sabato 8 novembre 2014

Il castello di domenica 9 novembre






MINERVINO MURGE (BT) – Torre Del Balzo e Castello normanno-Pignatelli

Secondo la leggenda, Minervino Murge, venne fondata nel 216 a.C. quando alcuni legionari romani, scampati alla battaglia di Canne, trovarono riparo sulle Murge. Qui s'innamorarono delle pastorelle del luogo e decisero di rimanerci, celebrando i riti nuziali in una grotta che loro stessi dedicarono alla dea Minerva (l'attuale grotta di San Michele). Più volte devastata da incursioni saracene, se ne ha la prima precisa menzione in documenti dell'XI secolo. Appartenne ai principi di Taranto nel XV secolo e nel 1508 fu concesso da Ferdinando il Cattolico al conte Forti Onorati d’Aragona. A titolo di principato fu poi dei Pignatelli nel XVI secolo, poi appartenne ai Carafa ed ai Tuttavilla. Fra i monumenti più significativi di Minervino certamente la torre occupa un posto importante. Nel 1454, alla morte di Gabriele Orsini, duca di Venosa, che era anche barone di Minervino, la città fu ereditata dalla figlia di costui, Maria Donata, che era sposata a Pirro Del Balzo, figlio di Francesco, duca di Andria. Fu proprio il Del Balzo che fra il 1454 e il 1462 costruì la torre su una delle ultime colline nord-occidentali della Murgia. Essa nacque come osservatorio: infatti, sul muro esposto a ponente esisteva una lapide senza data, la cui iscrizione ne precisava la destinazione. La trascrizione della lapide è "CONSTRUIVIT IN SPECULA DUX HUIUS TERRAE DEL BAUCIA PIRHUS". Al di sopra di essa era stato anche posto uno stemma in marmo dei Del Balzo, una stella a diciassette punte, che evidentemente dovette essere asportato, in data imprecisabile, nel corso di uno dei numerosi scempi che la torre ha subito nei secoli. Si tratta di una costruzione massiccia a pianta circolare con un muro spesso circa tre metri, a diversi piani che comunicano tra loro non con scalinate costruite ma con scale mobili di legno, per ovvi motivi di difesa. All'esterno era circondata da un bastione a pianta quadrata, che costituiva la sua prima difesa. Fra la torre e questo muraglione esterno lo spazio era in gran parte sgombro, con piccole costruzioni addossate al muro del bastione; in esse si riparavano uomini e cavalli e venivano depositati carriaggi ed altro materiale. Passata l'epoca eroica della torre, tale spazio fu utilizzato dai pastori del luogo come rifugio per i propri armenti. Il bastione esisteva ancora nel XVII secolo e non si sa quando e perché sia stato demolito. L'attuale proprietario della torre è don Luigi Gravina. Originariamente la costruzione era isolata, fuori dell'abitato, e così rimase per molto tempo, sino a quando verso la fine del XVII secolo il paese non cominciò ad estendersi verso Sud, occupando la collina dove essa è posta. Attualmente, soffocata tutt'intorno da altre costruzioni addossate ad essa e sfregiata in molte sue parti, è appena visibile il suo corpo superiore. Sulla sua sommità un chiosco, costruito in epoca recente, costituisce una prova evidente di cattivo gusto e scarsa considerazione per l’antico monumento cittadino. La Torre è legata a vari episodi della Storia del Meridione. Il più importante avvenne nel 1462. Nel 1458, con la morte di Alfonso d'Aragona, il Reame era andato a suo figlio Ferdinando. Costui, considerato molto diverso dal padre, era inviso a molti dei Baroni, fra cui primeggiava Giannantonio Orsini, figlio di Ramondello, Principe di Taranto. Orsini, per il prestigio goduto nel regno, non riscuoteva molte simpatie da parte del nuovo re, che aveva anche tentato di sminuirne la potenza sottraendogli alcuni baronaggi. Capeggiati appunto dall'Orsini, nel 1459, una parte dei feudatari che avrebbero volentieri visto al posto di Ferdinando un d'Angiò, ebbero contatti con Giovanni, figlio dell'ultimo Re di Napoli di quella casata, Renato, spingendolo a tentare di rientrare in possesso del Reame. Cominciò allora quella guerra, descritta cosi minuziosamente dal Pontano, alla quale non furono estranei anche il Pontefice e lo Sforza. Ed è particolarmente dal Pontano che apprendiamo le vicende di questa guerra, che riguardano Minervino. Nel 1462 Giannantonio Orsini corse ad assediare Andria, il cui barone, Francesco Del Balzo, cognato del Re, gli resistette per ben 49 giorni, aiutato anche dal figlio Pirro, duca di Minervino. Stremata dalla resistenza prolungata, infine la città si arrese. La notte precedente però Pirro era riuscito a fuggire per evitare di trovarsi il giorno dopo in presenza dell'Orsini, che aborriva particolarmente. Questo gesto irritò maggiormente il principe di Taranto. In Minervino intanto un tumulto era scoppiato e la città era passata alla fazione dell'Orsini, che mandò dei messi per prenderla in consegna. La duchessa, Maria Donata, trovò scampo con i figli e una parte dei suoi fedeli nella torre costruita da poco, dove si rinchiuse in attesa dei rinforzi già promessi dal Re mentre il palazzo baronale fu invaso e saccheggiato. Dopo la presa di Andria il Principe Giannantonio si diresse quindi alla volta di Minervino, ostinato a voler punire Pirro, che gli era già sfuggito la prima volta. Ma Pirro non era qui. Maria Donata non volle cedere alle intimidazioni dello zio (Giannantonio Orsini era fratello di suo padre Gabriele, duca di Venosa) e rifiutò di arrendersi e di consegnare la Torre nelle sue mani. La Duchessa, pur essendo incinta e prossima al parto, dimostrò in questa vicenda una forza d'animo eccezionale che ricorda quella di Caterina Sforza, assediata nella rocca di Forlì. Furono vane le intimazioni, le minacce, le preghiere. Orsini allora approntò tutto il necessario per espugnare la Torre. La costruzione, massiccia e non facilmente espugnabile, resisteva e contro di essa, secondo il Gollenuccio, furono tirate 109 cannonate che la danneggiarono sensibilmente. Alla costanza e all'ostinazione degli attaccanti si rispose con eguale coraggio e tenacia da parte dei difensori, animati dalla fierezza di questa donna eccezionale. Il Principe, maggiormente irritato da questa resistenza inattesa che ritardava l'esecuzione dei suoi piani, raddoppiò gli sforzi. Continue minacce dì rappresaglie feroci, di stragi, di supplizi, che sarebbero seguiti in mancanza di una resa immediata, venivano gridate di notte ai difensori. Una mattina, svegliandosi, la Duchessa inorridì nel vedere davanti alla feritoia della sua stanza un corpo tagliato a pezzi appeso ad una pertica issata dagli assedianti durante la notte. Intanto la gravidanza di Maria Donata stava per concludersi. Avendo avuto notizia di ciò, Orsini divenne più mite nei riguardi della nipote, non sappiamo se per affetto o per calcolo, e prese ad inviarle giornalmente del vitto adatto al suo particolare stato di salute. La resistenza si rivelava di giorno in giorno più insostenibile. La Torre aveva sofferto gravi danni dalle artiglierie, che avevano sventrato il bastione esterno, le riserve di viveri erano ormai esaurite, mentre sempre più inconsistenti si prospettavano le speranze di ricevere rinforzi. A tale situazione disperata si aggiungeva lo stato della duchessa già afflitta dalle doglie del parto. Sperando nella clemenza dello zio per sé e verso quelli che le erano stati fedeli e l'avevano seguita nella Torre, Maria Donata infine si arrese. Spogliata di quasi tutto quello che aveva con sé fu mandata con i suoi figli a Spinazzola, mentre con quelli che le erano stati fedeli, dice il Tarantino, il Principe Orsini fu spietato, perché ''dicea che essi dovevano rendersi subito e non ubbidire a una Donna in cosa che non potea avere buon fine per loro": li fece impiccare tutti ai merli della Torre. Conclusa questa impresa il Principe si affrettò a recarsi ad assediare Canosa, sperando che una volta presa questa città avrebbe potuto facilmente conquistare Barletta e impossessarsi di tutti i territori al di qua dell'Ofanto. Dopo pochi mesi, nel dicembre dello stesso anno 1462, Giannantonio Orsini fu strangolato nel Castello di Altamura, pare per ordine di Re Ferdinando che, dimentico di quanto Maria Donata aveva fatto, si comportò ferocemente contro il marito di lei, Pirro. Infatti, nel 1485, dopo la famosa Congiura dei Baroni contro di lui nella quale Pirro aveva avuto una parte in primo piano, il Re finse di perdonare i congiurati e li invitò a convito proprio per sanzionare la fine del dissidio. Durante il banchetto però li fece prendere e sgozzare. I loro corpi, chiusi in sacchi, furono buttati in mare. Altri episodi riguardanti, sia pure marginalmente la Torre, avvennero in seguito. Nel 1502, durante la guerra fra Francesi e Spagnoli per il possesso del Regno di Napoli, i primi occuparono Minervino. Nell'aprile dello stesso anno, appresa la notizia della conquista di Bisceglie da parte di Consalvo di Cordova, i Minervinesi decisero di parteggiare per gli Spagnoli. Allora il Gran Capitano mandò subito delle truppe per eliminare il presidio francese che si trovava nella Città. Costoro all'arrivo degli Spagnoli si chiusero nel Castello e nella Torre, ma furono immediatamente isolati. Erano sul punto di arrendersi, quando improvvisamente giunse Luigi d'Ars, capitano francese, con trecento cavalieri e quattrocento fanti con l'intento di liberarli. Ne seguì un violento combattimento con perdite gravi da ambo le parti. Alla fine i Francesi riuscirono a rilevare i presidi assediati nel castello e nella Torre, ma non potendo fronteggiare gli Spagnoli, che erano sensibilmente superiori di numero, si ritirarono verso Venosa. Poco tempo dopo però i Francesi, che si trovavano in Melfi, Lavello, e Venosa, in una delle loro puntate offensive, ripresero Minervino, provocando vari e gravi danni al suo territorio e a quelli vicini di Spinazzola e Montemilone. Intanto i pastori transumanti d'Abruzzo non volevano condurre i loro armenti a svernare in Puglia per timore dei danni che avrebbero potuto ricevere dagli Spagnoli che erano in Barletta e in Andria. Allora il comandante Generale dei Francesi, Duca di Nemours, si offrì di proteggerli e di risarcire gli eventuali guasti subiti. A questo scopo rinforzò i presidi francesi in Cerignola, Canosa, Minervino e Spinazzola. Per essere più pronto ad intervenire pose il suo quartiere generale in Minervino. Qui infatti si trova il Duca quando avvenne la famosa Disfida, detta di Barletta. Successivamente la Torre servì in talune circostanze come luogo di presidio di soldati, che la utilizzarono anche come osservatorio ma non consta sia stata teatro di altre vicende storiche.
Il Castello di Minervino Murge sorge sul margine del paese, sulla sommità della collina più a nord, in chiara posizione difensiva. La piazza antistante è ora denominata “A. Moro” (già Trento e Trieste), ma la gente, da sempre la intende anche coma piazza “Castello”. La costruzione dell'ala più antica del castello risale all’epoca normanna, presumibilmente nel 1042 e fu terminata agli inizi del 1300, come attestato da uno stemma del feudatario Giovanni Pipino posto all'ingresso di una torre negli ambienti che oggi ospitano il Museo Civico Archeologico. Dopo essere stato utilizzato per secoli come fortezza (in particolare ricordiamo gli assedi e le battaglie del 1341 e del 1350 tra la famiglia dei Pipino e quella dei Del Balzo) il Castello conobbe nella prima metà del 1600 una serie di profonde modifiche ad opera dei Principi Pignatelli, feudatari tra il 1619 e il 1657, che lo trasformarono in una lussuosa dimora, aggiungendo tutto il corpo anteriore e la facciata, che un ampio cortile separa dalla parte normanna. In questo periodo fu costruito un corridoio interno che collegava il castello alla chiesa di San Francesco (oggi chiesa di Sant’Antonio o del Purgatorio), al fine di far assistere alle funzioni religiose i componenti della nobile famiglia all'interno della struttura protetta. L'utilizzo continuato sino ai nostri giorni del castello, ha portato a modificare sostanzialmente la struttura, si pensi che sino all’inizio degli anni ’70 il castello era sede del Municipio, della Pretura, del Commissariato di P.S., della Stazione Carabinieri e del carcere mandamentale. Oggi è sede del Municipio, del Museo archeologico, dell’Ufficio del Il Giudice di Pace ed ha, ancora intatti ( sono stati dismessi da sette-otto anni), gli ambienti del carcere mandamentale. L'utilizzo continuato sino ai nostri giorni del castello, ha portato a modificare sostanzialmente la struttura al punto che oggi, al suo interno, non conserva alcuna di quelle decorazioni che dovevano certamente abbellirlo.
Foto: quella della torre da http://www.sipuglia.com, quella del castello è di Mimmo Pazienza su http://www.panoramio.com

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