i locali, per la verità mai idilliaci, ridivennero turbolenti per il mal governo dell’abate Guglielmo II. In tale occasione, la tensione tra popolazione e abbazia raggiunse l’acme, determinando l’intervento di papa Calisto III che, udito il resoconto del suo inviato ( il cardinale spagnolo Giovanni Torquemada, zio del celebre inquisitore papale Tommaso), nominò questi “Commendatario” dell’abbazia (16 gennaio 1456), destituendone l’abate. Dopo aver dimorato in un palazzotto presso l’attuale Piazza Pietra Sprecata, il Torquemada si trasferì nella malridotta Rocca, restaurandone una parte che servì anche per dare degna ospitalità al papa Pio II in visita ai monasteri nel settembre del 1461. Nel 1476 l'edificio fu restaurato in modo più radicale dal cardinale Rodrigo Borgia, che lo dotò inoltre di una torre quadrangolare (opera dell’architetto Baccio Pontelli) munita di merlature, feritoie, carceri e trappole, allo scopo di difendere la parte più antica della costruzione. La torre, comunicante con la vecchia fortezza attraverso un corridoio assai angusto e provvisto di trabocchetto, fu l’espressione-sintesi del programma politico del Borgia, che la disse eretta in onore di S. Benedetto, a tutela dei monaci, dei castelli abbaziali e dei confini dello stato pontificio. In tal senso parla un’epigrafe, incassata tuttora nella parte occidentale della torre. Un toro che pascola è lo stemma della sua famiglia, visibile su tre dei quattro lati di essa. Il cardinale e la sua famiglia abitarono nella Rocca e, secondo alcuni storici, qui nacquero nel 1476 e nel 1480 Cesare e Lucrezia Borgia, figli di Rodrigo e della sua amante Vannozza Caetani. Nel 1492, eletto Rodrigo papa con il nome di Alessandro VI, Rocca e commenda sublacense passarono al cardinale Giovanni Colonna, quale compenso del voto datogli in conclave, e per lui alla sua famiglia, il cui dominio si prolungò per 116 anni. La Rocca conobbe i piacevoli ozi e la vita scorretta del commendatario Pompeo, il quale ne fece un baluardo contro papa Giulio II che, censurandone la condotta, gli ordinò di cedere carica e privilegi al cugino Marcantonio. La morte del Pontefice, però, vanificò l’imperativo della Santa Sede. Fu solo nel 1513 che Pompeo, previa assoluzione da parte di Leone X, cedette la commenda al proprio nipote Scipione. Tre anni dopo le truppe di Pompeo attaccarono quelle papali che, per ritorsione, assalirono i feudi Colonnesi tra i quali Subiaco dove bruciarono alcune case e demolirono parte della Rocca. Questa venne completamente smantellata nel 1556 dai soldati di Paolo IV, durante le lotte cruente intercorse tra i colonnesi ed il papato, che catturarono il commendatario Francesco e lo tradussero nelle prigioni di Castel Sant’ Angelo. Rimesso in libertà, questi provvide ad effettuare nella Rocca rilevanti restauri tra i quali un suntuoso appartamento detto, appunto, dei “Colonna”. Nel 1633 la commenda fu affidata da Urbano VIII dei Barberini ai suoi nipoti così che la Rocca per 105 anni rimase al centro degli atti del loro governo autoritario e severo. I Barberini, però, nulla fecero per ingrandirla e fortificarla e quando nel novembre del 1753, Benedetto XIV tolse ai commendatari la giurisdizione temporale, la Rocca cessò di avere ogni interesse feudale ed importanza militare. Nuovo lustro le donarono i lavori commissionati nel 1778 da Pio VI all’architetto Pietro Camporese che, nell’eseguirli costruì la carrabile, il portale, l’androne per le carrozze, l’orologio pubblico apposto sulle mura occidentali, dimezzò la rocca borgiana, eliminò la trappola e le carceri, infine decorò gli appartamenti con pregevoli affreschi. La costruzione divenne così un palazzo moderno, adatto a essere utilizzato come residenza dell’abate commendatario. Vi alloggiarono anche i papi Pio II, Pio VI, Gregorio XVI e Pio IX. L’occupazione napoleonica del 1799 depauperò la rocca di ogni preziosa suppellettile così che, attualmente, i saloni sono adorni solo di affreschi, seppure di notevole pregio. Dopo la soppressione della Commenda (1915) la Rocca abbaziale venne affidata all’abate di Santa Scolastica e non fu più usata come residenza. L’intero complesso architettonico è costituito da tre fabbricati distinti, diversi anche per epoca di costruzione. Salendo al secondo piano dell’edificio centrale, mediante un'ampia scala, si raggiungono le sette camere che costituiscono gli appartamenti Braschi. Gli affreschi che ricoprono le pareti delle prime tre sale riproducono i Castelli Abbaziali, risalgono alla seconda metà del Settecento e sono opera di Liborio Coccetti e dei fratelli Zuccari. Nella prima camera, sobrie decorazioni e fregi sulla volta, in stile pompeiano, nonché interessanti affreschi parietali riproducenti i castelli settecenteschi di Subiaco, Agosta, Affile, Ponza, Marano Equo ed i monasteri sublacensi di 5. Scolastica e del Sacro Speco. Nella seconda camera, quattro porte in stile pompeiano, due delle quali corona coronate da stemmi ad alto rilievo in legno dorato, attraggono la curiosità del visitatore. Sulle pareti sono riprodotti castelli di Gerano, Cerreto, Trevi, Jenne, il convento di San Francesco e la chiesa di San Lorenzo con l’annesso romitorio di Subiaco. Sulla volta, dipinta a cassettoni in prospettiva, due putti sostengono un medaglione con l’effigie di Pio IX, che nel 1853 ne curò i restauri. Un elegante caminetto con la scritta latina “Pius Sextus Pont. Max. Anno III”caratterizza il piccolo ambiente. Nella terza camera sulle pareti, affreschi dei castelli di Roiate, Civitella, Rocca Santo Stefano, Camerata, Cervara e la Maddalena: due stupendi paesaggi, indubbiamente i più belli della serie, l’uno lunare di Canterano e l’altro nevoso di Rocca Canteranoe  Rocca di Mezzo. Gli affreschi di piccole proporzioni che sovrastano le due porte in stile Pompeiano riproducono la chiesa della Valle ed il Convento dei padri Cappuccini di Subiaco. Sulla volta sei putti sostengono la tiara papale le chiavi il giglio e Aquila coronata e due angeli al sorreggono l’effige di Pio VI, stagliata sullo sfondo di un medaglione di colore azzurro cupo. Nella quarta camera, di forma romboidale sulle pareti, fregi e figure mitologiche in stile pompeiano sulla volta, le Virtù della Carità, della Re1igione della Speranza e della Fede. Ai quattro angoli, i quattro continenti: Asia, Africa, America ed Europa;in alto, il trionfo di Pio VI con interessanti particolari ed intrecci di motivi sacri e mitologici. La quinta camera, a cui si accede per un transetto, molto ampia, era la sala del trono dell’abate commendatario. Un tempo le pareti erano letteralmente rivestite di preziosi damaschi rossi ed in quella di fronte al caminetto si ergeva il trono con il baldacchino del cardinale abate tra cornici dorate. Un grande quadro attribuito a Gherardo delle Notti, riproducente la Deposizione, due portantine papali, numerose poltrone barocche nonché sedie settecentesche, davano alla sala una nota di fasto principesco. Oggi rimangono solamente gli splendidi affreschi che decorano la volta, dove l’arte settecentesca seduce in maniera attanagliante.
Il complesso centrale illustra il trionfo di Pio VI, circondato da sette grandi figure allegoriche che rappresentano: la Pace e la Giustizia; la Fede e la Fortezza; la Sapienza, la Purezza e la Prudenza. Sotto il cornicione si ammira una interessante successione di motivi e scene del Vecchio Testamento. La sesta camera è quella che un tempo era adibita a biblioteca del cardinale abate.
Sulla volta sono affrescati il corno dell’abbondanza gli stemmi di Pio VI e Pio IX, putti, aquile e leoni e, nello spazio dell’unica finestra, un baccanale. L’ambiente è poi ornato da un caminetto. La settima camera, divisa in due settori, è quella dell’alcova. Il primo settore, un tempo tappezzato di splendidi damaschi verdi, reca sulla volta motivi mitologici e sacri che coronano il trionfo di Pio VI. Interessantissimi per la finezza della composizione i tre piccoli affreschi della finestra riproducenti Gesù che conferisce il primato a San Pietro; Gesù che cammina sulle acque e San Pietro che risuscita un morto, in mezzo ad un intreccio movimentato di fregi in stile pompeiano. Il secondo settore, dov’era un tempo il letto del cardinale-abate, ha la volta sulla quale spiccano, tra cornici dorate, nove meravigliosi affreschi, un vero poema per la squisita finezza della composizione, per il movimento dei personaggi e per la vivacità e l’intreccio dei colori. Essi riproducono:
  • la crocifissione di San Pietro apostolo;
  • il conferimento del primato;
  • al centro la gloria di Dio e dei Santi con due medaglioni;
  • il discorso della montagna;
  • il martirio di Sant' Andrea apostolo;
  • San Gregorio Magno che serve il pranzo ai poveri;
Dal transetto della sala del trono si scende al primo piano dell’edificio, dove si trovano gli appartamenti Colonna-Macchi e la cappella palatina. Nel salone Colonna, anche detto salone “dei banchetti”, si trova una volta affrescata con al centro uno stemma in pietra del casato. Due affeschi, ricchi di movimento, rappresentano un episodio di storia antica e il trionfo di Marcantonio Colonna reduce dalla battaglia di Lepanto. Nelle sedici lunette sono affrescati gli stemmi della Famiglia, ville, episodi di storia romana. Sotto la tinta delle pareti si intravedono affreschi risalenti alla seconda metà del sec. XVI. Le due sale attigue ripropongono i motivi decorativi del primo salone. Scendendo alcuni gradini si accede alle camere restaurate dal cardinale Luigi dei conti Macchi, ultimo commendatario. La prima reca sulla volta tre putti che sorreggono una scritta latina col nome del cardinale; in una scritta latina con il nome del cardinale; in una parte è incassata una pergamena riproducente una sua lettera datata 1896. La terza sala reca sulla volta cinque stemmi a colori del Cardinale. Si accede, quindi, alla cappella palatina, ottagonale, in stile neoclassico, con presbiterio quadrato. L’altare, di marmi policromi, è sovrastato da un elegante ciborio in marmo giallo tempestato di lapislazzuli e smeraldi. Al centro di una cornice a raggiera, la Madonna del Buon Consiglio, alla quale la cappella è dedicata. Le colonnine neoclassiche sono coronate da capitelli corinzi. Il cardinale Macchi fece restaurare la cappella nel 1899, come ricorda l’epigrafe marmorea sulla porta, coronata da uno stemma del commendatario. Nelle adiacenze, altri locali di relativa importanza. All'interno della Rocca dei Borgia è presente il Museo delle Attività Cartarie e della Stampa. Altri link consigliati: http://www.tibursuperbum.it/ita/escursioni/subiaco/RoccaAbbaziale.htm, http://www.tesoridellazio.it/pagina.php?area=I+tesori+del+Lazio&cat=Rocche+e+torri&pag=Subiaco+%28RM%29+Rocca+Abbaziale+o+Rocca+dei+Borgia, http://www.simbruinastagna.it/v1/luoghi-darte/rocca-abbaziale-dei-borgia/, http://www.subbjacumeo.it/storia-arte-e-cultura/la-rocca-abbaziale-o-dei-borgia/
Fonti: http://www.terredaniene.com/il-centro-storico/la-rocca-abbaziale, http://www.subiacoturismo.it/storia/la-rocca-dei-borgia/ , http://www.simbruinastagna.com/public/news/templates/simbruinastagna_monumenti.asp?articleid=26&zoneid=1
Foto: una cartolina della mia collezione e di anythingbutgas su http://www.panoramio.com/photo/70410990

lunedì 22 dicembre 2014

Il castello di martedì 23 dicembre







CARRARA (MS) – Castello di Moneta dei Malaspina in frazione Fossola

Sullo sfondo delle marmoree Apuane, il Castello di Moneta ancora domina, dall'alto del suo colle (300 m.slm.) la sponda destra del torrente Carrione, a guardia della "foce d'Ortonovo", passo collinare tra le prime vallate liguri e la valle di Carrara, incrocio delle antiche vie di valico, la preistorica "via del sale" per la Lunigiana e la medievale "via pedemontana" per la Liguria. Sito fortificato dei Liguri Apuani, uno sperone sottostante è "Il Castellaro", nel II sec. a.C. Moneta è un "fundum gentis Monetia" della colonia romana di Luni, poi trasformata in "castrum" nel VI sec. dai Bizantini. L'antichissima funzione militare di Moneta prosegue attraverso i secoli e i diversi dominatori fino al sec. XVIII. Poi, nel 1944, truppe tedesche edificarono 2 bunker sotto il vecchio Castello per le stesse esigenze difensive della guerra bizantino-longobarda dopo 1300 anni! Il diruto Castello di Moneta sovrasta la frazione di Fossola, "erede di Moneta", a km. 3 da Carrara. Le prime notizie documentarie su Moneta risalgono al periodo romano: nel II sec. a.C. il colle è registrato nel catasto fondiario di Luni come "fundum cum villa rustica" della gens dei Monetii o Munatii e la proprietà agricola nel II sec. d.C è ancora così registrata nelle "Tabulae de Veleia". Ritroviamo poi nel VI sec. un castrum del limes difensivo dei Bizantini di Luni, dal 643 un castellum dei Longobardi, poi conquistato dai Franchi nel IX sec., rifortificato a protezione della vallata di Carrara dalle devastanti scorrerie di Vichinghi e Saraceni e fortemente conteso tra i Marchesi Obertenghi, Malaspina e Massa-Corsica e Vescovi-Conti di Luni. Tra i pochi documenti diretti rimasti: il primo, esplicito sul "Castrum de Moneta", un rogito notarile di Wilielmus, Gastaldo del Vescovo di Luni, del 9 giugno 1035, la prima menzione, successiva al 29 luglio 1185, dei "Consules Villae Monetae", in contrasto con Pietro, primo Vescovo-Conte di Luni, poi ancora è importante un atto, del 30 luglio 1252, rogato "In vetusta ecclesia Sct.i Isidori Agricolae in Castro Moneta", (tutte nel "Codex Pelavicinus"), mentre del 1313 è la citazione nell'elenco di Arrigo VII :"Rochae quae sunt Romani Imperii : … Castrum Monetae …". La Repubblica di Pisa occupa dal 1301 al 1322, in funzione antigenovese, Carrara, Sarzana e Lerici : Moneta è uno dei principali caposaldi ghibellino-imperiali verso la Liguria e la Lunigiana (ancora tracce delle nuove fortificazioni pisane nel vecchio castrum vescovile, inglobato nel successivo borgo murato del XV sec.). I castellani sono importanti cavalieri di Pisa, la guarnigione è assoldata in Corsica, allora pisana: da qui i cognomi locali ancora esistenti di Pisani (per secoli la famiglia più importante della zona, prima come Conti Pisani, e poi, unica tra la nobiltà di Carrara, divenuti i Marchesi Pisani di Moneta) e quelli di Del Pisano, Soldati, Del Soldato, Corsi, Corsini, del Corso, e i toponimi "Corsesca" e "ai Corsi". Declassata nel 1322-1328 da Castruccio Castracani a difesa locale, la "Rocha de Moneta" è rifortificata nel 1329 dal ghibellino Marchese Spinetta il Grande Malaspina (…forte ho munito la Terra de Casepozi et la Rocha de Moneta….Testamento di Spinetta il Grande, 1 marzo 1352). Nel 1447, Spinetta di Campo Fregoso, nuovo "Dominus Terrae Carrariae, Terrae Laventiae et Castri Monetae" fortifica il suo piccolo Stato, presidio di confine Moneta viene completamente rinnovata: l'antico castrum bizantino-vescovile è sostituito da un rinnovato borgo murato ellittico, difeso da più cinte murarie con robuste torri rotonde, mentre l'antica torre quadrata centrale diviene campanile della nuova cappella castrense. Questo borgo murato, su metà della sommità del colle verso la valle di Carrara, è dominato sul lato ovest dalla nuova possente Rocca, con massicce cortine murarie e uno svettante mastio, a strapiombo su tre lati, con caditoi, bertesche, e un fossato con ponte levatoio, in una poderosa torre, sull'unico lato pianeggiante verso il borgo. Vengono ristrutturate le enormi cisterne sotterranee, alimentate da piccole sorgive locali e integrate, nei periodi di magra, con trasporti d'acqua a dorso di mulo dai torrenti vicini. (Ancora pochi decenni orsono restava, sulla quarta, più interna porta del mastio, la lapide commemorativa del 1455 "MCCCCXXXXXV Questa fortezza fece fare il Magnifico Signor Marchese di Campo Fregoso", ora purtroppo della grande iscrizione marmorea s'è persa ogni traccia!). Nel 1473, tutto il "Vicariato di Carrara" è ceduto a Jacopo Malaspina, Marchese di Massa e nuovo Principe di Carrara, e come le altre fortificazioni locali, escluse le Rocche di Massa e Avenza, anche Moneta perde presto d'importanza militare, per i seguenti motivi:
  1. l'assetto politico-territoriale (il nuovo piccolo dominio dei Malaspina di Massa e Carrara è uno stato-cuscinetto tra la Repubblica di Genova e le terre dei Medici di Firenze e gode di protezione imperiale),
  2. il crescente uso dell'artiglieria (a Moneta sia la Rocca è in funzione di assedi tradizionali, prima dei cannoni, sia l'intera area fortificata risalente all'epoca romana, può essere bombardata da un vicino colle più alto).
Pur in decadenza, Moneta è ancora presa per tre volte : 1483 - mercenari genovesi di Agostino di Campo Fregoso di Sarzana, 1494 - truppe francesi di Carlo VIII, 1545 - truppe fiorentine del Capitanato di Fivizzano. Invece l'importanza del borgo murato risulta da "Statuta Communis Carrariae-Addenda", 1482, e ancora il 29 giugno 1553 con "84 boni homines Monetae" nel giuramento del "Commune Carrariae et Villarum" ad Alberico I Cybo-Malaspina, da Carlo V° il 17 febbraio 1554 investito "Marchese di Massa e Principe di Carrara, Avenza e Moneta", che nel gennaio 1602 scrive: " … Moneta, Castello e Fortezza di stima; son murate la Rocca e la Terra ad uso antiquo; ma tucto ciò resta assai forte … solo de 100 fochi circa, e più Fonthia et Santa Luzia, casali de 60 fochi …". I 100 fuochi di Moneta sono gli oltre 350 abitanti del borgo murato, escluse le truppe del Castello, con "Il Tenente Comandante et la Compagnia di Moneta et Fonthia", con "2 sagri o falconi, 6 moschettoni, 4 archibugioni in posta, 10 bariloni de polvere, 40 libre de micia in 70 gavetoni, piombo in pani", dai "Capitoli delle Milizie di Massa e Carrara",ottobre 1602. Il 12 aprile 1605, c'è l'ultimo scontro di confine per la Rocca di Moneta:100 uomini della vicina Ortonovo, con archibugi, razziano le carbonaie di Fontia e Moneta e si scontrano con la guarnigione del Castello (lettera di protesta di Alberico I alla Repubblica di Genova ). Del 1620 poi è la più antica raffigurazione rimasta del "Castello di Moneta", nel "Corpus di vedute dei possedimenti di Alberico I Cybo - Malaspina", opera del "Pittore di corte", il carrarese Domenico di Justus Utens il Fiammingo. Con il XVIII sec. inizia l'inarrestabile decadenza del Castello, persa ogni funzione militare, e del borgo murato, abbandonato dalle vecchie famiglie importanti che si trasferiscono in pianura e a Carrara, a partire dagli stessi Marchesi Pisani di Moneta ("Libro de'Verbali de Moneta"). Nell’ottobre del 1738 c’è il primo severo bando della Duchessa Maria Teresa Cybo - Malaspina - Este contro l'abbandono e le asportazioni di materiali da Moneta, ribadito il 9 aprile 1749. Tra il 1796 e il 1804 il castello, ormai abbandonato, è venduto a privati dalla municipalità napoleonica di Carrara. Dal 1832 Moneta viene cancellata come frazione autonoma, solo una decina di abitanti resta nel borgo, iniziano i crolli nel castello abbandonato e usato come annesso agricolo. Il terribile terremoto del 1920 provoca nel castello gravi lesioni e ulteriori crolli. Nell’ aprile del 1945, nel corso della battaglia di sfondamento della "Linea Gotica", il maniero subisce ulteriori danni per i bombardamenti U.S.A. contro i due vicini bunker tedeschi. Nei primi anni ’70, dopo una campagna di stampa per il restauro del vecchio castello, dove vive ormai 1 solo abitante, il Corpo Forestale dello Stato e il Comune di Carrara trasformano in rotabile asfaltata la millenaria mulattiera a sasso da Fossola per il Castello. Nei primi anni ’90 il Comune di Carrara, pur senza progetti operativi, acquisisce almeno la proprietà dell'intera area del castello, vi sono però orribili recuperi abitativi "moderni" nel borgo, sparisce uno degli ultimi portali, in macigno e marmo, delle mura. Nel febbraio 2000 il Comune di Carrara stanzia 500 milioni di lire come primo intervento per Moneta e, con Italia Nostra - sez.ApuoLunense, Archeo Club Carrara e Istituto Castelli di Lunigiana, avvia un progetto di restauro e fruizione pubblica del Castello e del borgo murato di Moneta, per ottenere ulteriori finanziamenti della Comunità Europea.

Fonti: testo del Prof. Renato Vita su http://www.castellitoscani.com/italian/moneta.htm

Foto: le prime due da http://www.meravigliaitaliana.it, la terza da http://icastellidelmarmo.it/Moneta.html

Il castello di lunedì 22 dicembre






VERNAZZA (SP) - Castello Doria
 
Situato su un costone roccioso, alto circa una settantina di metri, nella zona costiera a sud di Vernazza, nelle Cinque Terre in provincia di La Spezia, è stato un edificio difensivo e di avvistamento, le cui prime notizie risalgono al XIII secolo. Si ritiene, però, che il primo nucleo risalga all'XI secolo e quindi che fu edificato durante la dominazione degli Obertenghi. In particolare la torre cilindrica, che attualmente sorge al centro della spianata e che è stata restaurata nel corso del Novecento, rappresenta la parte più antica della fortificazione. Nel XII secolo la proprietà sul castello, e del relativo borgo, passò successivamente ai Vescovi di Luni, alla famiglia Da Passano e quindi ai conti Fieschi nella seconda metà del secolo; come Vernazza, fu la stessa famiglia fliscana a cedere la proprietà alla Repubblica di Genova. Occupato nello stesso secolo dai Pisani, nelle operazioni annesse alla battaglia della Meloria, alla quale parteciparono anche marinai e navi vernazzolesi, il castello ritornò in breve tempo nelle mani dei Genovesi, aiutati dalla gente del paese. Questo valse a Vernazza una maggiore indipendenza ed un deputato nella Repubblica di Genova. Il maniero fu, secoli più tardi, sotto il giogo dell'impero francese. Sotto il castello si trova un bastione quadrangolare (il Belforte) che si erge sopra gli scogli all’imboccatura del porticciolo. Di difficile datazione storica, si tende a farlo risalire ai tempi del consolidamento del dominio genovese. Durante le fasi cruciali della seconda guerra mondiale fu adibito a postazione contraerea dai soldati della Germania nazista. Il castello ha una forma irregolare seguendo fedelmente quelle dello sperone di roccia su cui è costruito. L'aspetto attuale è il risultato di secoli di aggiunte e rimaneggiamenti. Secondo un documento risalente al 1470 e ad una mappa del XVIII secolo all'interno del castello vi era una cappella dedicata a San Giovanni Battista della quale però, oggi, si sono completamente perse le tracce. Sempre all'interno del castello, oggi adibito a sede museale ed espositiva, era conservato un cannone in bronzo (riportante la scritta Comunitas Vernatiæ) che fu prelevato dai soldati inglesi e ancora oggi visibile nelle sale del British Museum di Londra.

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Vernazza, http://www.e-cinqueterre.com/vernazza/vernazza-castello.htm, http://www.cec.it/comuni/Vernazza/itluo.htm

Foto: da http://www.liguriaheritage.it e di Christian Balloni dal gruppo Facebook https://www.facebook.com/pages/CASTELLI-ROCCHE-FORTEZZE-in-Italia/308856780344?fref=photo

sabato 20 dicembre 2014

I castelli di domenica 21 dicembre






FOGGIA – Regia Masseria Pantano e Regia Masseria Giardino (sveve)

Nel 1223 la capitale del Regno di Sicilia fu trasferita da Palermo a Foggia, poiché la posizione geografica assegnava alla Puglia un ruolo strategico anche rispetto ai territori dell'Impero. Federico II Federico fu chiamato ai suoi tempi Stupor Mundi (Meraviglia del Mondo) e Puer Apuliae (Fanciullo della Puglia). Il secondo appellativo deriva dal fatto che egli amava molto la Puglia, ed in particolar modo il Tavoliere, Foggia e la sua provincia. A Foggia ad esempio, aveva fatto costruire un magnifico Palatium, edificato da Bartolomeo da Foggia, su cui vi era un’iscrizione (oggi conservata nel Portale di Federico) che recitava: Hoc fieri iussit Federicus Cesar ut urbs sit Fogia regalis sede inclita imp(er) ialis (Ciò comandò Federico Cesare che fosse fatto affinché la città di Foggia divenisse reale e inclita sede imperiale). Qui trascorse molto tempo con la sua corte, che divenne luogo d’incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica. L’imperatore svevo considerava la Capitanata un luogo ideale anche per la caccia e perciò fece costruire altre due importantissime dimore nei pressi della città. La prima, la Domus/Palacium Solatiorum San Laurencii o Pantani, in località Pantano, tra i quartieri Salice Nuovo, San Lorenzo ed Ordona Sud, dove il Guiscardo aveva fatto edificare la chiesa di San Lorenzo in Carmignano, testimonianza visiva, insieme alla Regia Masseria Pantano, della vasta area che occupava la struttura federiciana; essa includeva una residenza signorile, con giardini, vivarium con animali acquatici ed esotici, padiglioni per il solacium. Vi si tenevano serate con fuochi pirotecnici. Il luogo è attualmente un rilevante sito archeologico, oltre che medioevale, anche dauno e neolitico, a pochi chilometri dal centro di Foggia. L' altra dimora del grande imperatore svevo era il Palacium dell' Incoronata, nei pressi dell' omonimo Bosco/Santuario; in questo caso, testimonianza importante della struttura federiciana è la Regia Masseria Giardino, nelle immediate vicinanze della linea ferroviaria Foggia - Potenza; anche questo complesso viene descritto dalle cronache di quel tempo, come tra le dimore più belle e sontuose dello "Stupur Mundi". Entrambe le dimore sono oggi in stato di degrado ed abbandono. Il seguente video mostra le condizioni attuali della Masseria Pantano: https://www.youtube.com/watch?v=tsizRPGBBnQ
In questo secondo video vengono purtroppo documentate le conseguenze di un crollo avvenuto nel 2009 nella Masseria Giardino: https://www.youtube.com/watch?v=pQ6wfrEMmYs
Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Foggia#L.27et.C3.A0_federiciana, http://www.pugliantropica.it/?p=1368, http://www.foggiaweb.net/foggia-e-il-puer-apulie/, http://foggiainguerra.altervista.org/wordpress/2013/07/01/regia-masseria-pantano-lennesimo-scempio-foggiano/

Foto: la prima, relativa alla Masseria Pantano, è presa da http://appuntidistoriadellarte.blogspot.it/2012_07_01_archive.html (di Mario Cobuzzi). La seconda, inerente la Masseria Giardino, è di Francesco Paolo Di Tuccio

Il castello di sabato 20 dicembre






SIRACUSA – Castello Svevo o Maniace (di Mimmo Ciurlia)

Il Castello Maniace sorge sulla punta estrema di Ortigia, a controllo del porto e della città di Siracusa. Nel sito in cui sorge il castello dovettero quasi certamente esistere delle fortificazioni sin dai tempi dei Greci in quanto è strategicamente importante per la difesa del Porto Grande. Il nome “Maniace” deriva da Giorgio Maniace, un generale bizantino che nel 1038 d.C. riconquistò per un breve periodo la città dagli Arabi e portò in dono due arieti bronzei ellenistici, che poi vennero posti all’entrata del Castello stesso. Qualche anno dopo, gli arabi si impadronirono nuovamente di Siracusa e del maniero che tennero fino al 1087 quando furono sconfitti e cacciati dai Normanni. Per tal motivo il castello ha impropriamente conservato il nome del condottiero, resta comunque il fatto che la costruzione sia di origine sveva. Fu infatti costruito per volontà di Federico II, tra il 1232 e il 1240, che ne affidò la realizzazione all'architetto Riccardo da Lentini, in osservanza a precise regole di razionalità, geometria, simmetria. I primi documenti sulla sua fondazione sono le lettere di Federico inviate il 17 novembre 1239 da Lodi a suoi sottoposti collegati alla costruzione del Castello, nelle quali l'imperatore si compiace per la diligenza con la quale Riccardo da Lentini “prepositus aedificiorum segue il castrum nostrum Syracusie” e lo rassicura che la sua richiesta “pro munitione castroum nostrorum Syracusie et Lentiní quam etiam pro Serracenis et servis nostris necessarium frumentum, ordeum, vinum, caseum, companagium, scarpas et indumenta” è stata girata al tesoriere di Messina, il quale provvederà al più presto a fornirlo di tutto l'occorrente. Passato agli angioini nel 1266, venne assaltato ed espugnato dalla popolazione siracusana in rivolta l'11 aprile del 1282. Nel 1302 Federico d'Aragona vi siglò l'armistizio con gli angioini. Nel 1321 ospitò la seduta del Parlamento siciliano convocato per sancire l'eredità del figlio di Alfonso III d'Aragona, Federico III di Aragona. Nel 1325 Pietro II d'Aragona fece riattare i fossati e costruire due forti a supporto del castello. L'attuale pianta della fortificazione presenta una serie di aggiunte successive, tali da stravolgere del tutto quello che doveva essere l'assetto originario. Si giunge al castello attraverso un ponte di pietra che sostituisce l’antico ponte levatoio posto su di un fossato di acqua di mare a difesa tutto intorno alla costruzione. L’edificio è a pianta quadrata, chiuso da un possente muro perimetrale con quattro torri cilindriche agli angoli. All’esterno era visibile un grandioso basamento a scarpa, che è poi andato interrato. L’ingresso al castello è segnato da un portale marmoreo a struttura ogivale, con strombatura. Sopra l’arco domina lo stemma spagnolo, che fu posto nel 1614. Ai lati del portale vi sono le due nicchie, destinate a contenere, su mensole aggettanti, i due arieti di bronzo che ebbero complesse vicende e di cui uno solo superstite è oggi visibile al Museo Salinas di Palermo. Recentemente è stata eseguita una copia dell’originale palermitano, donata dal Rotary Club di Siracusa e che, ultimati i lavori di restauro, verrà ricollocata sulla mensola originaria. Oltrepassata  la porta si entra in un cortile che è il risultato di distruzioni e riedificazioni varie, successive alla costruzione sveva. Le due navate superstiti coperte da volte a crociera, lungo il lato meridionale, sono quello che sopravvive della costruzione originaria. All’interno l’ambiente doveva apparire come un’unica sala scandita da 16 colonne libere, 4 semicolonne angolari e 16 semicolonne perimetrali, che sorreggevano 25 campate, coperte da volte a crociera costolonate, quattro monumentali camini segnavano gli angoli delle pareti. La campata centrale è stata interpretata come cortile a cielo aperto, con vasca centrale. Il carattere strutturale diverso delle colonne della campata centrale, costituite da colonne monolitiche di granito accostate, darebbe credito all’ipotesi scaturita in seguito a recenti esplorazioni, di una campata centrale coperta come le altre, ma più enfatizzata. Agli angoli della sala, i tre gruppi di scale superstiti -  torri sud, nord ed est - sono preceduti e separati dai vani per i servizi da un vestibolo, con volta a botte ripartita in due crociere impostate su peducci a goccia;  nel vano servizio invece, i costoloni della crociera scaricano su peducci con la parte terminale a rilievo, arricchita da figure scultoree varie (leoni affrontati, un telamone, testa raffigurante forse Federico giovane). Le scale sono composte da blocchi monolitici da cui è ricavato il gradino e la porzione di cilindro, la sovrapposizione dei quali determina lo sviluppo del pilastro centrale, elemento portante della scala, e la successione dei gradini con andamento radiale. Le colonne, di forma cilindrica, sono realizzate in pietra calcarea, poggiano su piedistalli poligonali e terminano in capitelli con due, tre e quattro ordini di foglie che, larghe alla base, si richiudono in cima a crochet, dove sono rappresentate scene agresti, figure umane, serpenti. Sopra l’abaco del capitello s’innalzano i costoloni a sezione quadrata ed angoli smussati, elementi caratterizzanti delle crociere della sala: le volte sono ottenute da conci in calcarenite e pietra pomice lavica disposti a spina-pesce e messi in opera con malta. Le pareti mostrano una tessitura muraria a conci sfalsati; anche le semicolonne dei muri perimetrali mantengono inalterato questo tratto, in modo da garantire la connessione e la continuità del paramento murario. In corrispondenza al portale d’ingresso si trova l’uscita posteriore che conduce sulla punta del promontorio. Da questa parte, oltre l’edificio federiciano, nel XVI secolo s’impiantarono le batterie di cannoni, per collegarlo al resto delle fortificazioni cittadine. Nel XVII secolo il Grunemberg dotò l’estremità del promontorio di una difesa a punta di diamante e costruì due semibaluardi nella parte antistante l’ingresso al castello. Infine, in età borbonica, fu costruita la casamatta, recentemente restaurata. E’ noto che l’architetto medioevale usava i numeri pitagorici e i numeri musicali con la stessa confidenza con la quale usava le regole geometriche. Ogni numero era inscindibile dal proprio significato simbolico. A Siracusa è stato usato con insistenza il numero 5 (le crociere) ed il 4 (i lati), ma il 5 non è altro che la somma del 2+3, di due numeri primi della serie di Leonardo Fibonacci. E' la serie di numeri (1,2,3,4,5) che dà ordine all'universo ed alle arti applicate. Federico II stesso ebbe diversi contatti con il Fibonacci, sommo matematico medioevale. La serie di Fibonacci è 1,2,3,5, numeri in cui ognuno è la somma dei due che lo precedono. La scelta delle figure geometriche non è certo casuale. Il quadrato, il 4, nel Medioevo era il numero della terra, della Chiesa rivelata attraverso le 4 virtù teologiche; per gli Orientali 4 erano le sembianze della divinità; per i Greci i famosi 4 elementi primordiali facevano capo alla scuola presocratica. Il cerchio è il simbolo della perfezione che ha inizio e fine in sé, per gli Orientali è il sole e la vita, presso i Greci è il cosmo. Nella pianta del Castello Maniace, leggendo i numeri come simboli, il quadrato rappresenta la terra ed il cerchio il sole. Sotto gli Angioini il maniero divenne patrimonio regio, censito nel 1273 da una commissione di inchiesta che parlava di un Castrum Siragusie. La guerra fra gli Angioini e gli Aragonesi per il dominio del Regno vide il castello opposto a difesa della città. Per quasi tutto il XV secolo il Castello fu una prigione. Nel 1448, dopo uno splendido banchetto tenuto nelle sue sale, il capitano Giovanni Ventimiglia, fece uccidere tutti i convitati, accusati di tradimento. Per questo prode gesto ottenne dal re Alfonso di Castiglia in dono i due arieti bronzei che ornavano sino a quel giorno il prospetto del castello. Alla fine del XVI secolo, nel piano più generale di fortificazione della città, Castello Maniace divenne un punto nodale della cinta muraria, progettata dall’ingegnere militare spagnolo Ferramolino. Nella metà del XVII secolo ulteriori opere fortificate compresero lavori nel castello, di non nota entità. Il 5 novembre 1704, una furibonda esplosione avvenuta nella polveriera sconvolee l'edificio. Brani di crociere e blocchi di calcare vennero lanciati nel raggio di diversi chilometri. Negli anni successivi si apprestò la ricostruzione, che lasciò intatte le parti rovinate dall'esplosione, mentre si crearono tamponature per la realizzazione di magazzini. In età napoleonica il castello rivisse con funzioni militari e venne munito di bocche da cannone. Nel 1838, a salvaguardia dei moti che stavano scatenadosi in tutto il regno, i borbonici di Ferdinando vi innalzarono una casamatta. Il castello venne poi consegnato al Regno di Savoia ed utilizzato fino alla seconda guerra mondiale come deposito di materiale militare. In seguito alla smilitarizzazione dell'area si sono succeduti numerosi lavori di restauro (l'ultimo terminato nel 2010) che hanno riportato la fortificazione agli antichi splendori, diventando oggi uno dei castelli siciliani più suggestivi dell'isola, un vero e proprio simbolo del potere e della genialità dell'imperatore Federico II. L'apertura al pubblico ha permesso lo svolgimento di spettacoli dell'Ortigia Festival ma anche di ospitare il cosiddetto G8 ambientale che ha visto la presenza dei ministri dell'ambiente dei paesi industrializzati.



giovedì 18 dicembre 2014

Il castello di venerdì 19 dicembre






MAROSTICA (VI) – Castello Inferiore dei Della Scala

Costituisce un pregevole esempio di architettura militare. La sua costruzione risale agli anni 1312 e successivi, come quella del Castello Superiore (http://castelliere.blogspot.it/2014/12/il-castello-di-lunedi-15-dicembre.html). Detto anche Castello Da Basso, il Castello Inferiore, di pianta rettangolare e tutto merlato, è un tipico castello-recinto costruito a ridosso di un imponente Mastio. Secondo la tradizione, la costruzione del mastio viene attribuita a Cangrande Della Scala. Questa grande e possente torre fece, secondo alcuni autori, parte integrante nella costruzione del Castello Inferiore successivamente e precisamente al periodo delle realizzazioni di Mastino II Della Scala, quindi dopo il 1339, quando il complesso fortificato venne completato con il recinto quadrangolare e la costruzione di altre strutture chiuse, al suo interno. Dopo la guerra della Lega di Cambrai (1509-1510) il podestà trasferì la sua sede dal Castello Superiore, gravemente danneggiato, al Castello Inferiore. Numerosi ed autorevoli testimoni ci raccontano del Castello Da Basso. Lo storico Matteazzi (1708) ricorda la possente e solida architettura militare capace "a tener lungi un esercito" e la residenza del Podestà "così comoda et decorosa, che altri castelli da me molto vedduti, non hanno la compagna certo". E poi l'inglese H. Brown (1884) che ci racconta che "l'intera facciata è dipinta di rosso, ma un rosso di quattro o cinque tinte differenti, che passano dal chermisino al porpora, dove il dipinto e l'intonaco son molto antichi e resistenti alle intemperie". Infine lo Spagnolo (1907) che descrive l'uso e la distribuzione dei locali che all'epoca ospitavano le carceri (nel mastio centrale), il teatro sociale, le scuole elementari e commerciali, la pretura, l'ufficio postale e la gipsoteca Ferrari. Tutto ciò sino al grande restauro del 1934/135 che restituì al Castello l'attuale immagine. Dal 1935 al 1984 fu sede del Municipio di Marostica e di tutti i suoi uffici. Entrando nel cortile, troviamo a sinistra due affreschi secenteschi di S. Cristoforo e di S. Antonio Abate; il loggiato coperto immette il visitatore nella Sala dedicata alle mostre ed alla Civica Biblioteca. Nel mezzo del Cortile vi è il pozzo, coperto da una grata medioevale, inconsueto per le notevoli dimensioni della sua vera in pietra. Recenti indagini hanno appurato una profondità di 27 metri, ma non è stato ancora possibile individuare il passaggio segreto di collegamento (o una via di fuga) con il pozzo della Piazza. La bifora in pietra collocata sulla parete a ponente del loggiato, proviene dal chiostro del Convento di San Sebastiano. Il grande Mastio domina il cortile ed è ancora avvolto, ma ormai in fase calante, da una edera che esperti botanici hanno catalogato tra le più grandi d'Europa. Alzando l'occhio all'angolo sud-ovest del cortile, è visibile il Posto di Guardia: un osservatorio importante per le guarnigioni del Castello. Al primo piano c’è il Loggiato Superiore, sulle cui pareti sono presenti affreschi del XVII sec., con richiami ad episodi mitologici. I due busti sulla parete sud, sono di Angelo Emo e Giovanni Pesaro. Dodici panche lignee, dell'inizio del '700 ed appartenute a nobili famiglie che per diritto di nobiltà potevano sedere in Consiglio, sono distribuite sui lati del loggiato. Sul lato a sud, vicino allo scalone d'accesso, troviamo una pietra tombale della nobile famiglia Tavola, ora scomparsa. Una curiosità: sulla parete ad est si può leggere l'iscrizione "PO-CHI-TE-GE-A-I", è un rebus di Canto Gregoriano che si presta, almeno, a due soluzioni "Solo chi è Re può essere Re" oppure "Solo chi è Re può regnare". Nella sala più importante del Castello (Sala del Consiglio), ancor oggi vi si tengono le sedute del Consiglio Comunale. Venne costruita dal Podestà Marino Nadal (1662-1663) come cappella privata. Le pareti sono interamente affrescate ed un coro ligneo di epoca settecentesca, recuperato da una Chiesa in demolizione, attornia tre lati della Sala. Vi è poi la Saletta delle Armi, con un interessante il fregio che perimetra il soffitto a motivi di scacchiera in bianco e nero: un ricordo perenne della famosa tradizione di Marostica. Nella Sala d'onore, ambiente di rappresentanza del Castello - un tempo sede dei Podestà della Serenissima Repubblica di Venezia - sono conservati il Gonfalone ufficiale della Città di Marostica, con il leone rampante sulla rocca, ed un affresco del XVI secolo. La vicenda della Partita a Scacchi risale al 1454 quando Marostica era fedelissima alla Repubblica Veneta. Avvenne che due nobili guerrieri, Rinaldo d'Angarano e Vieri da Valtonura, si innamorarono della stessa fanciulla, la bella Lionora, figlia di Taddeo Parisio, castellano di Marostica. Pertanto, com'era costume di quei tempi, i due si sfidarono a duello per conquistare il diritto di sposare Lionora. Ma il castellano, che non voleva inimicarsi i due calorosissimi guerrieri e perderli in duello, proibì l'incontro rifacendosi ad un editto di Cangrande della Scala e decidendo, invece, di disporre una partita al nobile gioco degli scacchi con la quale avrebbe dato in sposa Lionora al vincitore, riservando allo sconfitto la mano della figlia minore Oldrada. L'incontro si sarebbe svolto in un giorno di festa nella Piazza del Castello da Basso o Inferiore, con personaggi armati delle nobili insegne dei Bianchi e dei Neri con le antichissime regole e la cerimonia che la nobile arte comandava, in presenza del Castellano, della sua figlia, dei Signori Angarano e di Vallonara, dei nobili e del popolo. Decise anche che la sfida fosse ornata da una sfilata di uomini d'arme, di fanti, di cavalieri, con fuochi e luminarie, danze e suoni. Ecco dunque scendere in campo gli armati: erano arcieri e alabardieri, fanti schiavoni e cavalieri, il castellano e la sua nobile corte con Lionora trepidante perché segretamente innamorata di uno dei contendenti, la fedele nutrice, dame e gentiluomini, l'araldo, il capitano d'armi, falconieri, paggi e damigelle, vessilliferi, musici, massere e borghigiani e poi ancora i Bianchi e i Neri con Re, Regine, torri e cavalieri, alfieri e pedoni, e i due contendenti che ordinavano le mosse; tripudio infine per la vittoria, fuochi e luminari secondo l'ordine del castellano. Madonna Lionora aveva segretamente fatto sapere al contado che il castello da Basso sarebbe stato illuminato di candida luce se avesse vinto il cavaliere di cui era innamorata, affinché tutti potessero partecipare alla sua gioia. E' così ancor oggi tutto si ripete come la prima volta, in una cornice di costumi fastosi, di parate. I comandi alle milizie vengono tuttora impartiti nella stessa lingua della "Serenissima Repubblica di Venezia". La Partita a Scacchi a personaggi viventi viene giocata a Marostica sulla Piazza, che costituisce una gigantesca scacchiera, il secondo venerdì, sabato e domenica di settembre degli anni pari. Per approfondire, consiglio la visita del seguente link, con molte altre informazioni sul maniero: http://www.bassanodelgrappaedintorni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=389:marostica-citta-murata-il-castello-inferiore-il-gioiello-di-marostica&catid=129:marostica&Itemid=239


Foto: una cartolina della mia collezione e di Luca Trattenero su http://www.nonsoloelicotteri.com/aereeveneto.htm