sabato 30 giugno 2012

Il castello di sabato 30 giugno




TEOLO (PD) – Castello di Speronella

Sulla cima del Monte Pendice si trovano i ruderi della medievale Rocca Pendice (detta anche Castello di Speronella), mai espugnata, uno dei pochi castelli europei eretti per volontà di uomini liberi, i cosiddetti "comitati". Ceduta dal Vescovo di Padova nel 1161 al Barbarossa, fu fortificata ulteriormente dal conte Pagano, legato all'imperatore. Qui egli avrebbe rinchiuso a scopo nuziale la giovane Speronella dei Delesmani, figlia di Uberto e Mabilia di Rolando, della quale si impadronì la leggenda trasformandola in eroina della libertà comunale contro il vicario dell'imperatore, che fu poi cacciato. A liberare la fanciulla nel 1165 furono i nobili padovani guidati da Iacopino da Carrara, che assediarono e distrussero il castello, in seguito ricostruito e cinto da doppie mura proprio dai Carraresi. La fortezza rivestì un ruolo importantissimo nel XIV secolo nelle guerre tra signorie. Con l'avvento della Serenissima Repubblica di Venezia (1405) venne trasformata in prigione di stato. Divenne poi luogo di villeggiatura della famiglia Orologio (eredi del costruttore dell'orologio di piazza Signori a Padova) che vi costruì (1605) una casa ed una cappella, iniziata da Gaspare Orologio che, durante i lavori, morì precipitando dall'alta parete rocciosa. Dopo questa tragedia, il castello venne definitivamente abbandonato e lasciato in rovina. I suoi ruderi, rimangono diversi muri ed una parte della torre, situati poco sopra alla palestra di roccia, sono uno dei posti più incantevoli dei colli euganei. Inutile dire che il luogo evoca antichi presagi e che sia davvero suggestivo, da molti ritenuto anche abitato da spettri.

Il castello di venerdì 29 giugno





VALLE AGRICOLA (CE) – Torre dei Pandone

Per secoli Valle Agricola appartenne alla Baronia di Prata, tanto da essere chiamata Valle di Prata, e ne seguì la storia feudale. Del resto, la costante minaccia alla quale era esposto il feudo di Prata Sannita, dal lato orientale, cioè dal lato di Valle Agricola, imponeva ai dominanti di allora un'adeguata difesa su quel fianco. Per questo motivo venne edificata una fortezza che doveva fare da sbarramento ad ogni facile impresa di conquista di feudatari rivali. Essa aveva forma rettangolare ed era munita di quattro fortissime torri, due delle quali sono scomparse in epoca assai remota mentre i ruderi della terza si sono potuti ammirare fino all'anno 1930, epoca in cui crollarono irrimediabilmente. Ora in buone condizioni rimane solo la quarta torre, ancora oggi a dominio del centro abitato, caratterizzata da piccole aperture ricavate nella muratura circolare perimetrale. In epoca normanna Valle Agricola fu un feudo dei Buscione, poi dei Landone, dei Villaclubai, dei Capuano, dei Sanframondo e dei Pandone, Conti di Venafro. Gli ultimi feudatari furono i Carafa e gli Invitti che vi rimasero fino al termine della feudalità.  

Il castello di giovedì 28 giugno




GARLENDA (SV) – Castello Marchesi Costa del Carretto

Garlenda fu possesso di Bonifacio del Vasto nel 1091, fu ereditato dai marchesi Del Carretto (1142) i quali cedettero il possedimento ai Lengueglia che ne fecero il proprio centro principale e vi edificarono una rocca di cui restano oggi i ruderi (un torrione monco a sud est, sbocchi di gallerie, l'area perimetrale ancora rilevabile e coincidente con l'attuale sommità dell'altura, non abitata) in frazione Castelli. Tale rocca fu distrutta a metà del XVI secolo in seguito a una rivolta contro i Lengueglia. Nel 1594 il feudo passò ai conti Costa, originari di Albenga, che costruirono il nuovo castello e donarono alla parrocchiale importanti opere d'arte provenienti da Roma. Dal 1717 i nuovi signori furono i Del Carretto di Balestrino e nel 1723 Garlenda e Paravenna passarono, per mancanza di discendenti maschi nella famiglia Costa, al marchese Ottaviano II Del Carretto di Balestrino.In seguito finì sotto il controllo dei Savoia con l'annessione al Regno di Sardegna avvenuta nel 1735. Il castello è un’imponente costruzione a pianta quadrata con garitte agli angoli, che si erige in posizione strategica a controllo delle principali vie di comunicazione della vallata. Noto anche come "Castello della meridiana" per via delle due meridiane che campeggiano sui lati, in origine era una casa di guardia, trasformata in alloggio residenziale dalle famiglie signorili che vi abitarono nel corso dei secoli. Nella parte posteriore, rivolta ad ovest, sorge una Torre Ottagonale e, al primo piano, la Sala Consiliare e una piccola Pinacoteca. Dopo un lungo intervento di restauro è stato restituito al suo antico splendore nel maggio 2009. Divenuto proprietà del comune di Garlenda, oggi è sede di convegni, spettacoli e mostre. Altre notizie storiche e maggiori dettagli sui lavori di restauro eseguiti si possono avere leggendo il seguente link: http://europaconcorsi.com/projects/83415-Restauro-del-Castello-di-Garlenda

Il castello di mercoledì 27 giugno




TRICASE (LE) – Castello di Tutino

Edificato nel XV secolo su una preesistente struttura normanno-sveva, costituì nei secoli un rifugio sicuro per gli abitanti del casale di Tutino. Le sue possenti mura, alte 6-7 metri e spesse 1,40 metri, sono realizzate in pietrame e bolo. Delle nove torri poste originariamente lungo il circuito murario, ne rimangono solo cinque, alcune con base a scarpa, collegate sulla sommità da un cammino di ronda visibile ancora in alcuni tratti. Il castello è tra i pochi nel Salento a conservare ancora parte del fossato originario. Le due torri situate a nord-est, prive di scarpata e di coronamento, sono state più volte oggetto di rifacimenti e rimaneggiamenti. Verso la fine del XVI secolo, divenuto obsoleto rispetto ai dettami dell'architettura militare dell'epoca, il castello fu ceduto dal conte di Alessano Andrea Gonzaga a don Luigi Trane, il quale ne ampliò e trasformò la struttura per farne una dimora signorile. Sul lato orientale, la costruzione del palazzo baronale comportò l’abbattimento di alcune torri e il riempimento della parte settentrionale del fossato. Venne realizzata un'elegante facciata rinascimentale in carparo giallastro, articolata su due livelli con un severo portale in stile catalano-durazzesco, sormontato dallo stemma nobiliare: un drago alato e rivoltato, mirante una stella di 8 raggi e sostenente con la branca destra una testa di toro e con quella sinistra un libro. Lungo la facciata un registro con un'epigrafe in latino ne ricorda la costruzione avvenuta nel 1580. Le finestre sono in pietra leccese e decorate con motivi floreali e delle massime incise sulle architravi che sono ancora perfettamente leggibili. Da sinistra verso destra si legge: VINCE IN BONO MALUM (Vinci il male con il bene- (San Paolo)         
MELIOR DIES MORTIS QUi\M NATIVITATIS     (Meglio il giorno della morte che quello della nascita)      
CORONA SAPIENT(I)UM DIVITIE(AE) EORUM (Corona dei sapienti è la loro ricchezza) MISERICORDIA ET VERITAS CUSTODIUNT REGEM   (Misericordia e verità proteggono il regnante)      
QUID PRODEST STULTO HABERE DIVICIAS CUM SAPIENTIAM EMERE NON POSSIT (Che cosa giova allo stolto avere la ricchezza se non può comprare la sapienza?)        
VERE PRINCIPUM EST SIMULARE (Fingere è proprio dei principi) NON ETS (EST) CONC(S)ILIUM CONTRA DOMINUM (Non sia complotto contro il signore).
Divenuto di proprietà della famiglia Gallone nel 1653, ultimi baroni di Tutino fino all’abolizione della feudalità nel 1806, passò poi nelle mani della famiglia Caputo che ne destinò gli ambienti alla lavorazione del tabacco fino agli anni sessanta del secolo scorso. La struttura, allo stato attuale, necessita di tempestivi ed urgenti interventi di consolidamento statico e recupero funzionale. La parte meglio conservata del castello è quella posteriore rivolta ad est.

venerdì 29 giugno 2012

Interruzione...servizio

Causa problemi sulla connessione internet di casa, non posso aggiornare il blog fino a lunedì prossimo :-(
Ora sto scrivendo dal pc del mio vicino di casa, SGRUNT !!!

mercoledì 27 giugno 2012

Il castello di martedì 26 giugno




DOLEGNA DEL COLLIO (GO) – Castello in frazione Ruttars

Questa fortificazione, di enorme fascino, è spesso confusa con il castello di Trussio a causa della loro vicinanza. La storia del borgo fortificato di Ruttars non è sufficientemente documentata per fornirci una conoscenza neppure sommaria delle vicende che lo toccarono nel corso dei secoli perché mancano le fonti cui attingere. Dell'antica fortificazione, citata nel XII sec., è stata restaurata la torre quadrangolare con funzione di porta, detta di Marquardo, collegata ai pochi resti superstiti del muro di cinta originario. Il complesso cintato aveva scopi preminentemente difensivi: all'interno degli alti muri si riparavano le genti ed il bestiame in occasione di scorrerie e invasioni di popoli nemici. Ciò che ancor oggi sopravvive dell'opera munita è il muro di cinta, lungo circa duecento metri e racchiudente le case del borgo, e la torre portaia, di forma quadrata e ben conservata, con il piccolo ponte che la precede, un tempo sicuramente provvisto di levatoia. La torre, non si sa il perchè, è dedicata a Marquardo, Patriarca di Aquileia, famoso per aver dato codificazione del diritto locale vigente con le Constitutiones della Patria del Friuli nel 1366 ed attivissimo nel promuovere il commercio in regione.

lunedì 25 giugno 2012

Il castello di lunedì 25 giugno




BOLZANO – Castel Flavon

Castel Flavon ( Haselburg o già Schloss Küepach ) è un castello medievale in Alto Adige, nel comune di Bolzano. Il corpo del maniero sorge su uno stretto sperone di porfido rivolto ad ovest e che prosegue fino alla propaggine rocciosa settentrionale, a dominio del rione di Aslago. Pare sia sorto sopra i resti di un castelliere retico, tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII. I primi proprietari furono gli Haselberg. Già allora la struttura disponeva di un muro perimetrale esterno sul lato sud-est, il quale in alcuni punti corrisponde tutt’oggi alle mura attorno al castello. Si presume che anche un mastio facesse parte della struttura a quel tempo, la cui base è stata riscoperta al piano seminterrato dell’edificio. Passò poi di mano in mano fino a quando, tra il 1475 e il 1541, i signori lo modificarono notevolmente dandogli la conformazione attuale con la struttura a tre ali. La maggior parte delle variazioni apportate all’epoca si è mantenuta fino a oggi. In ambito di questi lavori sono stati aggiunti un padiglione con le doppie arcate nell’ala est, un’ulteriore costruzione nell’ala nord del palazzo, le coperture della costruzione ad ovest ed anche un muro di difesa é stato eretto nuovamente. Esso delimita racchiudendoli i cortili anteriore e posteriore. Anche lo stagno artificiale a monte del castello risale all’iniziativa dei Signori di Fiè. Tutte le sale importanti del castello a tre ali vennero impreziosite con cicli di affreschi che mostrano tra l’altro immagini di antichi imperatori e generali, come anche delle scene dell’antico mito di Apollo. Fra gli autori va citato Tilman Riemendschneider, conosciuto in Italia col nome di Bartolomeo Dill Riemendschneider, il noto pittore originario di Würzburg attivo alla corte del principe vescovo di Trento Bernardo Clesio. Nel 1880 un crollo provocò la perdita delle pitture dell'ala settentrionale. L'ultima ristrutturazione, su iniziativa degli attuali proprietari - i conti Toggenburg di Bolzano - e secondo un progetto dell’architetto Dietmar Dejori, è stata effettuata tra il 2001 e il 2002, ed ha interessato l'intera costruzione, con il restauro delle ali est e ovest e il ripristino dell'ala nord, per restituire al castello la forma originaria a 3 ali. Tuttavia l’ala nord dei nostri tempi non raggiunge le dimensioni dell’edificio al tempo dei Signori di Fiè. Sono inoltre venute alla luce tracce della costruzione trecentesca, visibili nella sala sotterranea, come ad esempio una cisterna per la raccolta delle piogge, ora collocata sopra la cucina. Oggi il maniero è aperto al pubblico come ristorante e come luogo adibito a seminari, congressi, feste e ricevimenti, come si può vedere dal sito:
http://www.haselburg.it

sabato 23 giugno 2012

Il castello di domenica 24 giugno




BARDINETO (SV) – Castello Del Carretto

Dopo l'occupazione di Rotari e dei suoi Longobardi, che furono all'origine del nome del paese ed avviarono altresì gli abitanti alla conoscenza del commercio, dei trasporti e dell'artigianato, nel 775 Bardineto fu soggiogata da Carlo Magno e donata ai monaci di San Pietro in Varatella. Nel 1142, in seguito alla divisione degli otto figli del Marchese Bonifacio I del Vasto, Bardineto era toccata a Enrico il Guercio, Marchese di Savona e progenitore dei Del Carretto, contemporaneo di Federico Barbarossa e suo seguace nelle Crociate. Lo stesso Barbarossa si accampò a lungo nelle vicinanze con il suo imponente esercito. Alla morte di Enrico il Guercio (1185), il possesso di Bardineto e dell'Alta Val Bormida finì nelle mani del figlio Enrico II che, assunto il titolo di Del Carretto, diede vita ad uno Stato capace di durare per quattro secoli, attraversando tutto il Medioevo. Proprio ai Del Carretto si deve nel XIII secolo la costruzione e la fortificazione del borgo alla cui sommità venne edificato il castello. Ne conferma l'esistenza un atto notarile del 1268 in cui viene suddivisa l'eredità del Marchese Giacomo Del Carretto, morto nel 1265, tra i tre figli: ad Antonio spettarono, tra gli altri, i diritti sul castello e sugli uomini di Bardineto. Nel diploma ufficiale dell'imperatore Carlo IV di Boemia, redatto nel 1355, viene confermata l'investitura di Giorgio Del Carretto, che morì proprio a Bardineto tre anni dopo, dei propri feudi e possedimenti tra cui vengono citati sia il castello che il borgo di Bardineto. All' inizio del XVII secolo, Bardineto passò sotto la dominazione spagnola fino al 1713, quando divenne parte della Repubblica di Genova, per poi essere assegnata, nel 1735 a Carlo Emanuele III di Savoia. Dell'antica fortezza, edificata molto probabilmente sulle fondamenta di un preesistente castrum romano, sono rimasti quattro lati dell'alta cortina difensiva a pianta esadecagonale (unico esempio a 16 lati), distrutta nel 1795 durante la battaglia di Loano (22-27 novembre) che vide di fronte le truppe di Napoleone e l'esercito austro-piemontese, asserragliato all'interno del maniero, mentre della cinta muraria che dal castello scendeva a protezione del borgo non si hanno più tracce. Gli Austriaci lasciarono sul campo 4000 morti e 5000 prigionieri, mentre la vittoria consegnò ai Francesi tutti i depositi di armi e di viveri che l'Austria aveva a Finale, Loano e Savona, e aprì le porte alla Penisola, permettendo loro di riallacciare le comunicazioni con tutto il litorale genovese. Nel 1814, infine Bardineto venne definitivamente aggregata agli Stati Sardi dei Savoia.

venerdì 22 giugno 2012

Il castello di sabato 23 giugno





BRISSOGNE (AO) – Castello

Sicuramente Brissogne appartenne ai Signori De Porta Sancti Ursi, che, nel 1185, assunsero il titolo di Signori di Quart. Nel 1287, infatti, Giacomo di Quart si riconobbe infeudato di queste terre dal conte Amedeo di Savoia detto il Grande; successivamente lo sostituì Enrico signore di Quart e Brissogne. Il castello venne costruito nel XIII secolo proprio dai signori di Quart che scelsero l'altura su cui sorge come punto strategico per il controllo dell'area. All'estinzione della casata nel 1378, per mancanza di eredi maschi, il castello passò ai conti di Savoia che lo infeudarono nel 1405 a Tibaut de Montagny, marito di Margherita, unica figlia di Enrico di Quart, ultimo erede dell'antica casata. Il castello passò quindi in eredità a Amedeo Genève-Lullin nel 1502 e poi, sempre per mancanza di eredi maschi e tramite matrimoni, a Gaspar de La Ravoire. Successivamente nel 1700 il complesso venne venduto alla nobile famiglia degli Avise che però si disinteressò a tal punto della fortificazione (che ormai aveva perso ogni scopo strategico) che il castello crollò definitivamente nel 1776 e non venne mai più ricostruito. Attualmente ciò che rimane dell'antica struttura sono un'antica torre merlata di forma cilindrica (il mastio centrale) e alcuni resti delle mura.

Il castello di venerdì 22 giugno





CLETO (CS) – Castello Normanno

Ha origini antiche. I Normanni costruirono l’abitato lungo le pendici del monte Sant’Angelo alla cui cima edificarono un castello che domina la valle fino al mare. Con l’avvento dei Baroni Pietramala il paese cambiò il nome e diventò Pietramala unitamente al feudo. Rimase con questo nome anche sotto gli Svevi. Cambiò amministrazione con gli Angioni e con gli Aragonesi. Del maniero, dalla struttura a pianta quadrangolare, colpiscono due poderose torri cilindriche, delle quali una, destinata alla difesa, sorvegliava a sinistra il ponte levatoio. All’interno un’ampia cisterna raccoglieva l’acqua piovana, mentre un’altra vasca sottoterranea e coperta poteva contenere molte derrate alimentari. L’altra torre, divisa in due, aveva funzione di difesa nella parte superiore, mentre quella inferiore era adibita ad abitazione del barone. Negli anni quaranta è stata rinvenuta, sigillata e murata nella torre, una pergamena in cui si narrava la vita del castello e la potestà incontrollata del Barone che, tra l’altro, aveva potere di vita o di morte su ogni persona ritenuta colpevole di delitti o di alto tradimento. Il condannato veniva gettato nella “lupa”, una caverna profonda decine di metri e senza via di uscita cosicché, se non moriva per la caduta, era destinato a morire di fame. Fervente ed attiva era la vita nel castello; la baronessa controllava la filatura e la tessitura del lino e del baco da seta, che si sviluppava abbondantemente negli ambienti sotterranei, per l’abbondanza di “pampini di gelso” crescenti lungo le rive del Torbido. Nei casi di calamità naturali o malattie gli infermi venivano portati al castello e qui curati sotto il controllo della baronessa. La tranquillità del feudo veniva minacciata, qualche volta, dagli sbarchi minacciosi dei musulmani che attaccavano il borgo costringendo i contadini a lasciare le loro case e fuggire verso il castello riempiendo la valle delle loro grida: “A l’erta! a l’erta! sonati le campani, ca i Turchi su calati a ra marina”. Sotto la baronia dei Giannuzzi, discendenti dei Giannuzzi-Savelli di Roma e Patrizi di Cosenza, il castello fu ristrutturato e modificato in vera fortificazione: fu munito di ponte levatoio, di due robuste torri e di una cinta muraria esterna. Acquisito con atto notarile del 29 ottobre 1615 dai d'Aquino insieme a tutta la Terra di Pietramala per 30 mila ducati da Ercole Giannuzzi Savelli (primo barone del feudo), il maniero fu per secoli residenza della famiglia, implementato con nuovi corpi di fabbrica da Ercole I. Poi, fu gravemente danneggiato da più terremoti. Recentemente, sottoposto a lavori di restauro è ritornato con tutta la sua imponenza ad essere «cavaliere dell'intiero paese» ed è riconsegnato alla cittadinanza. Una delle due foto che accompagnano questo poche notizie del castello è stata presa dal blog pierobriglio.altervista.org

giovedì 21 giugno 2012

Il castello di giovedì 21 giugno




CROSIA (CS) – Castello di Mirto del Barone Mandatoriccio

Durante il periodo feudale, Crosia fu dominio di 33 feudatari, tra i quali i più importanti furono i Matteo, i Cariati e i Sambiase. Nel 1596 il Barone GiovanMichele Mandatoriccio (nato a Rossano nel 1570 e 1° Barone di Crosia) acquisto' da Laudomia Grisara anche il fondo Mirto, che insieme alla Mastrodattia di Caloveto fruttava 800 ducati all'anno. Due anni dopo ingrandì il feudo con l'acquisto da Vespasiano Spinelli della baronia di Calopezzati per 25.500 ducati. Al nobile sembra dovuto il cambio di titolo dell'arcipretura, da lui dedicata a S. Michele Arcangelo, mentre, certamente fino al 1596, come si evince da un Regesto Vaticano, era intitolata genericamente a S. Angelo. Gli atti del notaio Francesco Greco di Bocchigliero, fanno riferimento a una torre di origine normanna con frantoi, che costituiscono il primo nucleo dell'attuale masseria, meglio nota come castello, ubicata sull'altura della frazione di Mirto e fatta edificare dal Mandatoriccio all'inizio del 1600. Le motivazioni che hanno portato il Barone ad edificare, se pur in diverse fasi, tutte quelle strutture, sono da ricercare nelle esigenze del grosso feudo di Crosia (del quale facevano parte Calopezzati, Caloveto, Campana, Mandatoriccio, Bocchigliero e Pietrapaola) le cui attività erano prevalentemente agricole. La vastità dei territori impiantati ad uliveti, determinava una produzione d'olio per centinaia di quintali, gran parte del quale veniva esportato ed ecco la necessità di impiantare le strutture per lo stoccaggio oltre al frantoio per la molitura delle olive. La produzione massiccia di cereali e la loro commercializzazione impose la costruzione di enormi magazzini non solo sotto il palazzo baronale di Crosia ed a Calopezzati, ma soprattutto a Mirto, che era il cuore delle attività. Tutto ciò, oltre alla mania delle cose in grande, che era caratteristica del barone, fece nascere attorno alla vecchia torre diversi nuovi edifici: la dimora padronale ancora oggi visibile, l'abitazione del fattore, le case per il personale di servizio e per gli operai salariati, le rimesse e le stalle, i magazzini ed un grande locale dove trovavano posto i lavoratori stagionali. Venne costruita anche la sala degli "ordini", così chiamata perchè vi venivano impartiti gli ordini per il giorno successivo dal fattore. Il castello aveva una cappella all'interno del cortile padronale (ormai diruta), presso la quale nel 1635 il Duca ottenne uno speciale indulto papale. Le necessità crescevano con l'ingrandirsi del feudo e sorgevano nuove costruzioni attorno alla corte, finché la struttura assunse le dimensioni e l'aspetto attuale, in fase di degrado. Presenta una pianta rettangolare e l'accesso è garantito da due porte ad arco; una grande scalinata è sormontata dallo stemma nobiliare caratterizzato dall'immagine del Drago; le stanze per la residenza sono venti. Morto Francesco Mandatoriccio senza figli (1676), il feudo passo alla sorella Vittoria e per essa al marito Giuseppe Sambiase. L'imponente struttura fu anche teatro dei tragici fatti della "restaurazione borbonica" del 1799. Nei pressi della "Cibbia" del giardino è ancora visibile il muro del martirio degli antiborbonici. L'imponente torrione con la finestra dalla quale Francesco Ruffo assisteva all'esecuzione dei ribelli (Pasqua 1799).

mercoledì 20 giugno 2012

Il castello di mercoledì 20 giugno




GUALDO CATTANEO (PG) – Rocca dei Borgia

La fondazione di Gualdo Cattaneo, risale al 975, quando Edoardo Cattaneo, un vassallo di Ottone II di Sassonia, la ricevette in feudo e vi costruì una Rocca. Molto contesa tra Spoleto e Foligno, appartenne prima a Spoleto, poi fu assegnata a Foligno da Federico Barbarossa, tornò a Spoleto, fu acquisita dai Trinci di Foligno e nel 1439 passò al Papato, che per affermare l‘appoggio della Chiesa alla dominazione spoletina, ampliò la rocca preesistente in forme rinascimentali. Nella metà del Quattrocento, l'architettura militare venne completamente modificata in seguito all'introduzione e all'uso di una nuova realtà bellica: l'artiglieria. Non fu più necessario costruire alte torri o murature inaccessibili per impedire ai nemici di scalare le cortine murarie per entrare nelle strutture difensive, ma era sufficiente abbatterle dalla distanza opportuna, per poi permettere la penetrazione delle truppe. La Rocca di Gualdo Cattaneo nacque proprio sulla base di questi nuovi criteri e per la sua progettazione e costruzione fu chiamato il 15 agosto 1494 l' "architetto" Francesco di Bartolomeo da Pietrasanta. La Rocca fu l'ultima di un intero sistema di fortificazioni che si sviluppava ad oriente del castello di Gualdo Cattaneo, all'interno di un territorio storicamente di frontiera fra le terre di Todi, Foligno e Perugia, ancora oggi costellato da una serie di fortificazioni (castelli, torri di avvistamento, ville fortificate), di origine basso-medievale, tra le quali il castello di Torri, il castello di Barattano e la torre di Grutti. Portata al termine nel 1500 (alla sua costruzione si alternarono diverse maestranze), La Rocca "Dei Borgia", così chiamata in onore di Papa Alessandro VI, è un esempio di fortezza militare a pianta triangolare in cui ad ogni vertice corrisponde una torre rotonda e troncoconica, comunicante con le altre per mezzo di cunicoli sotterranei. Il mastio, la torre più alta (ha una base di 80 mt di circonferenza ed un’altezza di 20 mt), domina tutto il borgo medievale, cinto dalle sue mura medievali con vari inserimenti di torri difensive, e l’intera vallata sottostante. Esso è costituito da 5 piani in cui si trovano tutti gli elementi abitativi necessari alla difesa e alla residenza della guarnigione. Il primo castellano, al completamento del cassero, fu Giovanni Olivieri da Foligno che era obbligato a risiedervi permanentemente con tutta la guarnigione. I suoi discendenti acquisirono il feudo di Frecco (Valfabbrica). Perugia fu sempre contraria all’opera difensiva, tanto da inviarvi un contingente militare guidato da Virginio Orsini per abbatterla, ma vani furono gli assalti, sia per la validità della struttura, concepita per resistere autonomamente anche a un lungo assedio, sia per il coraggio del comandante Crispoldi di Foligno. Nel 1624 la rocca ospitò Galileo Galilei, che vi soggiornò per alcuni giorni. Nella seconda metà del ‘600, il complesso militare andò incontro ad un costante decadimento tanto da richiedere nel 1695 adeguate opere di restauro a spese del comune di Foligno. Nel 1877 l’edificio versava ancora in grave degrado e parte dei beccatelli crollarono; vennero ripristinati con il restauro del 1955. Nel corso del tempo la rocca non ha subito interventi di rilievo, conservando il suo aspetto originario quasi immutato: il mastio ha perduto la tradizionale copertura a tutta ronda o a doppia ronda, ma all’interno ha conservato invariate le proprie stanze disposte in maniera irregolare, dove si possono individuare le originarie destinazioni. L'edificio è anche conosciuto col nome di Rocca Sonora in quanto è dotato di un percorso sonoro, dove una voce recitante (la Rocca) racconta la propria storia attraverso intermezzi recitativi (i soldati in battaglia_ i contadini al mercato_ il castellano…), dal momento della sua costruzione fino all’abbandono.

martedì 19 giugno 2012

Il castello di martedì 19 giugno




CONTURSI TERME (SA) - Castello Rosapepe

Del maniero, che venne edificato nell'839 dal Conte Orso per difendere il gastaldato di Conza dalle continue scorribande dei normanni, purtroppo restano poche tracce, come qualche anfratto e alcune murature laterali. Il Conte Orso, come narra la storia, fu cognato di Sinicolfo, principe di Salerno dal 839 al 851. Egli fu un valoroso condottiero ed il più impegnato nella guerra civile fra Sinicolfo e Redelchi, quest'ultimo già gastaldo di Conza, che ambiva al principato di Benevento. Inserito, insieme a tutti gli altri castelli della valle, nel principato di Salerno, il maniero ne seguì la storia attraverso alterne vicende. Nel 1287, con Carlo II, il principato fu suddiviso in due parti e Contursi Terme venne a far parte del Principato Citeriore (o Citra). Dal 1321 circa fino al 1450 fu feudo dei Sanseverino, che ebbero per un certo periodo il titolo di principi di Salerno, e fu sotto il loro dominio che dovette subire, probabilmente nel 1348, la distruzione ad opera di Ludovico di Ungheria, che era sceso in Italia per punire la regina Giovanna. Indi il patrizio napoletano Giovanni Sebastiano Rizzo divenne barone di Contursi e di Postiglione (Assenso del 1507). Da questi passò al figlio Michele, a cui Carlo V del Sacro Roano Impero tolse tutti i possedimenti feudali, per punizione della sua ribellione durante la conquista del Regno sotto Odet de Foix, conte di Lautrec e Comminges. Contursi e Postiglione passarono al conte Girolamo Morone, sino alla riabilitazione del Rizzo (1529). L'unica figlia sopravvissutagli sposò un Caracciolo del ramo di Martina, al quale trasmise post mortem il feudo. In seguito Contursi  passò di mano in mano per compravendite feudali: dai Bernalli, ai Pepe, ai Ludovisi ed ai Parisani Bonanno, sino ai Pisani di Tolentino, marchesi di Caggiano, che lo tennero fino al 1807, quando divenne proprietà della famiglia Rosapepe. Dalle ricerche sul web pare che una parte del castello sia attualmente stata trasformata in casa vacanze.

lunedì 18 giugno 2012

Il castello di lunedì 18 giugno




CARPINETO SINELLO (CH) – Castello Bassi

Posto sul punto più alto del monte Sorbo, sulle cui pendici è arroccato il paese di Carpineto, si presenta come un edificio imponente e compatto, articolato in più corpi di fabbrica disposti attorno ad un piccolo cortile centrale. I materiali usati sono pietra calcarea ed arenaria. La prima citazione antica del sito risale al XII secolo nel Catalogus Baronum; nel XIII secolo il feudo appartenne prima della potente famiglia Di Sangro per poi passare agli Acclozzamora. Tra la fine del Medioevo e il '500 la struttura divenne sede stabile di feudatari e vassalli, subendo una progressiva trasformazione da edificio difensivo a dimora gentilizia. A tal proposito fondamentali furono gli interventi subiti nel XVIII secolo per volere del barone Michele Bassi d'Alanno che ampliò e modificò notevolmente la costruzione. Tra i corpi che compongono il Castello, di grande rilievo è la torre posta a nord, sul punto più elevato dell'altura, l'elemento più antico del complesso architettonico. E' a pianta quadrata, con scarpa nella parte inferiore e appiombo nella fascia superiore, ed è caratterizzata da cospicui spessori murari. Sorta inizialmente isolata o integrata da un semplice recinto, in epoche successive venne via via arricchita da una più articolata organizzazione difensiva. Attraverso una ripida rampa si giunge alla piccola corte su cui si affacciano alcuni locali, in passato adibiti a stalle e, superato il portale d'accesso, si arriva nel più ampio cortile interno attorno al quale si articola il fabbricato. Sul lato meridionale, con base a scarpa, si può notare una bocca da fuoco a protezione dell'ingresso; al di sotto del cornicione, come unica concessione ornamentale, vi sono poste singolari applicazioni in stucco raffiguranti teste di puttini. Nel palazzo residenziale vi sono dei dipinti murali nonché delle decorazioni in stucco sul cornicione sul lato del cortile. Il lato meridionale è separato dalla zona superiore da un redondone. Tuttavia il Castello attualmente versa in una condizione di forte degrado causato dal lungo stato di abbandono che ha accelerato il naturale processo di decadimento fisico e strutturale. Le cause di ciò sono connesse certamente anche con la natura del sito, con la morfologia particolarmente accidentata, e con la composizione geologica del terreno su cui sorge il palazzo. Pertanto la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici dell'Aquila ha iniziato dal 1991, un intervento di recupero strutturale e consolidamento sul castello, tuttora in corso. Oggi il maniero non è accessibile a causa dei lavori in atto, al termine dei quali è previsto un completo riutilizzo della struttura in chiave turistico-culturale con la creazione nel castello di ambienti espositivi, di un albergo, di un ristorante e di sale convegni. Nei locali adiacenti al castello Ducale è ospitato il Museo del Maiale, unico nel suo genere, che ha lo scopo di custodire e valorizzare la tradizione agro alimentare, culturale, socio economica che nel corso dei secoli si è sviluppata intorno all'allevamento del maiale. Nella mia ricerca su internet ho trovato questa petizione avente per oggetto proprio il castello di Carpineto Sinello.

sabato 16 giugno 2012

Il castello di domenica 17 giugno





LADISPOLI (RM) – Torre Flavia

Monumento principale e simbolo della città, fu costruita forse nel medioevo sui resti di precedenti costruzioni romane, a scopo di difesa e controllo del litorale. Infatti sono visibili, con la bassa marea, i resti di muri romani, molto probabilmente, appartenuti ad una villa oramai sommersa dall’acqua. Tra il 1568 e il 1581 venne completamente riedificata dal Cardinale Flavio Orsini dal quale prende il nome. Torre Flavia, che all’epoca era sulla terra ferma, faceva parte di un sistema di torri di avvistamento esteso su tutto il litorale e di cui facevano parte le torri del Castello di Palo, la Torre Saracena di santa Severa, la torre del Castello Odescalchi di S. Marinella. La torre però non fu armata di cannoni fino agli inizi del XVII secolo; troviamo infatti in un documento del 1603 in cui il comandante Curzio Gallacci raccomandava vivamente di inviare alla torre " ... dui pezzo di arteglieria per guardia di detta tuore..." Nel 1631 la torre poteva invece vantare un notevole armamento consistente in "un falconetto di metallo porta di palla libre 4, due mortaletti, due moschetti, una spingarda ...". Nel XVIII secolo ci fu una disputa tra il Duca di Bracciano al quale spettava l'amministrazione della torre e la Camera Apostolica in quanto egli voleva spostare a Torre Flavia anche il presidio posto nella Torre di Palo per poter usufruire del Castello di Palo come luogo di residenza. La Camera Apostolica rifiutò e, forse per ripicca, ridusse la guarnigione di stanza a Torre Flavia da 5 a 3 soldati. La torre fu utilizzata come difesa costiera fino agli inizi dei XIX secolo, infatti, nei primi anni dell'800 era armata con due cannoni di calibro 12 e 3 fucili con baionette per i soldati. Da un documento catastale del 1845 risulta che all'epoca essa era ancora pavimentata con lastroni di peperino, i parapetti erano ancora in buono stato e vi era una fornacella per le segnalazioni. Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1943, fu irreparabilmente danneggiata: nel tentativo di farla saltare in aria fu completamente distrutta la parte superiore. La fortificazione presenta una base a scarpa relativamente bassa e delimitata da una cordonatura in calcare; al di sopra erano due piani collegati da una scala in muratura con ampie stanze illuminate da finestrelle. Il terrazzo superiore aveva quattro torrette angolari a prova di proiettile. L'accesso alla torre era al primo piano ed avveniva mediante l'ausilio di rampe di scale; solo in seguito si aprì una porta d'ingresso nella scarpa, in asse con quella originaria. La muratura comprendeva un nucleo in cementizio rivestito da regolare cortina laterizia, rinforzata agli spigoli con blocchi di calcare travertinoso. Fortunatamente sono rimasti piante, prospetti e numerose immagini fotografiche della torre prima che subisse il bombardamento alleato ad essa fatale; tale materiale consente perciò una conoscenza approfondita anche delle parti ormai scomparse. Negli ultimi anni la torre ha subito una forte erosione e il mare l'ha ancora di più "inghiottita", a dispetto della fila di frangiflutti posti negli anni settanta per salvaguardarla. Le 4 pareti originali si sono rotte in 8 tronconi che si stanno separando sempre di più. Si ha in mente di risanarla, con varie associazioni che auspicano il restauro conservativo di Torre Flavia e la sua musealizzazione all'aperto per una migliore fruizione da parte del pubblico. Ecco un video per ammirarla via web: http://www.youtube.com/watch?v=Ou7_ykxN468

Il castello di sabato 16 giugno




CASTEL GIORGIO (TR) – Castello di Montalfina


Il castello di Montalfina, il cui nome deriva da mons ad fines cioè montagna di confine, è un’ importante roccaforte a guardia della zona del territorio umbro a confine con il Lazio. Venne costruito a scopo difensivo, probabilmente, intorno all’anno 1000, sulle rovine di un più antico fortilizio, eretto secondo la leggenda fra il 756 e il 774 dal re longobardo Desiderio che fece innalzare la torre centrale. Nel 1184 fu saccheggiato da Arrigo, figlio del Barbarossa; all’inizio del XIII secolo se ne impadronirono i Monaldeschi. Dopo gli scontri tra i Monaldeschi ed i Filippeschi avvenuti dentro la città di Orvieto, questi ultimi, sconfitti, furono costretti ad abbandonare la città ed a riversarsi nelle campagne occupando anche l’altopiano dell’Alfina e con esso il castello di Montalfina che rimase in mano loro per circa due anni fino a quando i Monaldeschi, mobilitato un potente esercito mossero alla riconquista dei propri feudi. Nell’agosto del 1328 le armate di Ludovico il Bavaro, allo scopo di rastrellare vettovagliamenti per raggiungere Napoli, misero a ferro e fuoco il Castello di Montalfina ed altri baluardi e castelli della zona. Nel 1354 il Cardinale Albornoz mosse alla conquista dei territori limitrofi al viterbese per annetterli al Patrimonio di san Pietro: Montalfina ed il suo borgo conobbero così una nuova proprietà. Alla morte dell’Albornoz il Castello ritornò tra le proprietà dei Monaldeschi, i quali iniziarono una serie di lotte intestine nella stessa Casata, la quale si divise nelle famiglie del Cervo, della Vipera, del Cane e dell'Aquila. Tra il 1411 ed il 1413, Ladislao, re di Napoli, chiamato in aiuto dalla famiglia della Vipera, dopo aver conquistato i territori di Bagnoregio ed Acquapendente, saccheggiò il Castello di Montalfina: l’incendio distrusse parte della cinta muraria e due delle tre torri principali. Nel 1437 i Monaldeschi della Cervara ristrutturarono tutto il Castello apportandovi modifiche architettoniche: un ramo della famiglia vi si stabilì in modo permanente. Giorgio della Rovere, vescovo di Orvieto alla fine del 400 adibì il castello a sua residenza estiva. Nel novembre del 1494 il maniero subì le razzie delle truppe di Carlo VIII, di passaggio per Roma, e nel 1505 un violento terremoto distrusse parte dell’edificio che – avendo subito gravi danni - fu abbandonato definitivamente dai Monaldeschi. Verso il 1590 il castello passò in eredità alla famiglia Sforza che lo ristrutturò e ne fece la propria dimora abituale, attuando un’opera di risanamento anche per le case coloniche sottostanti. Nei primi decenni del 1700 il Patrimonio di San Pietro venne diviso tra le gerarchie della Chiesa ed il Castello di Montalfina fu assegnato alla famiglia Ravizza che ritroviamo proprietaria nella persona di Monsignor Filippo Ravizza come si può apprendere dalle copie catastali del tempo. Si successero quindi vari membri della suddetta famiglia, che lo ristrutturò in stile purista, fino agli attuali proprietari, i Valentini, che ne hanno fatto il centro di una vasta tenuta agricola. Costruito in pietra rossa locale, ha una pianta rettangolare con cinque torri addossate (di cui quattro posti sugli spigoli e una sul prospetto principale) e una facciata con portale e finestre incorniciati da bugnato. Oltre al castello, Montalfina, conserva, inseriti all’interno di uno spazio verde- quasi una corte interna- al centro del quale è un bel pozzo trecentesco, una chiesa neoclassica e alcuni edifici un tempo adibiti a magazzini, granai, scuderie e abitazioni della servitù. All'interno custodisce una preziosa collezione di armi e suppellettili.

venerdì 15 giugno 2012

Il castello di venerdì 15 giugno




MONTALCINO (SI) – Castello di Argiano

II minuscolo borgo di Argiano potrebbe essersi sviluppato già in epoca romana. Il castello, citato in un documento di Ludovico il Pio (778-840), viene elencato, nel 1208, tra le località tenute a versare una imposta straordinaria a Siena; successivamente, nel 1438, fu aggregato direttamente al contado senese. Dell'antico edificio, che domina dall'alto di una bassa collina le valli della bassa val d'Orcia e dell'Ombrone, con le pendici del Monte Amiata come scenario all'orizzonte, e a poca distanza (alcune centinaia di metri in linea d'aria) dal potente castello di Poggio alle Mura, vediamo ancora il solitario torrione del cassero e alcune pareti sbrecciate e miseramente franate. Il torrione, a base quadrata, è ancora imponente, impreziosito da belle finestre con arco a tutto sesto e dotato di forte scarpatura dal lato a valle. Un piccolo cortile interno lo separa dall'area prettamente abitativa, il palazzo (usato come casa rurale fino a pochi anni orsono). Nella cortina muraria est che unisce i due corpi del fortilizo si apre la porta principale, anch'essa con arco a tutto sesto rivestito con pietra brugnata. Sul lato opposto una postierla dava probabilmente accesso ad un più vasto cortile esterno che si doveva estendere fino ai margini scoscesi del colle, delle sue mura resta oggi un solo breve tratto che parte dall'angolo sud-ovest del mastio. L'abbandono graduale del castello iniziò nel 1583 quando a circa mezzo chilometro di distanza fu costruito, su disegno di Giovanni de' Pecci, la nuova rinascimentale Villa di Argiano, un palazzo appartenuto nei secoli a varie potenti famiglie come i Montanini, i Tolomei, i Sozzini, gli Ugurgieri, i Chigi. Attorno al maniero sorgono la chiesa di San Pancrazio, recentemente restaurata, e altre vecchie case che formavano il borgo di Argiano, nel quale aleggia ancora oggi un alone di mistero e di suggestione, accresciuti dalla rigogliosa natura circostante. Il castello ormai in rovina, detto anche "Argianaccio" per differenziarlo dalla vicina Villa d'Argiano, è posto al centro degli sterminati vigneti di proprietà della Banfi S.p.A. che producono anche il famoso Brunello di Montalcino.

giovedì 14 giugno 2012

Il castello di giovedì 14 giugno




MONTALCINO (SI) – Castello di Altesi

Si erge su una collina, al confine fra i comuni di Buonconvento e Montalcino. All'inizio del Trecento, l'Ospedale senese di S.Maria della Scala possedeva vari beni: terreni ed immobili in "località dell'Altesi". Il castello venne costruito nel XV secolo, come attestano le originali bifore al primo piano e il progetto planimetrico, per gestire le proprietà fondiarie della nobile famiglia Trecerchi, parte dell'oligarchia della città di Siena. L'edificio fu occupato dalle truppe spagnole capitanate da Don Alvaro di Sande, durante la Repubblica di Siena in Montalcino, come attestano le cronache del 1556. La struttura è un'articolata costruzione difensiva, a pianta quadrangolare. Da notare nella facciata l'alta base a scarpa e torrioni angolari. Gli accessi al castello sono due. Quello sul fronte Sud aveva originariamente un ponte levatoio, oggi sostituito da un terrapieno; il semplice portale in pietra locale, sormontato dallo stemma della famiglia Trecerchi datato 1441, conduce ad un cortile, modificato in tempi recenti. L'ingresso sul lato opposto ha un piombatoio (struttura utilizzata ai fini bellici per gettare addosso ai nemici olio bollente o pece) sopra la porta; all'interno troviamo un cortiletto con pozzo riferibile al XVI secolo. Sul lato destro, rispetto alla facciata, notiamo un marcapiano realizzato in parte in pietra locale ed in parte in travertino. Il primo piano originariamente presentava delle bifore che oggi sono state chiuse o alterate ad eccezione di una. Di fronte all'ingresso principale una piccola cappella in laterizio. Oggi appartiene alla famiglia Squarcia e non è visitabile. La cantina Castello Tricerchi è situata nel castello, sorta dove un tempo erano ubicati i granai del nobile palazzo. Oggi, negli stessi luoghi, sono state realizzate moderne cantine di vinificazione ed adeguate zone di affinamento ed invecchiamento per il Rosso di Montalcino e il prezioso Brunello, affinato in botti e bariques di rovere francese.

mercoledì 13 giugno 2012

Il castello di mercoledì 13 giugno




BITONTO (BA) – Torrione Angioino

Forte segno di identità della città e da sempre emblema della sua inespugnabilità, fu innalzato sul finire del XIV secolo dagli angioini, da cui prende il nome, a difesa di Porta Baresana, probabilmente sui resti di una fortificazione normanna (donjon). Certamente è la più ampia e più resistente di tutte le altre ventisette torri disposte lungo la cinta muraria della città, strategicamente e sapientemente collegate tra loro da cunicoli sotterranei. La sua esistenza è accertata solo nel 1399 in un documento della regina Margherita, consorte del re di Napoli Carlo III. Fu utilizzato dapprima come sede del “castellano”, un funzionario, e delle milizie di presidio; successivamente come punto di difesa (di tipo radente) e fondamentale rifugio per molti cittadini del centro storico vittime di assedi, infine divenne una prigione. Ha una pianta circolare di diametro 16,10 mt ed è simile alle costruzioni angioine francesi e napoletane. La muratura del basamento, che raggiunge uno spessore di 4,90 mt, è costituita da grossi blocchi di tufo calcareo allisciati, detti "a bauletto". Essa è interrotta dalla porta d’accesso che forma nelle mura un cunicolo (dotato di un triplice ordine di stipiti in pietra che indica la presenza, in passato, di tre porte consecutive che costituivano un ulteriore ostacolo agli aggressori), dalle finestre disposte a diverse altezze e, in cima, dalla merlatura. I tre ambienti interni, disposti su tre piani sono collegati tramite dei corridoi fortificati, simili ad altri sistemi difensivi dell’Italia borbonica. Mentre gli ambienti del primo e terzo piano hanno forma circolare, quello al secondo ricorda Castel del Monte, essendo a pianta ottagonale e con volta a crociera. Il fatto che l’ambiente sia dotato di camino, impreziosito da piccole colonne terminanti in capitelli, rendono plausibile l’idea che questo del secondo piano sia stato l’ambiente utilizzato dalla nobile famiglia del castellano. Tramite una scala in muratura si accede infine al terrazzo merlato, che conserva ancora un pozzo un tempo utilizzato per il rifornimento idrico durante gli assalti. Spesso il torrione è stato impropriamente definito “castello”, anche in molti documenti che ne attestano le antiche origini, forse in virtù delle notevoli dimensioni rispetto agli altri elementi difensivi, è in realtà un maschio, alto 24 metri. Era una notevole fortezza tanto che nel 1503 il duca di Nemours, durante la guerra franco-spagnola, lo definì "Non men forte della torre di Bruges e Montemar" e lo citò tra i luoghi più forti del Regno di Napoli. Successivamente fu anche adibito a carcere dal duca di Calabria. Grazie ad accurate e pregevoli opere di restauro, recentemente concluse, la massiccia struttura a lungo nascosta tra cortine ed edifici laterali, è stata riportata all’antico splendore. Gli scavi effettuati, hanno permesso di recuperare le antiche casematte, i rivellini, il fossato, con il basamento pentagonale della torre stessa e una passerella a ponte levatoio, che collegava la torre alla piazza circostante. Attualmente il Torrione, restaurato anche internamente, è sede della Civica Galleria d’Arte Contemporanea che ospita la collezione permanente del maestro Matteo Masiello oltre ad essere importante spazio per eventi culturali di rilievo, ad ulteriore conferma di Bitonto come importante città d’arte e cultura. Dalla terrazza si domina l’intero territorio circostante, dal mare all’altipiano murgiano. Per approfondire : http://www.ba.itc.cnr.it/BTN/BTN0052.html

Il castello di martedì 12 giugno





MONASTEROLO DI SAVIGLIANO (CN) – Castello dei Solaro

Le prime citazioni di Monasterolo risalgono ad un documento del 907. Il nome del luogo deriva da un monastero benedettino, forse patrimonio di Nonantola, attorno al quale si formò il centro abitato. La costruzione dell'imponente castello è datata al XIII secolo (1241) ed è attribuita all'iniziativa di Raimondo e Ottone Boverio, capostipiti dei Marchesi di Busca delle Langhe e di Rossana. Per motivi strategici e politici, in seguito, i due potenti signorotti, con atti stipulati rispettivamente nel 1241 e nel 1244, alienarono tutte le loro proprietà ed i diritti che vantavano in zona al marchese Manfredo III di Saluzzo; a costui, nello stesso 1244, successe il figlio Tommaso I che  assegnò la fortezza, con i privilegi inerenti, al marchese Ottone di Nucetto. I gravi fatti che, dal 1347 al 1363, sconvolsero lo stato sabaudo portarono alla distruzione di tutte le fortificazioni erette in Monasterolo nei primi decenni del Duecento, tra cui il castello; all’invasione delle armate di Luchino Visconti seguirono le guerre fra il conte Amedeo VI di Savoia, il principe d’Acaja, i marchesi di Saluzzo Tommaso II e Federico II, e la regina Giovanna I d’Angiò, che nel 1360 portarono al saccheggio, durato un mese, di Savigliano e dei borghi limitrofi. Tra il 1363 e il 1378 il castello venne ricostruito dai Marchesi di Saluzzo, insieme alle mura di cinta dell'abitato. Risale infatti a questo periodo la massiccia struttura contemporanea, nonché le tre torrette angolari e la torre cilindrica di sud-ovest (usata per le segnalazioni), in laterizio e coronata da merli ghibellini, unitamente al fossato perimetrale ed alla porta del "Rivellino". Nel 1378 fu acquistato dai Solaro di Asti, nella persona di Michelino, con versamento di "fiorini 13.000 d'oro di Fiorenza" al conte Amedeo VI di Savoia. Dal matrimonio di Franceschina, figlia di Michelino, con Giovanni Filippo Solaro di Moretta, signore di Casalgrasso, ebbe origine la linea dei Solaro di Monasterolo, due membri della quale, Giovanni Francesco e Alessandro, ottennero l’investitura del titolo comitale, con atto sottoscritto il 7 gennaio 1604, dal duca di Savoia Carlo Emanuele I. Il maniero dal Quattrocento al Settecento, cessate le funzioni belliche, fu soggetto a numerosi lavori di ristrutturazione per trasformarlo in villa residenziale, quali: l'aggiunta delle volte unghiate in alcuni ambienti, la costruzione della scenografica scala a tre rampe su pilastri e la copertura del tetto. Nella primavera del 1630, l'esercito del cardinale Richelieu installò il campo a Monasterolo, in guerra con il duca sabaudo Carlo Emanuele I. La contessa Maria Solaro di Monasterolo, moglie del cavaliere Carlo Buglione di Monale, con rogito del 3 gennaio 1928, alienò il castello al comune di Monasterolo. Attualmente è sede degli uffici comunali e, inserito nel circuito dei "Castelli Aperti" del Basso Piemonte, si può visitare. All'interno spiccano i soffitti a cassettoni intagliati e policromi dei due saloni al primo piano, risalenti all'inizio del Seicento. Nel corso del secolo successivo furono realizzate le decorazioni rococò dei due saloni al piano rialzato (graziosa è la cosiddetta "sala d'oro", per la ricchezza e la finezza delle cesellature e per le sei graziose tele incastonate nelle pareti, raffiguranti alcuni mazzi di fiori ed i busti di due donne), e la costruzione del padiglione nord del castello con la conseguente apertura dell'ingresso sulla piazza omonima. L'ultimo intervento riguardò, all'inizio dell'Ottocento, l'erezione dell'ala rivolta a nord-ovest per completare la facciata.

lunedì 11 giugno 2012

Il castello di lunedì 11 giugno




CASTELTERMINI (AG) – Castello di Chabica

Fonte delle seguenti notizie è il sito http://www.castelli-sicilia.com

La torre di Chabica era sita nel comune di Casteltermini, e porta il nome dell'antico casale (torre Fabbrica). Era un tipico esempio di fortilizio isolato costruito per il controllo del latifondo.
Essa sorgeva su una collinetta da cui si domina un vasto territorio agricolo.
Di pianta quadrangolare, era costruita in opera incerta di pietre di picco
la e media dimensione con angoli rinforzati da cantonali squadrati.
Notizie storiche:
1296 - casale Calbace - Gregorio, 1791-92, II, p. 468.
1348 - casale - Bresc, D'Angelo 1972, p. 396.
1355 ca. - il castrum Cabache è annoverato in una lista di terre e castelli feudali - Librino 1928, p. 209.
1357 - abitato di Chabica distrutto - Bresc 1988, p. 240.
1357 (ago. 27) - "II rè [Federico IV di Aragona] affida a Rainaldo de Domino Gabriele l'incarico di riparare e custodire il fortino diruto detto Chabakka, vicino la terra di Cammarata e cheil detto fortino non possa essere tolto dalla potestà del Gabriele fino a che egli non venga soddisfatto delle spese incontrate per le riparazioni" - Cosentino 1886, p. 388, doc DXXVII.
1366 - turri de la Chabbica - Sella 1944,p.128.
1376 - torre di Ciabica con il solo custode - Peri 1982, p.239.
1408 - Thomas de Michaele prò casali Yabice - Gregorio 1791-92, II, p.492.
1500 ca. - feudum Chabice - Barberi, III, p. 143.
La torre è stata demolita anni fa per la costruzione di una casa privata.