domenica 19 gennaio 2014

Il castello di domenica 19 gennaio






ENNA – Torre di Federico II di Svevia

Posta in cima a un dosso dell'altopiano di Enna, a oltre 950 m d'altitudine, rappresenta, assieme al Castello di Lombardia, il maggiore simbolo architettonico della città un tempo chiamata Castrogiovanni (che grazie all'antichissima fortezza erettavi tremila anni or sono dai Sicani, fu definita dai Romani l'Urbs Inexpugnabilis), nonché il suo più imponente baluardo militare dell'età medievale. Essa fa parte del complesso militare chiamato “Castello Vecchio”, di cui oggi si hanno alcuni resti. Sia il castello che la torre erano le "vedette" l'uno del settore orientale della mitica città imprendibile dell'epoca, l'altra di quello occidentale, a quel tempo disabitato. A collegarli fu attiva per lunghi secoli una suggestiva galleria scavata nella roccia sotto la città, che, avendo ingresso (oggi chiuso per ragioni di sicurezza) al Castello di Lombardia, sbuca sul dosso sul quale si eleva la Torre: una funzione militare d'indiscutibile rilievo, cui subentrò, nel 1943, quella di rifugio ideale e al limite del leggendario per il popolo ennese che cercava rifugio dai bombardamenti alleati. La torre fu progettata alla corte di Federico II, secondo tradizione fu un'opera di Riccardo da Lentini e residenza estiva dell'imperatore svevo, prediletta dal sovrano durante le sue permanenze in Sicilia, che ivi convocò il primo Parlamento Siciliano, evento replicato nel '400, due secoli più tardi. Le sue origini, secondo recenti studi, risalgono alla metà del XIII secolo, ovvero all'età di Manfredi, fattore quest'ultimo che avvalora la tesi che a volerla e ad abitarvi fu il Federico svevo piuttosto che l'omonimo aragonese. Altro argomento a sostegno dell'origine sveva del monumento è l'inconfondibile impianto geometrico che caratterizza gli altri castelli di Federico II di Svevia, di cui la Torre di Enna a detta di numerosi esperti, è un mirabile esempio. La lunga storia della torre federiciana, oggi di proprietà demaniali, rimane quasi interamente sconosciuta. Durante la sollevazione del 1354, contro re Federico II d'Aragona, sappiamo che venne utilizzata quale sicuro rifugio dai partigiani del Chiaramonte. Re Martino poi ne creò castellano tale Filippo Polizzi che succedette ad Antonio Grimaldi ed in seguito (1457) il Re Alfonso V d'Aragona la assegnò al cittadino ennese Pietro Matrona, creandolo castellano, con tutti gli onori ed oneri della carica, ma riservandosene i diritti reali. L’edificio ha rivestito in passato una funzione di primissimo piano come punto di riferimento geodetico per tutta la Sicilia. Fonti storiche accertano che gli antichi astronomi abbiano disegnato proprio dalla cima della Torre ennese il sistema viario siciliano nonché la suddivisione amministrativa vigente nel medioevo, nelle tre "valli". Un altro aspetto carico di significato simbolico che aleggia sulla severa struttura, riguarda la disposizione delle sue feritoie, che, assumendo un tracciato a croce latina, rappresenterebbero ciascuna antichi castelli e rovine della Sicilia. La torre è un perfetto prisma ottagonale con larghezza massima m 17, lati di m 7,05 ed altezza attuale (la torre è capitozzata) di m 27,30; l’esterno è realizzato in apparecchiatura di blocchetti calcarei regolari alti circa 25 cm. La forma ottagonale, non casuale, è derivante dalla rotazione di un quadrato che rappresenta la rosa dei venti. Alla distanza di 21 metri la torre è circondata da una cinta muraria anch’essa a pianta ottagonale della quale si sono conservati solo alcuni tratti. Delle otto facce del solido geometrico solo due appaiono totalmente cieche. Le altre sono animate da monofore e feritoie (sette sono allineate verticalmente lungo tutta la parete in corrispondenza dell’originaria scala a chiocciola interna) e da due ampie e bellissime finestre con cornici a bastoni spezzati che si aprono al piano nobile rispettivamente sul lato nord-nord ovest e sul lato sud-sud est. L’accesso all’interno è possibile mediante una porticina archiacuta al piano terreno (lato sud-sud est) ma doveva avvenire normalmente mediante una porta aprentensi in corrispondenza della scaletta interna, fra la seconda e la terza feritoia, alcuni metri in elevato rispetto al piano di calpestio. All’interno la torre è suddivisa in tre piani, l’ultimo dei quali tronco e privo di più di metà dell’elevato e quindi della copertura. il piano terreno è costituito da un’unica stanza ottagona illuminata da tre monofore strombate e coperta da volta ad ombrello con costoloni ad angolo abbattuto poggianti su mensole a piramide rovesciata con cornice, scozia fra due tori, listello abaco e peduccio. La stanza rimane, come scrisse l'Agnello, «anche nelle giornate luminose in una penombra che accresce la solennità del luogo». Al centro di detta stanza una apertura circolare sarebbe stata l'ingresso di un lungo sotterraneo che lo avrebbe collegato con il poderoso castello di Lombardia. Si ripete all’interno il paramento in blocchetti tendente all’isodomia. La scala a chiocciola di collegamento con il primo piano è inserita negli spessori delle pareti ovest-sud ovest; scomparsa nel XVIII secolo la scala originaria, essa è stata ricostruita in calcestruzzo. L’ambiente del piano nobile è realizzato in analogia con il piano terra: è un vano ottagonale con volta ad ombrello costolonata poggiante però, questa volta, su semicolonne con basi ioniche e capitelli - molto rovinati - a foglie. L’ambiente è illuminato dalle due grandi finestre con cornici a bastoni; questo tipo di decorazione, che nel passato aveva fatto datare queste aperture al XV secolo, si ritrova in realtà come segnalato di recente da Bellafiore - anche a Castel del Monte e può quindi rientrare nel repertorio decorativo dell’architettura sveva. Nel lato nord-nord est è ricavata, in un ambiente a gomito, una latrina. Il vano della terza elevazione, anch’esso ottagonale e accessibile sempre mediante la scaletta a chiocciola, si presenta cimato ad un’altezza di circa 3 m. La presenza dell’imposta nascente di quattro costoloni disposti secondo i punti cardinali permise ad Agnello di ipotizzare una copertura a volta emisferica con oculo vuoto al centro: il recente ritrovamento della serraglia fra le macerie del piano semidistrutto fa però escludere l’ipotesi affascinante di un ultimo piano aperto a mo’di specola. È indubbio il fascino di questo edificio costruito in quello che era considerato il centro della Sicilia e con pianta ottagonale, com’è ben noto, dalla forte valenza simbolica. Evitando in questa sede qualsiasi possibile speculazione su questo aspetto del monumento, si sottolinea soltanto come donjons ottagonali o comunque poligonali siano relativamente frequenti in Francia, Inghilterra, Germania ed in particolare nel Kernland degli Staufen, l’Alsazia fra XII e XIII secolo. Si ritiene che gli influssi orientali siano, nel torrione di Enna, inesistenti. Esso è piuttosto uno splendido donjon di tipo nordico piantato quasi nel centro geografico dell’isola. L’ambiente naturale, lo stesso clima di Enna esaltano ancora di più, per molti giorni l’anno, il fascino settentrionale della torre. Immersa spesso nella nebbia, a volte visibile solo a distanza di pochi metri, essa è realmente un frammento di Europa gotica caparbiamente ancorato all’acrocoro roccioso di Enna. Secondo una leggenda, vi é una notte ben precisa, ogni anno la stessa, in cui si può sentire Federico II lanciare il suo cavallo al galoppo lungo il viale antistante la torre. La galoppata si protrarrebbe per circa un chilometro e lo scalpiccìo prodotto dal cavallo sarebbe nettamente udibile in tutta la sua imponenza per poi attenuarsi con una decelerazione e rientrare alla torre al passo. Gli zoccoli del cavallo battono ritmicamente sull'asfalto facendo presumere una corsa sfrenata a briglia sciolta. Nessuno ha mai visto questo fantasma, ma il fenomeno è stato udito da più persone contemporaneamente anche in tempi recenti. Per ulteriori approfondimenti segnalo il seguente link: http://digilander.libero.it/ipercultura/torre-enna.htm


Foto: da iccd.beniculturali.it e una cartolina della mia collezione

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