giovedì 21 giugno 2012

Il castello di giovedì 21 giugno




CROSIA (CS) – Castello di Mirto del Barone Mandatoriccio

Durante il periodo feudale, Crosia fu dominio di 33 feudatari, tra i quali i più importanti furono i Matteo, i Cariati e i Sambiase. Nel 1596 il Barone GiovanMichele Mandatoriccio (nato a Rossano nel 1570 e 1° Barone di Crosia) acquisto' da Laudomia Grisara anche il fondo Mirto, che insieme alla Mastrodattia di Caloveto fruttava 800 ducati all'anno. Due anni dopo ingrandì il feudo con l'acquisto da Vespasiano Spinelli della baronia di Calopezzati per 25.500 ducati. Al nobile sembra dovuto il cambio di titolo dell'arcipretura, da lui dedicata a S. Michele Arcangelo, mentre, certamente fino al 1596, come si evince da un Regesto Vaticano, era intitolata genericamente a S. Angelo. Gli atti del notaio Francesco Greco di Bocchigliero, fanno riferimento a una torre di origine normanna con frantoi, che costituiscono il primo nucleo dell'attuale masseria, meglio nota come castello, ubicata sull'altura della frazione di Mirto e fatta edificare dal Mandatoriccio all'inizio del 1600. Le motivazioni che hanno portato il Barone ad edificare, se pur in diverse fasi, tutte quelle strutture, sono da ricercare nelle esigenze del grosso feudo di Crosia (del quale facevano parte Calopezzati, Caloveto, Campana, Mandatoriccio, Bocchigliero e Pietrapaola) le cui attività erano prevalentemente agricole. La vastità dei territori impiantati ad uliveti, determinava una produzione d'olio per centinaia di quintali, gran parte del quale veniva esportato ed ecco la necessità di impiantare le strutture per lo stoccaggio oltre al frantoio per la molitura delle olive. La produzione massiccia di cereali e la loro commercializzazione impose la costruzione di enormi magazzini non solo sotto il palazzo baronale di Crosia ed a Calopezzati, ma soprattutto a Mirto, che era il cuore delle attività. Tutto ciò, oltre alla mania delle cose in grande, che era caratteristica del barone, fece nascere attorno alla vecchia torre diversi nuovi edifici: la dimora padronale ancora oggi visibile, l'abitazione del fattore, le case per il personale di servizio e per gli operai salariati, le rimesse e le stalle, i magazzini ed un grande locale dove trovavano posto i lavoratori stagionali. Venne costruita anche la sala degli "ordini", così chiamata perchè vi venivano impartiti gli ordini per il giorno successivo dal fattore. Il castello aveva una cappella all'interno del cortile padronale (ormai diruta), presso la quale nel 1635 il Duca ottenne uno speciale indulto papale. Le necessità crescevano con l'ingrandirsi del feudo e sorgevano nuove costruzioni attorno alla corte, finché la struttura assunse le dimensioni e l'aspetto attuale, in fase di degrado. Presenta una pianta rettangolare e l'accesso è garantito da due porte ad arco; una grande scalinata è sormontata dallo stemma nobiliare caratterizzato dall'immagine del Drago; le stanze per la residenza sono venti. Morto Francesco Mandatoriccio senza figli (1676), il feudo passo alla sorella Vittoria e per essa al marito Giuseppe Sambiase. L'imponente struttura fu anche teatro dei tragici fatti della "restaurazione borbonica" del 1799. Nei pressi della "Cibbia" del giardino è ancora visibile il muro del martirio degli antiborbonici. L'imponente torrione con la finestra dalla quale Francesco Ruffo assisteva all'esecuzione dei ribelli (Pasqua 1799).

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